CIRCOLARE 13 luglio 2001, n. 41
Assessorato al Territorio e Urbanistica
Criteri e indirizzi per l'applicazione della legge regionale
15 gennaio 2001, n. 1:
«Disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso di immobili e norme per la
dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico»
Premessa
La l.r. 1/2001 ha introdotto
notevoli e rilevanti innovazioni in ordine alla disciplina dei mutamenti di
destinazione d'uso di immobili, dei centri storici, del computo della capacità
insediativa e dell'assetto delle dotazioni di servizi ed infrastrutture.
Nell'ambito dell'ormai consueto rapporto di servizio che caratterizza questa
Amministrazione regionale, si vogliono fornire alcuni criteri di lettura delle
novità introdotte, anche al fine di rispondere in modo organico e coordinato ai
diversi quesiti posti e di assicurare uniformità di applicazione della nuova
normativa.
Ciò premesso, si procederà ad un esame analitico delle norme affrontando, caso
per caso, le problematiche che, ad un primo esame, sembrano più rilevanti.
Titolo I - DISCIPLINA DEI MUTAMENTI DELLE DESTINAZIONI D'USO DI IMMOBILI
Art. 1 - (Mutamenti di destinazione
d'uso e strumentazione urbanistica)
Comma 2: la legge, dopo aver
confermato la distinzione prevista nella l.r.
19/1992 fra destinazione d'uso principale e destinazioni accessorie o
compatibili o complementari, dispone un obbligo di individuazione di quali, fra
le destinazioni d'uso qualificabili come principali, debbano essere ritenute non
ammissibili. Con ciò implicitamente intendendosi come sempre ammissibile il
mutamento delle destinazioni d'uso accessorie, anche nell'ambito di piani
attuativi in corso di esecuzione, eventualmente adeguando gli standard, qualora
non siano già stati rapportati alla destinazione principale.
La novità della norma attiene al sostanziale ribaltamento dell'impostazione
tradizionale del regime urbanistico in materia.
Laddove, infatti, la l.r. 19/1992 impone di specificare, zona per zona, le
destinazioni d'uso ammesse, con la conseguenza che tutte le funzioni non
esplicitamente indicate come tali sono da intendersi vietate, la l.r. 1/2001
prevede che il P.R.G. elenchi le destinazioni vietate, statuendo espressamente
che tutte quelle non precluse esplicitamente sono ammissibili.
Per effetto di tale innovazione normativa si consente il superamento del metodo,
estremamente diffuso, di elencazione casistica delle funzioni ammissibili e
l'eliminazione delle problematiche, spesso emerse nell'azione amministrativa dei
comuni, di elenchi che si rilevano carenti, lacunosi o semplicemente inadeguati
a qualificare funzioni nuove che si affermano nella realtà economico-sociale.
Il compito di graduare l'elenco di funzioni inammissibili spetta ai comuni in
sede di variante di adeguamento: può reputarsi opportuno che, in tale
occasione, le Amministrazioni colgano appieno la possibilità offerta dalla
nuova normativa,preferibilmente apprestando definizioni delle funzioni di tipo
sintetico e non casistico.
In relazione a tale disposto, si precisa che la previsione in zona rurale di
destinazioni d'uso ammissibili (in quanto non vietate) diverse da quelle
connesse alla conduzione del fondo è possibile solo esercitando, in sede di
adeguamento del P.R.G. di cui al comma 6 del presente articolo, la facoltà
prevista dall'art. 1, lett. c) della
l.r. 93/1980.
Ciò significa che per gli edifici che verranno specificamente individuati come
non più adibiti ad usi agricoli, seguendo beninteso la predetta procedura di
adeguamento, potranno essere ammesse anche destinazioni non funzionali alla
conduzione del fondo, mentre per gli edifici e le aree funzionali all'esercizio
dell'attività agricola continua ad operare il regime di ammissibilità delle
destinazioni dettato dagli artt. 2 e 3 della l.r. 93/1980.
Si ricorda, peraltro, che la disciplina degli interventi in zona agricola è
contenuta anche nell'art. 4 della legge in commento.
Comma 3: la norma regola il rapporto tra i
mutamenti di destinazione d'uso e la dotazione di standard a seconda che tali
mutamenti intervengano con opere o senza opere edilizie.
Qualora vi siano opere edilizie, spetta sempre al P.R.G. individuare i casi di
variazioni (nella destinazione d'uso) dai quali derivi una conseguenza sul
fabbisogno di standard, come calcolato nello stesso piano regolatore.
L'Amministrazione comunale, pertanto, nell'indicare in sede di P.R.G. le
destinazioni d'uso ammissibili ai sensi del comma 2, dovrà prestare attenzione
da un lato ai riscontri quantitativi e quindi al saldo di tali operazioni
relativamente al fabbisogno di standard, dall'altro ai profili qualitativi
derivanti, al fine di coniugare le variazioni di destinazione funzionale a
coerenti e compatibili dotazioni di aree a servizi.
Nel caso, invece, di mutamento di destinazione d'uso senza opere edilizie è la
legge stessa a individuare l'unico caso di incidenza di tali mutamenti sulla
dotazione degli standard: si tratta delle trasformazioni di carattere
commerciale riguardanti medie e grandi strutture di vendita, per le quali ultime
trova applicazione, in particolare, la misura fissata dall'art.
4, comma 5, della l.r. 23 luglio 1999 n. 14 (duecento per cento della
superficie lorda di pavimento degli edifici previsti, di cui almeno la metà per
parcheggi).
Comma 4: sempre in sede di adeguamento del
piano regolatore, i comuni determinano, anche in forma parametrica, la misura
degli standard aggiuntivi eventualmente richiesti da nuove destinazioni d'uso
rispetto a quelle precedenti, nonché le modalità del loro reperimento.
In sede di rilascio del provvedimento abilitativo, ogniqualvolta venga
presentata un'istanza di modificazione di destinazione d'uso mediante opere,
l'Amministrazione comunale procederà alla verifica delle modifiche delle
destinazioni d'uso già intervenute e delle cessioni di standard effettuate.
In tale ipotesi, le Amministrazioni comunali sono tenute a ricostruire tutte le
trasformazioni d'uso in precedenza avvenute,al fine di assicurare una dotazione
di standard corrispondente ai limiti di legge.
L'onere di tale verifica, in caso di utilizzo della denuncia di inizio di
attività, incombe sul dichiarante, cui spetta, altresì proporre le modalità
di conferimento degli standard.
Comma 6: la norma prevede un
ulteriore caso di variante al P.R.G. a procedura semplificata, ossia a procedura
di esclusiva competenza comunale secondo la l.r.
23/1997.
Si precisa che il rinvio alla l.r.
23/1997 è circoscritto ai soli profili procedurali (art. 3), non anche a
quelli sostanziali, restando per ciò stesso escluso l'obbligo di verificare il
rispetto dei presupposti e dei limiti di cui all'art. 2 della medesima l.r. n.
23.
Art. 2 - (Mutamenti di
destinazione d'uso con o senza opere edilizie)
Va premesso che le disposizioni
dell'articolo in commento, in quanto dichiarate dal successivo art. 8
"immediatamente prevalenti" rispetto agli strumenti di pianificazione
urbanistica comunale o sovracomunale, sono operative a tutti gli effetti a far
tempo dall'entrata in vigore della legge, ovviamente entro i limiti indicati
dalle disposizioni medesime.
Il comma 1 tratta dei mutamenti di destinazione d'uso connessi alla
realizzazione di opere edilizie, prescrivendo che il medesimo provvedimento
necessario per l'esecuzione dell'intervento (ad es., concessione edilizia per
ristrutturazione) autorizza anche la nuova destinazione d'uso.
Lo stesso principio di unicità del provvedimento abilitativo vale in relazione
alla D.I.A., qualora ci si avvalga di questa facoltà.
Tale principio è essenzialmente volto ad impedire che, disgiungendo gli
interventi edilizi da quelli diretti alla modificazione delle destinazioni
d'uso, risulti alterata la qualificazione complessiva dell'intervento.
Conseguente, il provvedimento unico da rilasciarsi da parte dell'Amministrazione
comunale risulterà determinato dal tipo di opere che si vogliono eseguire,
intendendosi a tale riguardo non incidente la connessa istanza di mutamento di
destinazione d'uso.
La norma va applicata con riferimento anche a quanto previsto dall'art. 1, comma
3 che ricollega alle modificazioni delle destinazioni d'uso eventuali
adeguamenti della dotazione di standard.
In definitiva, si ripete, la norma è volta ad impedire un'artificiosa
separazione fra i provvedimenti abilitativi delle opere e quelli della modifica
delle destinazioni d'uso.
Il comma 2 tratta, invece, dei mutamenti di destinazione d'uso non comportanti
la realizzazione di opere edilizie, prevedendo per gli stessi, in luogo di
qualsivoglia provvedimento abilitativo (esplicito o implicito), una semplice
comunicazione preventiva al comune da parte dell'interessato. Naturalmente, i
predetti mutamenti di destinazione d'uso devono risultare "conformi alle
previsioni urbanistiche comunali".
Il medesimo comma 2 introduce un'ulteriore semplificazione procedurale,
escludendo dal previsto obbligo di comunicazione le modificazioni di
destinazione d'uso senza opere, sempre conformi alle previsioni urbanistiche,
che interessino unità immobiliari o loro parti per una superficie lorda di
pavimento inferiore a 150 metri quadrati e purché non si tratti di beni
assoggettati a vincolo monumentale.
La norma in commento definisce, quindi, le procedure per autorizzare le
modifiche di destinazione d'uso, rispettivamente con opere o senza opere
edilizie.
In entrambi i casi, presupposto essenziale per l'utilizzo di tali procedure è,
naturalmente, la conformità urbanistica della destinazione che si intende
imprimere all'immobile.
Essendo la norma in commento immediatamente applicabile, pare opportuno
specificare che il requisito della conformità alle previsioni urbanistiche
comunali è da intendersi riferito al vigente P.R.G., sia esso già adeguato ai
sensi dell'art. 1 o non ancora adeguato.
Nel primo caso la predetta conformità è da intendersi quale non esclusione
esplicita della nuova destinazione d'uso; nel secondo caso la medesima conformità
ricorre nell'accezione previgente, come appartenenza della funzione cui si vuole
adibire l'immobile all'elenco delle funzioni ammissibili nella zona omogenea di
appartenenza.
Art. 3 - (Sanzioni
amministrative)
Corrispondentemente alla nuova
disciplina dei mutamenti di destinazione d'uso, le regole sanzionatorie della
legge 47/1985 sono integrate da disposizioni repressive di natura amministrativa
riferite alle ipotesi previste dagli artt. 1 e 2.
In particolare, il comma 2 del presente articolo prevede, per l'ipotesi di
avvenuto mutamento di destinazione d'uso senza opere, in difformità dalle
previsioni urbanistiche, una sanzione pecuniaria "pari all'aumento del
valore venale dell'immobile o sua parte". Sul punto, è utile precisare
che il relativo accertamento può essere fatto anche direttamente a cura
dell'Ufficio tecnico comunale.
Art. 4 - (Ristrutturazione
edilizia degli edifici esistenti in zona agricola)
Comma 1: la norma amplia i
casi di esonero dall'obbligo del possesso dei requisiti soggettivi previsti
dalla l.r. 93/1980, estendendolo a tutti gli interventi di ristrutturazione
edilizia e di ampliamento consentiti dagli strumenti urbanistici comunali.
La disposizione non innova il regime di gratuità della concessione edilizia
come stabilito dalla l.r. 93/1980, e per gli interventi riguardanti edifici
(abitativi e produttivi) adibiti aduso agricolo, restano fermi gli obblighi di
cui al comma 2 art. 3 della medesima legge.
Comma 2:
l'agevolazione del comma 1 non trova applicazione in presenza di un contratto
d'affitto rustico, salvo che si tratti di edifici dismessi da più di 5 anni,
con onere di dimostrazione a cura del richiedente.
L'ultimo periodo del comma in esame impone che gli interventi di cui al comma 1
vengano progettati e realizzati senza compromettere l'esercizio dell'attività
agricola sul compendio non direttamente interessato dagli stessi.
Spetta al comune la verifica dell'effettiva tutela dell'attività agricola,
nonché dell'eventuale ripristino della stessa in sede di esame di D.I.A. o di
rilascio di concessione edilizia.
E', infatti, opportuno precisare che il senso della norma risiede nell'esigenza
di favorire il riutilizzo del patrimonio edilizio esistente nelle zone agricole,
senza però che tali iniziative prefigurino un diverso assetto urbanistico delle
zone, né una diversa zonizzazione delle aree.
Titolo II - NORME PER L'INTERVENTO NEI CENTRI STORICI
Art. 5 - (Sostituzione dell'art. 17
della l.r. 15 aprile 1975, n. 51)
Commi 1 e 2: si
segnala che, ai fini dell'individuazione dei centri e nuclei storici e della
conseguente loro perimetrazione mediante la comparazione della situazione
esistente con la prima levata delle tavolette I.G.M. 1/25.000, trova
applicazione anche l'art. 19 delle Norme di attuazione del Piano territoriale
paesistico regionale (Volume 6) da leggersi, relativamente ai rapporti con la
viabilità storica, in correlazione con il successivo art. 20 delle stesse
norme. Le disposizioni normative succitate trovano ulteriori e più articolati
criteri di applicazione, sia in riferimento alla delimitazione dei centri e
nuclei storici, sia all'individuazione delle modalità di tutela degli stessi
nel p. 1, "Insediamenti e sedi antropiche", della Parte II degli
"Indirizzi di tutela" dello stesso documento di piano (Volume 6).
Va inoltre rilevato che, a seguito dell'entrata in vigore del P.T.P.R., si
applica l'art. 24 delle stesse Norme di attuazione "Indirizzi per la
pianificazione comunale e criteri per l'approvazione dei P.R.G.", ai sensi
del quale è previsto che l'approvazione di P.R.G. o varianti al P.R.G. sia
subordinata al corretto riscontro di tutti gli elementi indicati al comma 3
dello stesso articolo, adempimento questo in capo all'Amministrazione comunale
nel caso di variante di adeguamento ai sensi dell'art. 9, comma 2, della legge
in commento.
Si segnala, infine, che sia i "Criteri per l'esercizio delle funzioni
amministrative ai sensi della l.r. 9 giugno 1997, n. 18", approvati con
d.g.r. n. 30194 del 25 luglio 1997, sia i "Criteri relativi ai contenuti di
natura paesistico-ambientali del piano territoriale di coordinamento provinciale
(P.T.C.P.) ai sensi della l.r. 9 giugno 1997, n. 18", approvati con d.g.r.
n. 47670 del 29 dicembre 1999, contengono utili riferimenti e materiali
conoscitivi e informativi (per esempio l'indicazione delle cartografiche
storiche disponibili per ogni comune della Lombardia e ove reperirle) di
supporto ai fini dell'applicazione delle Norme di P.T.P.R., con particolare
riferimento ai temi della lettura e della tutela della struttura insediativa
storica.
Comma 3: la nuova formulazione della disciplina riguardante gli
interventi nei centri storici e nei nuclei di interesse storico altrove
collocati rimuove un limite contenuto nella l.r. 51/1975, che nel corso degli
anni si era rivelato assai restrittivo, non prevedendo più l'obbligo di
subordinazione a pianificazione attuativa per gli interventi di ristrutturazione
edilizia, bensì solo per la ristrutturazione urbanistica e gli interventi di
nuova edificazione, nonché assimilando alla pianificazione attuativa la
concessione edilizia convenzionata.
E` di tutta evidenza la forte portata innovativa di una disposizione di tal
fatta da intendersi, naturalmente, non tanto nella logica di una minor
salvaguardia (non assicurata dalla sola complicazione procedurale) quanto
nell'intenzione di semplificare al massimo le possibilità operative nei centri
storici e, quindi, di favorirne il recupero attraverso una snellezza
amministrativa che è anche economicità d'azione e garanzia di buon risultato.
In altri termini, la realtà effettuale ha ampiamente dimostrato che la concreta
salvaguardia dei centri storici è strettamente connessa a modalità di
intervento più semplici.
Ad analoghe ragioni di semplicità corrisponde la previsione che nei centri
storici gli interventi di ristrutturazione urbanistica o di nuova edificazione
siano subordinati, con scelta da effettuarsi nel P.R.G. o nella variante di
adeguamento ex art. 9, a pianificazione attuativa o a concessione convenzionata.
E` proprio quest'ultima previsione ad avere il carattere della novità,
consentendo per gli interventi di cui trattasi una speditezza operativa
derivante dall'utilizzazione della concessione edilizia semplice, pur corredata
del convenzionamento degli aspetti planivolumetrici.
In questo caso fa il suo ingresso in sede legislativa la figura della
concessione convenzionata, quale strumento intermedio fra concessione e atti di
pianificazione attuativa.
Nel silenzio della legge è da ritenersi che la scelta tra gli strumenti
operativi (piano attuativo o concessione convenzionata) sia effettuata
dall'Amministrazione comunale in ordine alle caratteristiche di maggiore o
minore complessità dell'intervento edilizio, fermi restando, in entrambi i
casi, gli obblighi di concorso ai conseguenti fabbisogni urbanizzativi e di
standard.
Comma 4: di non minore portata innovativa è l'ultimo comma della
norma in esame laddove il limite del rispetto della densità esistente è
espressamente esteso dagli interventi meramente conservativi a tutti quelli
previsti dall'art. 31 della legge 457/1978, ivi compresi, pertanto, gli
interventi di ristrutturazione edilizia, di demolizione-ricostruzione e di
ristrutturazione urbanistica.
Una norma, questa, anch'essa da intendersi espressione di una esigenza di
maggiore semplicità amministrativa e maggiore facilità d'intervento.
Titolo III - NORME PER LA DETERMINAZIONE DELLA CAPACITA` INSEDIATIVA E PER LA
DOTAZIONE DI AREE PER ATTREZZATURE PUBBLICHE E DI USO PUBBLICO
Art. 6 - (Sostituzione dell'art. 19
della l.r. 15 aprile 1975, n. 51)
La norma traduce l'esigenza di
superare una disciplina, quale quella contenuta nella legge
51/1975, divenuta ormai obsoleta perché non più corrispondente alla reale
situazione abitativa lombarda.
Superando il burocratico riferimento a perimetrazioni quali quelle del centro
edificato, rivolte a fini eterogenei rispetto alla pianificazione urbanistica,
la nuova normativa distingue il territorio comunale in due ambiti: le aree
edificate e le aree di espansione ed i lotti liberi. Per le aree edificate, il
calcolo della capacità insediativa è riferito al numero degli abitanti
residenti, rilevati al 31 dicembre dell'anno antecedente l'adozione del piano,
più gli abitanti insediabili in base agli incrementi volumetrici o di
superficie utile consentiti.
Nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia ed urbanistica che
interessino aree già residenziali, la volumetria esistente non viene computata,
mentre rilevano, in termini di abitanti insediabili, eventuali incrementi
volumetrici.
Viceversa, nel caso di interventi di recupero urbanistico comportanti mutamenti
di destinazione d'uso rispetto ad una precedente destinazione non residenziale
(ad es. le c.d. aree dismesse) viene calcolata solo la volumetria oggetto di
cambio di destinazione d'uso in senso residenziale, oltre beninteso
all'eventuale volumetria aggiuntiva.
Lo stesso dicasi per la capacità insediativa riguardante le zone di espansione.
La novità in tal caso, rispetto alla previgente normativa, è costituita
dall'incremento di volume residenziale (da 100 a 150 mc) per ogni abitante
insediabile; il che è maggiormente corrispondente alle caratteristiche
abitative della Lombardia.
Inoltre, sempre al fine di evitare ogni astrazione nella determinazione del
dimensionamento dei piani regolatori, è attribuita ai comuni la facoltà di
modificare, in aumento o in diminuzione, tale valore di 150 mc (non a caso
definito valore medio) in relazione alle reali caratteristiche del sistema
abitativo locale (indici di affollamento e tipologie edilizie esistenti o
previste). In altri termini, viene riconosciuta ai comuni la possibilità di
un'autonoma valutazione di realtà insediative che si discostino dal valore
medio regionale, in riferimento sia all'intero territorio comunale, sia a
particolari enclaves insediative, purchè tale valutazione sia
suffragata da adeguata motivazione.
Ragioni di precisione normativa, oltre che di chiarezza e semplicità
applicativa, motivano la previsione contenuta al comma 2, che attribuisce al
comune la facoltà di utilizzare,per definire il concetto di superficie utile
residenziale (necessario per calcolare il dimensionamento), gli stessi criteri
già di consueto uso per la determinazione del costo di costruzione ex lege
10/1977.
Sempre in ossequio ad un criterio di effettività, è previsto al comma 4 il
computo anche delle presenze turistiche temporanee o stagionali secondo elementi
di rilevazione a tal fine predisposti dal comune stesso.
Al riguardo si precisa che tale computo risulta funzionale a garantire una
congrua dotazione di servizi. Dal computo sono escluse le strutture ricettive
alberghiere, in quanto normate in termini specifici all'art. 7, punto 6, lettera
b).
Art. 7 - (Sostituzione dell'art.
22 della l.r. 15 aprile 1975, n. 51)
Il presente articolo sostituisce in
blocco l'art. 22 della legge
urbanistica regionale 51/1975, dettando una disciplina completamente nuova
in materia di standard.
In particolare, vengono poste le premesse perché i piani regolatori generali
approccino in termini innovativi la tematica dei servizi pubblici, inserendola
in un più ampio progetto di qualificazione dello sviluppo urbanistico.
L'obiettivo prefissato dal legislatore regionale è quello di ridare certezza
agli standard non solo in termini quantitativi, ma anche di realizzabilità e di
gestione.
Essendo la disciplina in esame ispirata a principi del tutto nuovi, ne deriva
che i disposti del d.m. n. 1444 del 1968
in materia di standard (artt. 3 - 4 - 5 - 6) devono considerarsi superati in
toto.
Infatti, diversamente dalla precedente formulazione dell'art. 22, la nuova
disciplina regionale fa esplicito riferimento al citato d.m. del 1968
esclusivamente per quanto attiene alla definizione delle zone omogenee.
Con l'articolo in esame fa il suo ingresso ufficiale nella legislazione
urbanistica lombarda il Piano dei servizi, già presente in alcune elaborazioni
locali, ma senza veste giuridica.
Esso è previsto come contenuto obbligatorio di P.R.G. (quale allegato alla
relazione) ed è approvato con l'approvazione del P.R.G., ovvero con specifica
procedura semplificata ai sensi della l.r.
23/1997.
La legge ne definisce la finalità di strumento programmatico che, a partire
dalla ricognizione dello stato dei servizi pubblici e di interesse pubblico o
generale, sia sotto il profilo della loro consistenza e razionale ubicazione,
che dell'effettiva fruibilità da parte dei cittadini, orienta le scelte di
pianificazione.
Alla Giunta Regionale è attribuito il compito di precisare tali finalità
mediante la predisposizione di criteri per la redazione del piano stesso.
Peraltro è riconosciuta ai comuni la possibilità di redigere e approvare il
proprio Piano dei servizi anche in assenza di tali criteri, purché
nell'osservanza di alcuni contenuti definiti dalla legge, in parte obbligatori e
in parte facoltativi, ma di grande rilievo.
L'obbligatorietà (comma 7, lettera a) riguarda la determinazione dei tipi di
servizi di interesse generale esistenti, o che si intendono realizzare, e la
dimostrazione della idoneità dei siti per essi prescelti.
Accanto a tale funzione, per così dire di base, il Piano dei servizi è poi lo
strumento tecnico mediante il quale le Amministrazioni comunali possono:
a) operare sul dimensionamento degli standard in modo mirato per particolari e
localizzate situazioni insediative, con riferimento alla decisione di applicare
parametri di valutazione della capacità insediativa teorica che si discostino,
in aumento o in diminuzione rispetto ai 150 mc/ab., in relazione agli indici di
affollamento e alle tipologie edilizie esistenti e previste (art. 6, primo
comma, lettera b);
b) ridurre la dotazione di standard per previsioni di carattere residenziale,
nei casi e alle condizioni di cui all'art. 7, quinto comma, lettere b) e c);
c) conteggiare servizi ed attrezzature anche private fra quelle idonee al
raggiungimento delle dotazioni minime di legge (art. 7, comma 7, lettera b,
punto 2);
d) individuare criteri di computo degli standard riferiti anche al loro valore
economico (art. 7, comma 7, lettera c).
Fino all'approvazione del Piano dei servizi, non potranno essere esercitate le
facoltà in precedenza descritte, ferme restando le possibilità riconosciute
dall'art. 6 della l.r. 9/1999 in riferimento ai programmi integrati di
intervento.
Ogniqualvolta dall'approvazione del Piano dei servizi conseguano modificazioni
alle vigenti previsioni urbanistiche, dovrà essere contestualmente approvata
una variante parziale di adeguamento secondo la procedura semplificata di cui
alla l.r. 23/1997.
Oltre a tali funzioni, dalla definizione legislativa delle finalità del Piano
dei servizi discende che esso può essere utilizzato anche per aggiornare le
previsioni dei Piani regolatori divenute inapplicabili a seguito della scadenza
temporale dei vincoli dagli stessi imposti.
In tal caso, il Piano dovrà accompagnarsi alla variante generale o parziale di
adeguamento di cui all'art. 9 della legge, nel rispetto, si ricorda, anche di
quanto richiamato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 179/1999.
Infine, costituendo il Piano dei servizi elemento del P.R.G., esso subisce
variazione da tutti quegli atti (quali ad esempio gli accordi di programma ex
art. 34 del d.lgs. n. 267/2000)
idonei ad introdurre varianti ai Piani regolatori comunali.
L'art. 7 introduce novità nel dimensionamento degli standard per funzioni
residenziali nel senso di prevederne una maggiore articolazione rispetto alla
previgente disciplina ed in taluni casi anche una riduzione, sempre entro il
limite di 18 mq/ab.
Tali facoltà riduttive, in quanto strettamente connesse a motivazioni
specifiche che il Piano dei servizi deve esplicitare in riferimento ai criteri
regionali di cui al comma 3 del nuovo art. 22, risultano esercitabili solo una
volta approvati gli stessi criteri e il Piano dei servizi.
Agli stessi criteri semplificativi e riduttivi si ispirano le norme riguardanti
gli interventi non residenziali.
Si segnala, in particolare, una facoltà, attivabile da parte del privato (comma
6, lettera d), di dimensionare la dotazione di aree a standard sul valore del
settantacinque per cento della s.l.p., qualora si sia in presenza di piani
attuativi comportanti una pluralità di funzioni, senza indicazioni di rapporti
percentuali minimi, con la sola eccezione che in caso di realizzazione di
interventi commerciali mediante grandi strutture di vendita trova conferma
l'obbligatorio parametro del duecento per cento.
E' infine da osservare che, sempre subordinatamente all'approvazione del Piano
dei servizi, possono essere computate quali standard attrezzature e servizi
realizzati da privati in base ad apposito atto di asservimento o di
convenzionamento.
Art. 8 - (Criterio di prevalenza)
Utilizzando un criterio già sperimentato in precedenza, la norma prevede che
talune disposizioni della legge abbiano efficacia modificativa rispetto a
difformi contenuti di norme comunali e sovracomunali, anche di rango
legislativo.
In particolare, risultano, pertanto, immediatamente operative le disposizioni
riguardanti taluni tipi di mutamenti di destinazione d'uso, le sanzioni e le
ristrutturazioni in zona agricola, nonché, parzialmente, quanto previsto in
ordine agli interventi nei centri storici ed agli standard.
Art. 9 - (Adeguamento alle norme del Titolo
III)
Oltre ai casi di immediata
prevalenza descritti dall'articolo precedente, la legge prevede un obbligo di
adeguamento, senza però individuarne il termine temporale, per ciò che
concerne gli interventi nei centri storici, il dimensionamento dei piani e la
dotazione di aree per attrezzature pubbliche, delineando una facoltà di scelta
fra due procedure: la prima, in sede di revisione del piano regolatore generale
(formalmente riferita solo al titolo III, ma ratione materiae riferita
anche agli interventi nei centri storici); la seconda mediante una variante
parziale della quale importa soprattutto segnalare l'approvabilità mediante
l'utilizzazione della procedura semplificata di cui alla l.r.
23/1997. A questo proposito, occorre ancora una volta sottolineare che il
rinvio alla l.r. 23/1997, operato dall'art. 9 in esame, è da intendersi
circoscritto ai soli profili procedurali (art. 3), non anche a quelli
sostanziali, restando per ciò stesso escluso l'obbligo di verificare il
rispetto dei presupposti e dei limiti di cui all'art.
2 della medesima l.r. n. 23.
E' appena il caso di rilevare che l'adeguamento mediante variante parziale potrà
farsi anche attraverso una pluralità di varianti assunte in tempi diversi.
La stessa procedura semplificata si applica per l'approvazione del Piano dei
servizi.
Particolare attenzione merita la problematica relativa alla ridefinizione del
dimensionamento di piano secondo i criteri del nuovo art. 19, laddove la stessa,
comportando un minore fabbisogno di standards, determini la possibilità di
attribuire ad aree prima vincolate a standard una diversa destinazione
urbanistica.
E' evidente che la scelta, ad opera del comune, di quali aree confermare a
standard e quali invece trasformare presuppone una valutazione complessiva in
ordine allo stato dei servizi esistenti, alla loro razionale distribuzione sul
territorio e soprattutto alla effettiva necessità di nuovi servizi da
realizzare.
E' da considerare, inoltre, che, in riferimento alle aree a suo tempo vincolate
a standard, la "liberalizzazione" di alcune significa implicitamente,
per le altre, conferma della previsione vincolistica, con le conseguenze in
ordine all'obbligo di motivazione e di indennizzo richiamate dalla sentenza
della Corte costituzionale n. 179/1999.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, si esprime l'avviso che, in
riferimento alle aree già destinate a standard, una diversa classificazione
delle stesse che consegua al nuovo computo della capacità insediativa di piano
può avvenire anche in sede di adeguamento a mezzo di variante parziale ai sensi
della l.r. 23/1997, che abbia i
contenuti degli artt. 19 e 22 della l.r. 51/1975, come sostituiti dagli artt. 6
e 7 della legge in commento.
Si precisa che, sempre ai fini della ripianificazione delle aree nel contesto
della predetta variante di adeguamento, non rilevano i limiti di cui all'articolo
2 della l.r. 23/1997, essendo il rinvio a quest'ultima legge circoscritto ai
soli profili procedurali.
Di particolare interesse è la facoltà attribuita ai comuni di procedere o meno
all'adeguamento alla legge di piani regolatori generali o varianti (generali o
parziali) degli stessi, qualora si tratti di strumenti in fase di adozione. Al
riguardo, si ritiene si versi in tale situazione qualora siano state avviate le
procedure di pubblicizzazione previste dalla l.r. 1/2000.