EDILIZIA - 002

RIQUALIFICAZIONE URBANA E STRUMENTI NORMATIVI

LA LEGGE REGIONALE LOMBARDIA 19 NOVEMBRE 1999, N. 22

(Giovanni Daleffe - avvocato in Bergamo)

Lo scopo di questo intervento, che non ha pretese di novità o di completezza, è quello di evidenziare l’introduzione, con la più recente produzione legislativa, di una serie di strumenti volti ad agevolare l’esecuzione di interventi edilizi particolarmente incisivi sotto il profilo della riqualificazione e del recupero urbano.
Fra gli interventi più rilevanti in questo ambito, va annoverata la recente legge regionale 22 del 1999, che ha introdotto significative novità concernenti la realizzazione di nuovi parcheggi, l’estensione della facoltà di sostituire i tradizionali provvedimenti concessori ed autorizzativi con una denuncia di inizio di attività e l’ampliamento della possibilità di recuperare a fini abitativi i sottotetti esistenti.
Cercherò, quindi, di esaminare le singole disposizioni, per evidenziarne le caratteristiche principali e per indicare alcuni dei problemi posti dall’ordito normativo.

1. I parcheggi.

La materia è regolata dagli articoli 1, 2 e 3 della legge regionale 19 novembre 1999, n. 22 (nel seguito «l.r. 22/99»). I primi due articoli si occupano della localizzazione dei parcheggi, della definizione del rapporto di pertinenza e della disciplina degli interventi. Il terzo articolo introduce, invece, la facoltà per i Comuni di concedere ai privati in diritto di superficie aree di proprietà, al fine di realizzare parcheggi pertinenziali privati.

Un primo aspetto sul quale vale la pena di soffermarsi riguarda l’individuazione dei soggetti legittimati alla realizzazione dei parcheggi pertinenziali.
L’articolo 1 si riferisce genericamente al proprietario dell’area ed agli aventi diritto ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 10 del 1977.
Per l’individuazione dei soggetti, diversi dal proprietario, può essere sufficiente rinviare all’articolo 1 del testo tipo di R.E. approvato dalla Giunta della Regione Lombardia con delibera 6/38573 del 25 settembre 1998. 1
Sembra, invece, opportuno ricordare, con riguardo all’ipotesi in cui la richiesta provenga da un condominio, che l’articolo 9, comma 3, legge n. 122 del 1989 e successive modifiche, stabilisce che l’intervento debba essere assentito dall’assemblea condominiale con le maggioranze di cui all’articolo 1136, comma 2, codice civile, sia in prima che in seconda deliberazione, fermo restando il disposto dell’articoli 1120, comma 2, e 1121, comma 3, codice civile.

La delibera condominiale, dunque, deve essere approvata dalla maggioranza degli intervenuti, che rappresentino almeno la metà del valore dell’immobile (articolo 1136, comma 2, codice civile). Non potranno, invece, essere assentiti interventi che possano recare pregiudizio alla statica ed alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino (articolo 1120, comma 2, codice civile). 2

Fatte queste brevi precisazioni in ordine ai soggetti legittimati, si possono segnalare alcuni dei più rilevanti aspetti di novità introdotti dalla legge regionale.

Più in particolare:

a)- mentre la legge Tognoli si riferiva soltanto a parcheggi pertinenziali ad uso esclusivo dei residenti, la l.r. 22/99 riguarda parcheggi "da destinarsi a pertinenza di unità immobiliari residenziali e non" (articolo 1, comma 1, l.r. 22/99);
b) - la legge statale consentiva la realizzazione di parcheggi in aree pertinenziali esterne al fabbricato; la l.r. ammette tali interventi anche "esternamente al lotto di appartenenza, senza limiti di distanza dalle unità immobiliari cui è legato da rapporto di pertinenza, purché nell’ambito del territorio comunale o in comuni contermini";
c)- la l.r., riprendendo le disposizioni della legge Tognoli, ribadisce che i parcheggi nel sottosuolo o al piano terreno devono essere compatibili con il piano del traffico, se esistente, con l’uso delle aree sovrastanti e con la tutela dei corpi idrici 3, precisando, poi, che la deroga di cui all’articolo 9 della legge n. 122 del 1989 è necessaria solo in presenza di specifiche destinazioni urbanistiche del sottosuolo. Non costituisce ostacolo, invece, il fatto che l’area sovrastante sia destinata ad attrezzature pubbliche o di uso pubblico (articolo 2, comma 2, l.r. 22/99).

Detto questo, appare opportuno soffermarsi su due aspetti: i limiti ed i modi di costituzione del rapporto di pertinenzialità e la qualificazione urbanistica degli interventi in questione.

Quanto al primo aspetto, l’articolo 1, comma 2, l.r. 22/99, stabilisce che "il rapporto di pertinenza è garantito da un atto unilaterale (…) da trascrivere nei registri immobiliari".
In sé considerata, la formalità non pone problemi particolari: va solo precisato che l’atto dovrà riguardare non solo gli spazi a parcheggio, ma anche l’area, qualora sia ubicata al di fuori del mappale di pertinenza del fondo, e che la sottoscrizione di tale impegno deve essere al più tardi contestuale alla presentazione della domanda dell’atto di assenso o al deposito della d.i.a. 4
Il vero problema consiste, piuttosto, nello stabilire i limiti esatti del concetto di pertinenza, posto che la possibilità di realizzare parcheggi anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti concerne solo i parcheggi pertinenziali. 5
Argomentando dalla disposizione dell’articolo 817 codice civile, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che il rapporto di pertinenzialità richiede "una stretta correlazione fisico-strutturale del parcheggio con la consistenza del fabbricato preesistente e delle relative unità immobiliari, ovvero con le esigenze effettive del fabbricato a cui deve inerire ed a cui deve essere adeguato". 6
Non è difficile rendersi conto che si tratta di un criterio tutt’altro che oggettivo e che, sul punto, non mancheranno vertenze tra la p.a. ed i soggetti interessati alla realizzazione dei singoli interventi, tanto che sarebbe stato auspicabile il ricorso – da parte del legislatore regionale - ad un indice certo, espresso in termini numerici eventualmente variabili entro una forbice definita a seconda della destinazione dell’edificio cui i parcheggi accedono.

Si può, quindi, affrontare il problema della qualificazione degli interventi in esame.

L’articolo 2, comma 2, l.r. 22/99, stabilisce che "i parcheggi sono considerati opere di urbanizzazione ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera f), della legge 10/77".
La disposizione, per quanto poco felice sotto il profilo tecnico-giuridico, è foriera di importanti conseguenze e di non meno rilevanti problemi interpretativi.
Occorre, infatti, chiedersi, in primo luogo, a quali parcheggi si riferisca la norma, se a tutti indistintamente gli spazi di sosta o solo a quelli pertinenziali.
Secondo la circolare 06.12.1999, n. 60 7, il legislatore regionale avrebbe inteso riferirsi a tutti i parcheggi e non solo a quelli pertinenziali: tutti questi interventi, infatti, devono essere considerati come opere di urbanizzazione primaria ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 847 del 1964.
Dalla qualificazione dei parcheggi come opere di urbanizzazione, la circolare fa discendere due importanti conseguenze, cioè che tutti gli atti abilitativi necessari per la loro realizzazione sono gratuiti e che tutti i parcheggi possono essere realizzati a scomputo degli oneri di urbanizzazione.
In realtà, mi sembra che si faccia un po’ di confusione e che si debba comunque distinguere tra parcheggi pertinenziali ed altri spazi di sosta.
Per i primi, infatti, la gratuità discende dalla stessa legge Tognoli, che ne subordina la realizzazione ad autorizzazione gratuita.
Per quanto concerne, invece, i parcheggi non pertinenziali, occorre sottolineare che l’articolo 2, comma 2, l.r. 22/99 supera, in quanto legge posteriore, il disposto dell’articolo 4, comma 4, legge regionale 5 dicembre 1977, n. 60, secondo cui "i volumi e gli spazi destinati al ricovero di autovetture non sono computati (ai fini della determinazione degli oneri concessori - n.d.r.), salvo che per la quota eccedente quella richiesta obbligatoriamente per parcheggio". 8
Per quanto riguarda, poi, la realizzazione di parcheggi a scomputo degli oneri di urbanizzazione, tale facoltà sembrerebbe esclusa per i parcheggi pertinenziali: a prescindere dal fatto che si tratta di interventi che di solito riguardano aree già urbanizzate, non si vede come gli stessi possano essere realizzati a scomputo di oneri non dovuti.

Un secondo problema posto dalla formulazione della norma in commento riguarda, poi, l’individuazione dell’atto di assenso necessario.
Il quesito si pone perché la lettera dell’articolo 2, comma 2, l.r. 22/99, rimanda all’articolo 9 della legge 10/77, cioè alle ipotesi di c.e. gratuita; si potrebbe, quindi, essere indotti a ritenere che la realizzazione di parcheggi debba essere assoggettata a c.e., ma tale assunto appare, oltre che semplicistico, assai pericoloso.
Anche a questo proposito, infatti, occorre distinguere tra parcheggi pertinenziali e non.
Quanto ai primi, si è già detto che l’articolo 9, comma 2, l. 122/89, subordina tali interventi ad autorizzazione gratuita. Va aggiunto che l’articolo 4, comma 7, lettera h), decreto-legge n. 398 del 1993, convertito dalla legge n. 493 del 1993 e successive modifiche, autorizza il ricorso alla d.i.a. per la realizzazione di parcheggi di pertinenza nel sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato.
Per i secondi, invece, si renderà necessaria una concessione edilizia (gratuita), salva, in entrambi i casi la possibilità di presentare una d.i.a. secondo quanto prevede l’articolo 4 della stessa l.r. 22/99, che esamineremo appresso.

Si potrebbe obiettare che, da un punto di vista pratico, non vi è una grande diversità, trattandosi in entrambi i casi di provvedimenti gratuiti. In realtà la vera differenza risiede nel diverso regime sanzionatorio previsto dalla legge che si limita a sanzioni di carattere amministrativo per gli interventi soggetti ad autorizzazione, mentre prevede anche pesanti sanzioni penali per quelli che necessitano di c.e.

2. Denuncia di inizio attività (D.I.A.).

I principi e l’ambito di applicazione della nuova d.i.a. (meglio nota nella pratica come super-d.i.a.) sono contenuti negli articoli 4 e 5 della l.r. 22/99.
Devo premettere (ma si tratta di una mia personalissima opinione) che la norma poteva essere meglio formulata e si poteva prestare forse più attenzione ad un razionale coordinamento tra le disposizioni regionali e la normativa statale di riferimento.

Fatta questa premessa, il primo comma dell’articolo 4 stabilisce che la d.i.a. è disciplinata dai successivi articoli sulla base dei principi di cui all’articolo 19, legge 7 agosto 1990, n. 241. 9
Si tratta di una disposizione sulla quale è opportuno soffermarsi per ricordare che il nostro ordinamento conosce almeno due diversi tipi di d.i.a.: la prima e più generale è, appunto, quella disciplinata dall’articolo 19 della legge n. 241 del 1990; la seconda, invece, riguarda il solo ambito urbanistico-edilizio, ed è stata introdotta con l’articolo 4, comma 7 e seguenti, decreto-legge n. 398 del 1993, convertito dalla legge n. 493 del 1993, e successive modificazioni.
Vale quindi la pena di sottolineare che la cornice nella quale si iscrive l’intervento legislativo regionale è costituita dalla prima delle due d.i.a indicate i cui principi sono stati appunto estesi anche alla materia in questione e si avrà modo di vedere quali siano in concreto le conseguenze di tale rinvio.

Detto questo, i commi 2 e 3 dell’articolo 4, l.r. 22/99, si preoccupano di definire l’ambito di applicazione del provvedimento, stabilendo che sono subordinati a denuncia di inizio di attività:

a)- gli interventi di cui all’articolo 4, decreto-legge n. 398 del 1993, convertito dalla legge n. 493 del 1993 e successive modifiche, cioè – in pratica - le ipotesi indicate nel comma 7 della predetta norma; 10
b)- gli interventi sottoposti ad autorizzazione in base alla legislazione vigente, cioè:

- la manutenzione ordinaria (articolo 48, legge n. 457 del 19788);
- gli interventi indicati dall’articolo 7, decreto-legge n. 9 del 1982, convertito dalla legge n. 94 del 1982: manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo (articolo 31, lettere b) e c), legge n. 457 del 1978); opere costituenti pertinenze o impianti tecnologici al servizio di edifici esistenti; occupazioni di suolo mediante deposito di materiali o esposizione di merci a cielo libero; demolizioni, reinterri e scavi che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere;
- le opere esterne necessarie per l’eliminazione delle barriere architettoniche (articolo 7, legge n. 13 del 1989);
- le opere necessarie alla riduzione dei consumi energetici (articolo 7, legge n. 13 del 1989);
- i parcheggi pertinenziali ad edifici residenziali esistenti (articolo 7, legge n. 122 del 1989);

c)- gli interventi edilizi definiti nell’allegato A della delibera giunta regionale lombarda n. 6/38573 del 25 settembre 1998, cioè a dire:

- recupero del patrimonio esistente (manutenzione ordinaria e straordinaria; restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia);
- modifiche ed integrazioni del patrimonio esistente (sopralzo, ampliamento e demolizione);
- ricostruzione edilizia;
- nuova edificazione.

Non è difficile rendersi conto del perché la formulazione della norma lasci molto a desiderare: i tre ambiti di intervento individuati dalla legge regionale presentano numerose interferenze e, in ogni caso, l’ipotesi sub c) è sufficientemente ampia per comprendere tutte quelle precedenti. Oltre a ciò, si è persa un’occasione propizia per intervenire a fare chiarezza sugli esatti confini delle singole figure di interventi edilizi . 11

Ad ogni buon conto, riferito l’ambito di applicazione della d.i.a., il legislatore regionale si è anche preoccupato di precisare le condizioni alle quali è possibile fare ricorso al nuovo strumento; occorre infatti:

- che il progetto sia conforme alla normativa urbanistica vigente; 12
- che l’interessato abbia acquisito dalla competente autorità le necessarie autorizzazioni, qualora il bene sul quale si intende intervenire sia sottoposto a vincoli di carattere storico artistico, ambientale, paesaggistico; 13
- che il richiedente, qualora si tratti di interventi onerosi, provveda ad allegare un calcolo degli oneri di urbanizzazione dovuti, che dovranno essere corrisposti con le consuete modalità.

Precisati l’ambito e le condizioni di applicazione della d.i.a. si rendono necessarie alcune considerazioni in ordine al procedimento, sul quale la legge regionale tace.
Da un punto di vista generale, si può subito rilevare che lo schema procedimentale della legge n. 241 del 1990 e quello della legge n. 493 del 1993 non differiscono di molto.
In entrambi i casi, infatti, il procedimento della d.i.a. inizia con la presentazione della denuncia da parte del privato, il quale, spirato il termine previsto dalla legge senza un contrario provvedimento della p.a., potrà dare corso all’intervento.
Uno dei problemi più controversi riguarda, però, proprio il termine necessario al perfezionarsi del silenzio assenso e nasce dal fatto che, mentre la legge n. 241 del 1990 sancisce un termine di 60 giorni, l’articolo 4, comma 11, decreto-legge n. 398 del 1993, convertito dalla legge n. 493 del 1993, ne prevede uno decisamente più breve pari a soli 20 giorni.
La questione non è di poco momento, posto che l’eventuale inizio delle opere prima del decorso del termine potrebbe esporre il privato a pesanti conseguenze sanzionatorie, specie nel caso in cui la d.i.a. sia utilizzata in sostituzione della concessione edilizia.
Ora, la posizione espressa nella circolare 24 del 2000 14, secondo cui il termine ordinariamente applicabile è quello di 20 giorni, salva la possibilità per il richiedente di indicare un termine maggiore in sede di asseverazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia e nuova costruzione, non mi sembra del tutto convincente per almeno due ordini di motivi.

In primo luogo, contrariamente a quanto si legge nella circolare, l’articolo 4 della l r. 22/99 non richiama affatto l’articolo 4, decreto-legge n. 398 del 1993, convertito dalla legge n. 493 del 1993, per l’individuazione dei termini del procedimento, ma lo fa unicamente per la parte relativa alle diverse tipologie di intervento. In secondo luogo, proprio in considerazione delle conseguenze connesse al mancato rispetto dei termini, non è possibile o è comunque inopportuno rimettere tale decisione all’interessato.
Devo peraltro precisare che nemmeno la soluzione opposta, cioè ritenere che il termine debba essere sempre e comunque di 60 giorni, appare condivisibile.
In primo luogo, infatti, la ratio delle disposizioni normative in esame è quella di snellire le procedure amministrative e – sicuramente – il contenimento dei termini per l’istruttoria è una delle misure più efficaci in tal senso.
Muovendo da tale presupposto, però, è fin troppo evidente che non avrebbe alcun senso imporre un termine di 60 giorni in tutti i casi in cui il legislatore statale ne aveva già previsto uno inferiore, e mi riferisco, naturalmente alle ipotesi di cui all’articolo 4, comma 7, decreto-legge n. 398 del 1993, convertito dalla legge n. 493 del 1993.

La soluzione del problema, dunque, dovrebbe essere ricercata distinguendo le diverse tipologie di intervento in almeno tre categorie principali:

a)- per gli interventi contemplati dall'articolo 4, comma 7, decreto-legge n. 398 del 1993, convertito dalla legge n. 493 del 1993, come detto, dovrebbe valere il termine di 20 giorni ivi previsto;
b)- per gli interventi soggetti ad autorizzazione ordinaria (articolo 48, legge n. 457 del 1978, come ampliato dall’articolo 7, decreto-legge n. 9 del 1982, convertito dalla legge n. 94 del 1982), il termine ordinario di 90 giorni 15 potrà essere ridotto a 60, giusta il richiamo all’articolo 19, l. 241/90, operato dalla l.r. 22/99;
c)- per gli interventi che sarebbero soggetti a c.e. secondo la normativa statale, infine, dovrà applicarsi il termine di 60 giorni previsto dall’aarticolo 19 della legge n. 241 del 1990.

Residua solo un’ulteriore considerazione per quanto concerne il regime sanzionatorio di eventuali difformità ed abusi rispetto alla d.i.a. presentata.
Sul punto, ci si può limitare ad osservare che l’opinione maggioritaria 16, anche se non univoca, concorda nell’affermare che anche nel caso in cui si faccia ricorso alla d.i.a. continuano ad applicarsi le sanzioni amministrative e penali previste dalle leggi statali in relazione ai singoli interventi.
Vorrei soltanto aggiungere che le argomentazioni espresse al riguardo, fondate soprattutto sulle modifiche introdotte alla legge n. 493 del 1993 dalla legge n. 662 del 1996, non sembrano cogliere nel segno.
A mio avviso, infatti, è preferibile sostenere che il mantenimento dell’apparato sanzionatorio precedente si ricava dall’articolo 21, comma 2, della legge n. 241 del 1990 (questa sì richiamata dalla l.r. 22/99) secondo cui "le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli artt. 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente".

3. Le modifiche alla legge regionale n. 15 del 1996, in tema di recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti.

L’ultima disposizione che si prende in considerazione per il presente intervento è la modifica apportata dall’articolo 6 della l.r. 22/99 all’articolo 2, legge regionale n. 15 del 1996.

Si tratta di una novità che ha permesso di sbloccare e di ampliare notevolmente le possibilità di intervento e di recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti.
Nella sua formulazione originaria, infatti, l’articolo 3, legge regionale n. 15 del 1996 non consentiva di modificare l’altezza di colmo e di gronda nonché la pendenza delle falde, limitando, dunque, la facoltà di intervento a quei sottotetti che di fatto possedevano già le altezze medie previste ponderali previste dalla legge.
A seguito della modifica introdotta con la l.r. 22/99, invece, è possibile intervenire anche sui parametri sopra indicati, a condizione che lo strumento urbanistico locale sia stato approvato successivamente all’entrata in vigore della legge regionale n. 51 del 1975 e con l’unico limite del rispetto dell’altezza massima degli edifici previsto dal P.R.G. o dal R.E., qualora il primo non contenga alcuna disposizione al riguardo 17.

La prima questione che si deve affrontare riguarda, a mio avviso, la definizione di sottotetto esistente.
In base all’articolo 1, comma 4, legge regionale n. 15 del 1996, "si definiscono sottotetti i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici di cui al comma 2 (i.e. gli edifici destinati in tutto o in parte a residenza - n.d.r.)".
Mi sembra importante, a questo proposito, rilevare che le modifiche apportate dalla l.r. 22/99 finiscono con l’incidere notevolmente sulla individuazione del sottotetto.
Stando alla formulazione originaria della legge, infatti, gli unici volumi rilevanti e recuperabili erano quelli che già presentavano una cubatura di una certa consistenza sempre che – come detto – fossero dotati di un’altezza interna sufficiente, posto che non era possibile intervenire sull’altezza di colmo o gronda e la linea di pendenza delle falde.
Introdotta con la legge regionale in esame tale facoltà, possono farsi rientrare nella definizione di sottotetto anche i volumi posti sopra l’ultimo piano senza alcuna cubatura minima e anche nel caso in cui si tratti di intercapedini assai modeste tra il solaio ed il tetto, non essendovi alcuna disposizione contraria nella legge.

Per quanto concerne, invece, il requisito della preesistenza del sottotetto, le circolari regionali n. 60 del 1999 e n. 24 del 2000 precisano che devono ritenersi "esistenti" ai fini dell’applicazione della legge regionale n. 15 del 1996 anche i sottotetti di edifici costruiti successivamente all’entrata in vigore della legge e quelli di edifici al rustico, per recuperare i quali potrà essere presentata apposita variante, anche attraverso una d.i.a. 18.

Fatta questa precisazione, ci si può limitare a pochi rilievi strettamente collegati alla modifica prevista dalla l.r. 22/99, per precisare:

a)- che gli interventi di aumento delle altezze di colmo e gronda, nonché eventualmente delle linee di pendenza delle falde, sono consentiti nella misura strettamente necessaria a garantire il rispetto delle altezze interne previste dai R.E. o dalla stessa legge regionale n. 15 del 1996; 19
b)- che, specie per gli interventi sugli stabili la cui altezza sia prossima a quella massima di P.R.G., la possibilità di eseguire le modifiche di cui sopra non può essere esclusa a priori, dal momento che il requisito dell’altezza media ponderale non riguarda gli spazi di servizio, quali bagni, posti di cottura, lavanderie, corridoi, ripostigli, spogliatoi, guardaroba, ecc.; 20
c)- che l’eventuale sopralzo, conseguente alle modifiche nell’altezza di colmo o gronda, può essere effettuato anche in deroga alle norme sulle distanze tra le costruzioni contenute nelle N.T.A. del P.R.G., ma non al limite di m. 3, previsto dall’articolo 873 codice civile 21. Mi sembra, peraltro, opportuna un’ultima precisazione, proprio in merito alla portata di questa deroga. Occorre, infatti, tenere presente che se, avvalendosi della facoltà di modificare l’altezza di gronda si dovessero realizzare anche nuove aperture nei muri perimetrali, tornerebbero ad operare i limiti minimi di distanza tra le costruzioni di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, al quale la normativa regionale (come insegna la recente vicenda dei disegni di legge regionali n. 193 del 1999 e n. 4 del 2000) può derogare.


[1]    In B.U.R.L. 5° suppl. straordinario al n. 43, del 30 ottobre 1998

[2] In relazione alle disposizioni sopra richiamate, quindi, se la realizzazione di nuovi parcheggi è richiesta da un condominio, la p.a. potrà chiedere che venga allegata alla domanda anche copia della delibera assembleare, con l’attestazione che la stessa non è stata impugnata o che l’efficacia della stessa, se impugnata, non è stata sospesa. Non pone problemi particolari la verifica della statica e della sicurezza dell’edificio, trattandosi di aspetti che rilevano in qualsiasi tipo di intervento. Per quanto concerne, invece, il decoro architettonico, la verifica richiesta alla p.a. comporta, in primo luogo, un giudizio di stretta legalità circa la rispondenza dell’intervento alle disposizioni del R.E. (Cons. Stato, sez. V, 3 novembre 1970, n. 879), al quale potrà aggiungersi una valutazione più ampia e discrezionale, purché congruamente motivata, finalizzata al migliore inserimento dell’intervento edilizio nell’ambiente urbano circostante (Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 1990, n. 531).

[3] Secondo la Circolare 21 aprile 2000, n. 24, in B.U.R.L. 4° supp. straord. al n. 19 del 12 maggio 2000, la sussistenza di tali requisiti dovrà essere comprovata specificamente in sede di istanza di concessione edilizia ovvero in sede di asseverazione, qualora si ricorra alla d.i.a. Per dire il vero, il riferimento alla C.E. appare errato, dal momento che l’articolo 9, legge n. 122 del 1989, assoggetta la realizzazione di parcheggi pertinenziali alla semplice autorizzazione gratuita.

[4] V. circolare 21 aprile 2000, n. 24, cit., pag. 15, quesito n. 3, sub art. 1. In senso conforme, T.A.R. Sicilia, sez. Catania, 30 ototbre 1997, n. 2152, in fattispecie relativa alla legge Tognoli.

[5] Cfr. sul punto la circolare 21 parile 2000, n. 24, cit., pag. 15, quesito n. 2, sub art. 2. Non va peraltro dimenticato che le disposizioni della legge regionale riguardano esclusivamente i parcheggi di edifici già esistenti, non per quelli di nuova realizzazione: così, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 27 settembre 1997, n. 1185.

[6] Così, T.A.R. Campania, sez. II, Napoli, 15 ottobre 1997, n. 2289.

[7] In B.U.R.L. 3° supp. straord. al n. 49 del 10 dicembre 1999.

[8] Cfr. articolo 41-sexies, legge 17 agosto 1942, n. 1150, e succ. modifiche, secondo cui “nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi”.

[9] Il testo dell’articolo 19, legge n. 241 del 1990, è il seguente: “1. In tutti i casi in cui l'esercizio di un'attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, ad esclusione delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni rilasciate ai sensi delle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1939, n. 1497, e del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi, l'atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, attestante l'esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge, eventualmente accompagnata dall'auto-certificazione dell'esperimento di prove a ciò destinate, ove previste. In tali casi, spetta all'amministrazione competente, entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia, verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare all'interessato entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dell'attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefissatogli dall'amministrazione stessa

[10] Non ci si può, peraltro, esonerare dal sottolineare il singolare risultato al quale conduce la norma regionale. Stando alla lettera dell’articolo in commento, infatti, si ricava che sono soggette a d.i.a., nel rispetto dei principi della legge n. 241 del 1990, gli interventi soggetti a d.i.a. secondo la legge n. 493 del 1993.

[11] Vale forse la pena di rilevare che tra gli interventi sottratti alla nuova d.i.a. rientrano la ristrutturazione urbanistica di cui all’articolo 31, lettera e), legge n. 457 del 1978 e le ipotesi di concessione edilizia convenzionata.

[12] Salvo, naturalmente, che la facoltà di deroga agli strumenti urbanistici sia contemplata dalla legislazione statale, come nel caso dei parcheggi pertinenziali, o regionale, come nel caso del recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti.

[13] La circolare n. 60 del 1999, cit. precisa che l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica è necessaria anche per gli immobili compresi negli elenchi di cui all’articolo 1, legge n. 431 del 1985 (c.d. vincoli Galasso), mentre potrà procedersi immediatamente con la d.i.a. per gli interventi esclusi dal regime autorizzatorio di natura paesistica in base all’articolo 1, comma 8, legge n. 431 del 1985 (opere manutentive, compresi restauro e risanamento conservativo, che non modifichino lo stato dei luoghi e l’esteriore aspetto degli edifici nonché gli interventi agro silvo pastorali che non comportino alterazione permanenti dello stato dei luoghi per opere edilizie o altre opere civili e non arrechino pregiudizio all’assetto idrogeologico dei luoghi), come previsto dall’art. 5 della l.r. 22/99. Va peraltro precisato che la normativa cui fare riferimento è oggi contenuta nel decreto legislativo 20 ottobre 1999, n. 490 (cfr. art. 23 e 36).

[14] Cfr. pag. 16, quesito n. 1, sub art. 4.

[15] Articolo  8, legge n. 94 del 1982; va ricordato che l’articolo 7, comma 3, della medesima legge prevedeva già un termine di 60 giorni per gli interventi di cui al comma 2 (pertinenze, occupazioni di suolo demolizioni, reinterri e scavi), per le quali, in pratica, non cambia nulla, se non ricadenti nell’ambito della d.i.a. ex lege n. 493 del 1993.

[16] Cfr. circolare n. 24 del 2000 cit., pag. 17, e Benfante, Sulla Super-Dia lombarda la Regione risponde ai quesiti, in Edilizia e Territorio 6-11 marzo 2000.

[17] In questi termini la circolare n. 60 del 1999, cit., par. 4.

[18] Cfr. rispettivamente, circolare n. 60 del 1999, cit., par. 4, e circolare n. 24 del 2000, pag. 18, quesito n. 6, sub. art. 6.

[19] Cfr. articolo 1, legge regionale n. 15 del 1996.

[20] Sul punto, v. circolare n. 24 del 2000, pag. 19, quesito n. 11, sub. art. 6.

[21] Cfr. circolare n. 24 del 2000, pag. 18, quesito n. 1, sub. art. 6.