EDILIZIA - 012 - PIANI ATTUATIVI (standards)
Piani attuativi di iniziativa privata – Aree a standards – Monetizzazione alternativa alla cessione – Criteri per la monetizzazione – Discrezionalità – Esclusione

QUESITO

Il Consiglio comunale ha adottato, nel 1999, una deliberazione con la quale erano fissati i prezzi delle monetizzazioni delle aree a standards relative ai piani di lottizzazione e ai piani di recupero di iniziativa privata. Tale deliberazione era così articolata:
- aree interne al centro storico (zone A): euro 90,00 al mq
- aree di completamento (zone B): euro 80,00 al mq
- aree di espansione (zone C): euro 70,000 al mq
- aree di tipo produttivo (zone D): euro 50,00 al mq

La motivazione della delibera era che, conoscendo in anticipo e per tutto il territorio il prezzo delle monetizzazioni, si rispettava un principio di trasparenza e di imparzialità per tutti gli operatori, evitando qualsiasi discriminazione e, peggio ancora, qualsiasi trattativa per la sua determinazione.

Come forse si saprà, l’organo di controllo (quando ancora esisteva) si era espresso nel passato in modo contraddittorio, annullando solo in alcuni casi le deliberazioni di cui si parla. Successivamente, in occasione dell’adozione di singoli piani attuativi, richiedeva una stima «secondo i criteri di cui all’articolo 5-bis del decreto legge n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 359 del 1992» oppure «secondo i criteri di cui all’articolo 14, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 77 del 1995» (ora rispettivamente secondo i criteri dell'articolo 37 del d.P.R. n. 327 del 2001 o dell'articolo 172, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 267 del 2000).
Non è mai stato possibile individuare con certezza il comportamento da tenere. Ora l’amministrazione intende adottare una nuova deliberazione che stabilisca il prezzo della monetizzazione per tutti i piani attuativi previsti dal nuovo piano regolatore generale.

Pur non dovendo più sottostare al controllo di legittimità dell’organo regionale, preferirei che la deliberazione del comune fosse comunque legittima. Dovendo esprimere il parere tecnico su tale deliberazione e dovendo, richiesto, dare indicazioni circa il prezzo da stabilire, gradirei un suggerimento in merito.

RISPOSTA

La monetizzazione delle aree a standards consiste nel versamento al comune di un importo alternativo alla cessione diretta delle stesse aree, ogni volta che tale cessione non venga disposta (per motivi che esulano dal quesito).
Tale monetizzazione è prevista, per la regione Lombardia, dall’articolo 46, comma 2, lettera a), ultimo periodo, della legge regionale n. 12 del 2005, che ne disciplina i criteri, ma anche altre legislazioni regionali prevedono norme simili. Tali criteri sono talmente ovvii da sembrare inutili e, nel contempo, se da una parte rendono incomprensibili le richieste istruttorie degli organi di controllo, dall’altra rendono illegittime deliberazioni del tenore di quella illustrata.

La norma recita: «... qualora l'acquisizione di tali aree non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune in relazione alla loro estensione, conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento, la convenzione può prevedere, in alternativa totale o parziale della cessione, che all'atto della stipulazione i soggetti obbligati corrispondano al comune una somma commisurata all'utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al costo dell'acquisizione di altre aree».

Se nella convenzione è stata decisa la monetizzazione (e tale decisione non è affatto discrezionale come può apparire da una lettura isolata della norma, ma anche questo non è in discussione nel quesito), i criteri per quantificare i relativi importi sono ben delineati: sfuggono a qualsiasi discrezionalità che non sia quella tecnica propria degli uffici competenti alla valutazione economica quale esercizio delle proprie conoscenze tecniche e scientifiche.

I criteri sono due, uno principale e uno meramente eventuale:

1) la somma dev’essere commisurata all’utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione;
2) la somma comunque non dev’essere inferiore al costo dell’acquisizione di aree simili a quelle non cedute.

La seconda condizione si configura come norma di chiusura (questo il significato della parola “comunque”), nel senso che essa trova applicazione solo nell’eventualità che l’applicazione del primo criterio dia un risultato non sufficiente a soddisfare il secondo.

Appare evidente che l’utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione può essere la più varia, in funzione non solo della zona omogenea, ma anche dell’indice di densità edilizia, delle destinazioni e delle tipologie ammesse, dell’ubicazione, della distanza dai servizi essenziali, della presenza di servitù ecc. Ma se questo è vero, non potrà essere stabilito un prezzo, unico e invariabile, per tutti i comparti, anche se ricadenti nella stessa zona omogenea. Ne consegue che, di fronte ad una molteplicità di fattispecie (in pratica una per ogni comparto soggetto a piano attuativo) che richiedono una “somma” ogni volta variabile, è palesemente illegittima una deliberazione che determini in via generale l’entità di tale somma. Tanto che non si comprende come l’ufficio tecnico possa effettuare una stima accettabile che esprima un prezzo unico di fronte a condizioni e parametri non omogenei.

Sarebbe più accettabile una deliberazione che determinasse (sempre previa valutazione tecnica) il valore delle monetizzazioni per ogni singolo comparto previsto dal piano regolatore generale, considerato secondo le caratteristiche sue proprie. Pure in questo caso non mancherebbero difficoltà relative alla monetizzazione di aree, almeno in questi casi:

- nell’ambito dei piani di recupero, i cui perimetri potrebbero non essere previsti a priori con esattezza;
- nell’ambito di piani attuativi in variante allo strumento urbanistico generale;
- in caso di diverso equilibrio tra aree cedute e aree monetizzate nello stesso piano attuativo.

Senza contare che il trascorrere del tempo introduce un’ulteriore variabile economica che non trova considerazione se non marginalmente in deliberazioni genericamente periodiche.

Certo è che la sola distinzione dei prezzi delle monetizzazioni per zone omogenee, come operata dalla deliberazione del quesito, non è idonea a soddisfare le condizioni volute dalla legge regionale, e nemmeno i principi generali applicabili in assenza di legislazione regionale.

Bastino due esempi di casi limite (ma neanche tanto):

- ad un comparto di 15.000 mq con indice di 1 mc/mq a destinazione residenziale competono aree a standards per (15.000 x 1 / 150 x 26,5) = 2.650 mq, detratto un 20% a strade e simili, residuano mq 9.350 netti vendibili;
- ad un comparto di 15.000 mq con indice di 3 mc/mq a destinazione residenziale competono aree a standards per (45.000 x 1 / 150 x 26,5) = 7.950 mq, detratto un 20% a strade e simili, residuano mq 4.050 netti vendibili;
- ad un comparto di 15.000 mq con indice di 2,25 mc/mq a destinazione commerciale competono aree a standards per (15.000 x 2,25 / 3 x 100/100) = 11.250 mq, detratto un 20% a strade e simili, non residuano ... 750 mq netti vendibili.

E’ pur vero che gli spazi edificabili in volume non mutano in funzione dell’alternativa tra monetizzazione e cessione diretta, ma è altrettanto vero che il vantaggio economico conseguito per effetto della mancata cessione spazia tra due estremi a distanza astronomica. Si veda nel secondo e nel terzo esempio dove, non monetizzando, l’area viene in pratica “espropriata” e la proprietà privata polverizzata impedendo fisicamente la realizzazione degli edifici previsti dallo strumento urbanistico. Certamente nella valutazione dovrà tenersi conto che le aree a standard sono "svuotate" da ogni potenzialità edificatoria (nel senso che i volumi edificabili dal privato non variano sia che le aree a standard siano cedute sia che vengano monetizzate).

Si ritiene che l’unico procedimento valido sia una stima peritale, fatta dall’ufficio, caso per caso, in occasione dell’adozione di ogni singolo piano attuativo. La deliberazione con la quale si adotta il piano attuativo recepirà la predetta valutazione (eventualmente discostandosene, con congrua motivazione, purché supportata da altre valutazioni di pari dignità). A nulla vale, a sostegno di un comportamento diverso, richiamare il principio di imparzialità: esso è violato proprio da un atteggiamento uniforme come quello della deliberazione generica, facendo pagare la stessa somma a soggetti titolari di piani di lottizzazione o di recupero radicalmente diversi tra loro e comportanti oneri e vantaggi economici del tutto dissimili.

Si ritiene di poter concludere affermando quanto segue:

a) una deliberazione che predetermini le somme delle monetizzazioni delle aree a standards, ancorché distinte sommariamente per le varie zone omogenee del piano regolatore, è illegittima per violazione dell’articolo 46, comma 2, lettera a), ultimo periodo, della legge regionale n. 12 del 2005; in assenza di disposizioni regionali viola comunque il principio di imparzialità e buona amministrazione; è inoltre affetta di eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà, in quanto non consente l’equo reperimento delle aree a standards esterne al comparto e previste dal piano regolatore a livello generale;
b) di fronte ad una richiesta di perizia uniforme per diverse situazioni, non è possibile effettuare alcuna stima che sia ragionevolmente basata su valutazioni attribuite alla discrezionalità tecnica;
c) le somme della monetizzazione devono essere determinate volta per volta, con atto di cognizione tecnica, su base peritale, secondo il criterio principale enunciato del vantaggio economico, conseguito dal richiedente per effetto della mancata cessione (che è poi la differenza tra il valore del comparto senza la presenza fisica di aree pubbliche e con la presenza delle aree cedute a titolo gratuito);
d) le stesse somme saranno pari al costo di acquisizione di altre aree, equivalenti per estensione e comparabili per ubicazione e destinazione a quelle che dovrebbero essere cedute (non necessariamente determinato con i criteri espropriativi) solo se questo costo sia superiore al costo determinato come al punto precedente.