EDILIZIA - 008
T.A.R. Campania (NA), sez. IV, 11 aprile
2000, n. 1002
(presidente Corsaro, relatore Nappi)
Il rapporto tra l'obbligo di preventivo Piano di Lottizzazione previsto dal
P.R.G. e l'urbanizzazione di fatto già esistente - Circa la illegittimità del diniego di
concessione per l'assenza del predetto piano attuativo - Limiti - Principio di equivalenza
tra il piano di lottizzazione tipico e la lottizzazione in facto.
(omissis)
ha pronunciato la seguente
contro
Comune di Mugnano di Napoli in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dagli Avv. A.A. e M.L.A. presso il cui studio é elettivamente domiciliato in N.
per lannullamento
con il ricorso n. 3225/97 dei seguenti atti:
- provvedimento prot. n.1613 del 28/1/1997 con il quale il Capo del 3° Settore del Comune
di Mugnano di Napoli comunicava ai ricorrenti il parere negativo espresso dalla
Commissione edilizia sulla loro richiesta di concessione edilizia;
- parere negativo espresso dalla Commissione edilizia con verbale n. 2 del 15/1/1997;
con il ricorso n. 11757/98 dei seguenti atti:
- provvedimento prot. 12207 del 16/7/1998 del dirigente del 3° Settore dello stesso
Comune di diniego della concessione edilizia;
- nota prot. n. 8470 del 21/5/1998 dello stesso dirigente;
- relazione ivi allegata, senza data, del medesimo dirigente.
VISTI i ricorsi ed i relativi allegati;
VISTI gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Mugnano di Napoli per entrambi i
ricorsi;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTI gli atti tutti di causa;
UDITI alla pubblica udienza del 23 febbraio 2000 il relatore dr. Luigi Domenico Nappi
nonché gli avv. B.C. per i ricorrenti e G.A. - delegato da M.L.A. - per il Comune
resistente;
RITENUTO e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il gravame n. 3225/97 notificato il 24 marzo 1997
depositato il 21 aprile successivo i signori T.L. e O.C. impugnano gli atti in epigrafe
indicati ed in particolare il provvedimento del 28/1/1997 con il quale il Comune di
Mugnano di Napoli comunicava agli interessati che la Commissione edilizia aveva espresso
parere negativo sulla loro richiesta di concessione edilizia.
Questi i motivi che i ricorrenti pongono a base della impugnativa:
1) Violazione e falsa applicazione della legge 28/1/1977 n. 10 - Violazione della legge n.
1150/1942 e della legge regionale n. 14/82 - Violazione dell'art. 3 della legge 7/8/1990
n. 241 - Eccesso di potere per inesistenza dei presupposti, difetto di istruttoria ed
erroneità della motivazione;
2) Violazione e falsa applicazione della legge 7/8/1990 n. 241. Eccesso di potere-
Violazione del giusto procedimento
Il Comune intimato si costituiva in giudizio sostenendo la infondatezza del gravame.
Con atto notificato il 7/11/1997 i ricorrenti formulavano motivi aggiunti.
Con ordinanza n. 787 del 31/7/1997 la Seconda Sezione di questo TAR accoglieva la istanza
cautelare nei limiti di una nuova valutazione della richiesta dei ricorrenti.
Con successivo ricorso n. 11757/98 notificato il 29 ottobre 1998 depositato il 18 novembre
successivo gli anzidetti impugnano il provvedimento del 16/7/19998, di diniego della
richiesta concessione edilizia, censurandolo per i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e seguenti della legge n. 10/77 -
Violazione della legge n. 142/90- Violazione della legge n. 1150/42 e della legge
regionale n. 14/82.- Violazione dell1art. 3 della legge n. 241/90 e
dellart. 21 della legge n. 1034/71 e della ordinanza del TAR Campania, sez. II, n.
787/97- Eccesso di potere per inesistenza dei presupposti, contraddittorietà, sviamento,
illogicità e travisamento;
2) Violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e seguenti della legge n. 10/77, della
legge n. 142/90- Violazione dell'art. 3 della legge n. 241/90. Eccesso di potere per
difetto di motivazione;
3) Illegittimità derivata dalla supposta illegittimità del provvedimento impugnato con
il precedente ricorso.
Il Comune intimato si costituiva anche nel giudizio introdotto dal secondo ricorso e,
assumendone la infondatezza, concludeva per il suo rigetto.
Alla pubblica udienza del 23 febbraio 2000 entrambi i gravami passavano in decisione.
DIRITTO
I due ricorsi in epigrafe sono soggettivamente e
oggettivamente connessi e, pertanto, possono essere riuniti e decisi con un unica
sentenza.
Il ricorso n. 3225/97 è diretto allannullamento del parere sfavorevole espresso
dalla competente Commissione edilizia comunale sulla richiesta di concessione edilizia
avanzata dai ricorrenti.
In proposito va premesso che:
- l'anzidetto parere (che, implicitamente condiviso dallAutorità che l'ha
comunicato agli interessati, ha assunto, iure conversionis, natura di
provvedimento impugnabile) è motivato nel rilievo che il P.R.G. subordinava espressamente
lattività edificatoria nella zona C, interessata dal progettato intervento, alla
previa formazione e approvazione del Piano di lottizzazione;
- i ricorrenti contestano la operatività, nella fattispecie concreta, della predetta
condizione nel riflesso che la zona interessata dal progettato intervento sarebbe
pienamente urbanizzata e a supporto di tale tesi adducono perizia giurata dell'1/7/1997
del geom. T.D.;
- in relazione a tale perizia, non contestata da controparte, la sez. II di questo TAR,
con ordinanza cautelare n. 787/97 invitava l'Amministrazione a valutare nuovamente
l'affare;
- l'Amministrazione si rideterminava con nuovo provvedimento del 16/7/1998 che, reiettivo
della richiesta di concessione dei ricorrenti, forma oggetto della seconda impugnativa.
Appare dunque evidente, in relazione a quanto appena precisato, la improcedibilità del
ricorso in esame.
Non è invero contestabile che il provvedimento con esso impugnato è rimasto assorbito e
sostituito dalla successiva determinazione reiettiva assurta a fonte unica del rapporto
dedotto in giudizio.
Si può quindi passare all'esame del ricorso n. 11757/98 diretto appunto all'annullamento
della seconda determinazione di rigetto.
Tale ricorso è infondato.
Il primo motivo, incentrato sulla supposta violazione della ordinanza cautelare dinanzi
indicata, non ha pregio.
Sfugge ai ricorrenti il carattere meramente propulsivo e non cogente della suddetta
ordinanza, ispirata essenzialmente dalla mancata allegazione, da parte
dell'Amministrazione, di elementi di prova contrari all'asserita (da parte dei ricorrenti)
urbanizzazione della zona ed alla citata perizia giurata che al relativo assunto faceva da
supporto.
Deve dunque escludersi che l'Amministrazione fosse, in forza della citata ordinanza,
vincolata a mutare il suo precedente orientamento e tanto meno a rilasciare quella
concessione che prima aveva negato ai ricorrenti. L'unico effetto della ordinanza era
quello di stimolare l'Amministrazione ad una riconsiderazione maggiormente ponderata
dell'Amministrazione sul punto controverso della reale condizione (urbanizzata o non)
della zona interessata dall'intervento edilizio progettato dai ricorrenti.
In tale quadro - è evidente - non è ipotizzabile la violazione della ordinanza cautelare prospettata dai ricorrenti.
Con ulteriore profilo di doglianza i ricorrenti richiamano il principio giurisprudenziale della equivalenza tra piano esecutivo prescritto dallo strumento urbanistico generale come condizione dell'attività edificatoria e stato di effettiva urbanizzazione della zona.
Il principio - sul quale peraltro si registrano in giurisprudenza precedenti contrari - è ben noto al Collegio che ne riconosce la intrinseca logicità in relazione alla funzione che è propria del Piano di lottizzazione.
Poiché tale strumento ha lo scopo precipuo di assicurare l'armonico raccordo di un nuovo insediamento di carattere residenziale o produttivo con il preesistente aggregato edilizio, in un'area non ancora urbanizzata, deve ritenersi irragionevole posporre, paralizzandola nelle more, l'attività edificatoria alla previa formazione del piano di lottizzazione, quando la funzione ordinativa di tale piano si fosse già spiegata ed esaurita nella realtà effettuale. La lottizzazione in facto rende invero inutile lo strumento formale.
Detto ciò sul piano generale occorre però sottolineare che quel principio sconta limiti intrinseci alla logica della sua funzione.
Coerentemente a tale funzione infatti deve ritenersi che quel principio non può operare in termini assoluti ed automatici ma soltanto quando la urbanizzazione sia avvenuta in fatto senza residui, coprendo cioè tutte le esigenze urbanistico-edilizie che quel raccordo armonico assicurino.
Non è invece ragionevole che il principio in esame operi quando in concreto la urbanizzazione sia avvenuta si ma in misura parziale o insufficiente e comunque non idonea ad assicurare sul piano effettuale il risultato dell'equilibrato inserimento del progettato edificio nella preesistente maglia del tessuto urbanistico: quando, in altri termini per la particolarità della situazione concreta, ricorrano ragioni di pubblico interesse - che, congruamente esplicitate, consiglino o addirittura impongano interventi urbanistici suscettibili di essere compromessi nella loro realizzazione, dall'opera eseguita in applicazione del principio in argomento.
Scendendo ora su un terreno più concreto giova premettere che ai sensi dell'art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 sub. art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765 «in tutti i Comuni ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi».
Va notato che gli standards specifici indicati nella disposizione appena riportata costituiscono il contenuto di atti dovuti, preordinati come sono, nella previsione normativa, ad assicurare uno sviluppo ordinato degli assetti urbanistico-edilizi secondo un modello bilanciato tra insediamenti residenziali e produttivi e attività di interesse collettivo, verde pubblico e parcheggi.
Va anche notato che la materia investita da siffatti standards non è estranea alle opere di urbanizzazione previste dalla legge 9 settembre 1964, n. 847, art. 4, modificato dalla legge 22 ottobre 1971, n. 865 e che tra gli uni e le altre v'è uno stretto rapporto di complementarietà (per alcuni di essi v'è persino identità di nomen come per parcheggi e spazi verde) posti come sono entrambi a presidio della qualità della vita e del diritto alla salute.
Venendo ora alla fattispecie concreta va rilevato che dal provvedimento impugnato e
dalla relazione che ne integra, per relationem, la motivazione, risulta che la
zona interessata dall'intervento progettato è seriamente compromessa dal fenomeno
dell'abusivismo edilizio e che nel disordine a tale fenomeno connesso "gli standards
urbanistici non esistono" cioè non sono stati rispettati.
Va altresì rilevato che, sempre secondo la citata relazione, nel piano di lottizzazione
che deve precedere l'attività edificatoria, vanno stabiliti gli standards urbanistici e
quindi l'indice di edificabilità con la sua applicazione al lotto netto (e non al lotto
lordo come hanno previsto i ricorrenti nei loro progetti) previa detrazione cioè dalle
aree private ancora disponibili, di una quota da destinare alle opere di urbanizzazione ed
agli standards urbanistici
Le considerazioni testè riportate e l'esigenza ad esse sottesa danno secondo il Collegio
piena contezza delle ragioni che hanno determinato il provvedimento impugnato. Esse quindi
oltre a dimostrare la infondatezza della censura di violazione del principio di
equivalenza tra piano di lottizzazione e urbanizzazione di fatto, prospettata dai
ricorrenti nel presupposto che la zona de qua fosse già completamente
urbanizzata, rendono anche priva di consistenza la censura del difetto di motivazione.
Ritenere, nella situazione rappresentata nel provvedimento impugnato, applicabile il
principio della equivalenza invocato dai ricorrenti significherebbe invero aggravare
ulteriormente scompensi e squilibri prodotti dall'abusivismo edilizio e compromettere
irreversibilmente ogni possibilità di realizzazione degli standards, con quanto
pregiudizio per i valori da essi tutelati, è facile immaginare.
Deve quindi escludersi che in siffatta situazione potesse operare il principio invocato
dai ricorrenti.
Né varrebbe obiettare che con la ricostruzione delineata si rischierebbe di far ricadere
le conseguenze dell'abusivismo edilizio su soggetti (come i ricorrenti) che al relativo
fenomeno fossero rimasti estranei.
A parte il fatto che è indifferente per l'Autorità titolare della potestà urbanistica
il soggetto che fosse sacrificato nei suoi interessi all'interesse superiore del rispetto
degli standards;
a parte ancora che la mancata operatività del principio della equivalenza non comporta
necessariamente il sacrificio delle posizioni dei suddetti soggetti ma soltanto riflette
l'esigenza ineludibile di programmare, per non vanificare l'acquisizione alla
collettività dei benefici connessi agli standards; va osservato che la normativa sul
condono edilizio deve presumersi ispirata ad un interesse pubblico superiore, prevalente
sulle posizioni soggettive individuali (beninteso per quanto attiene al profilo in esame).
Tornando ora al motivo centrale del ricorso (della asserita urbanizzazione della zona de
qua) va rilevato mentre l'Amministrazione ha posto, nella struttura del
provvedimento, l'accento sulla carenza di infrastrutture e ha messo in risalto l'esigenza
di conservare quella residua riserva di aree cui potere attingere in sede di
pianificazione attuativa, per il soddisfacimento degli standards pretermessi, nessuno
argomento contrario su questo specifico punto hanno addotto i ricorrenti, indugiando,
invece, sulla astratta validità del principio di equivalenza più volte richiamato.
Alla luce delle considerazioni svolte e del carattere autonomo e assorbente delle ragioni
esposte nel provvedimento (in particolare della mancanza degli standards urbanistici) si
appalesa ininfluente la censura con la quale i ricorrenti, traendo spunto dalla asserita
estraneità del Comune alla realizzazione delle opere di urbanizzazione supposte dai
ricorrenti medesimi, sottolineano la irrilevanza di siffatta circostanza
Va infine disattesa l'ultima censura dedotta, della mancata comunicazione ai ricorrenti
del responsabile del procedimento prescritta dall'art. 5, ultimo comma, della legge n. 241 del 1990.
Trattasi di adempimento la cui omissione, non fissando la norma modalità e termini, si
configura, secondo il Collegio, come mera irregolarità. Va del resto notato che gli atti
relativi alla pratica in esame risultano costantemente firmati dal dirigente del terzo
settore. Era quindi facile per i ricorrenti, una volta venuti a conoscenza di tali atti,
identificare il responsabile del procedimento.
In relazione a tutto quanto precede deve dunque concludersi che il provvedimento impugnato
è stato correttamente adottato dall'Amministrazione.
Il ricorso pertanto deve essere respinto.
Si ravvisano peraltro valide ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
- Napoli - Sez. IV, definitivamente pronunciando sui due ricorsi in epigrafe proposti da
T.L. e O.C., cosi decide:
- dispone la riunione dei due ricorsi in epigrafe;
- dichiara improcedibile il ricorso n. 3225/97 R.G.;
- respinge il ricorso n. 11757/98 R.G. siccome infondato.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dallautorità Amministrativa.
Cosi deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 23 febbraio 2000.
Il Presidente dr. Francesco CORSARO - Il Relatore dr. Luigi Domenico NAPPI