EDILIZIA - 024
Consiglio di Stato, Sezione
V, 18 dicembre 2000, n. 6768
Oblazione - Distinzione tra difformità
totale e difformità parziale - Il rilascio della concessione in sanatoria è
subordinato al
pagamento dell’oblazione, ai sensi dell’articolo 13, terzo comma, della legge 28
febbraio 1985, n.47 -
Dalle norme poste dalla predetta legge risulta che l’oblazione
deve essere calcolata con riferimento all’intera opera quando sia stata
realizzata in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni
essenziali; per i casi di "parziale difformità" l’oblazione è
calcolata con riferimento alla sola parte di opera difforme dalla concessione.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione
ha pronunciato
la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2292 del 1995, proposto dalla società S. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti A.S. e F.V.L., presso il quale ultimo è elettivamente domiciliata in Roma, via ...,
CONTRO
il Comune di Pordenone, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’ avv. G.B.V., elettivamente domiciliato in Roma, via ..., presso lo studio dell’avv. C.D.M.,
per la riforma
della sentenza
del T.A.R. Friuli – Venezia Giulia, 16 febbraio 1994, n. 91.
Visto il
ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto
di costituzione in giudizio del Comune di Pordenone,
Viste le
memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti
tutti della causa;
Alla pubblica
udienza del 17 ottobre 2000, relatore il consigliere Marcello Borioni, uditi per
le parti l’avv. F.V.L. e per delega dell’avv. G.B.V., l’avv. M.;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il
T.A.R. Friuli – Venezia Giulia, con sentenza 16 febbraio 1994, n. 91. ha
rigettato il ricorso proposto dalla società S. s.r.l., avverso la
concessione edilizia in sanatoria del 13 aprile 1990, n. 11712, nella parte in
cui impone il pagamento di Lire 233.000.000 a titolo di oblazione.
A sostegno del ricorso erano state dedotte le seguenti censure:
Carenza di motivazione, perplessità e contraddittorietà, in quanto non vengono
precisate la natura e la consistenza delle difformità riscontrate rispetto alla
concessione edilizia 9 maggio 1988, n.1457, né sono indicati i criteri seguiti
per il calcolo della oblazione.
Violazione e falsa applicazione dell’art. 31, lettera d), della legge n. 457
del 1978.
Se anche si fosse tratta di una demolizione e ricostruzione totale, comunque
l’intervento non esorbiterebbe dalla definizione di ristrutturazione.
Illogicità, contraddittorietà e violazione di legge. L’eventuale difformità
poteva riguardare semmai l’intervento di ristrutturazione, ma non
l’ampliamento, pure assentito con la concessione predetta.
Il T.A.R. ha ritenuto infondate le censure proposte, che vengono ora riformulate
con l’atto di appello.
Si è costituito il Comune di Pordenone, che resiste all’appello, chiedendone
il rigetto.
Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2000, il ricorso veniva trattenuto per la
decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
La controversia investe la concessione edilizia "variante in
sanatoria" in data 13 aprile 1990, n. 11712, rilasciata dal sindaco di
Pordenone, nelle parti in cui impone il pagamento di Lire.233.000.000 a titolo di
oblazione e rettifica l’intestazione del progetto in "progetto per la
ricostruzione (anziché ristrutturazione) ed ampliamento di un edificio".
Il T.A.R. ha affermato, in primo luogo, che il carattere abusivo dell’opera
("…si ritiene che l’intervento ristrutturatorio abbia ecceduto i limiti
progettuali, configurandosi lo stesso come ricostruzione…") non poteva più
essere contestato dalla società ricorrente, che non aveva impugnato
l’ordinanza di sospensione dei lavori datata 7 febbraio 1990 e la nota in pari
data del capo sezione della ripartizione urbanistica del Comune nella stessa
data.
Questa tesi non può essere condivisa.
L’ordinanza di sospensione dei lavori ha natura cautelare e un’efficacia
temporale limitata, essendo diretta ad evitare la prosecuzione dei lavori in
attesa del provvedimento definitivo (art. 4, terzo comma, della legge 28 febbraio
1985, n. 47). Si tratta, dunque, di un provvedimento diverso nei presupposti, nel
contenuto e nelle finalità dalla statuizione, di carattere sanzionatorio, che
subordina il rilascio della concessione in sanatoria al pagamento
dell’oblazione, ai sensi dell’art. 13, terzo comma, della legge 28 febbraio
1985, n. 47. A sua volta, la nota del 7 febbraio 1999, indirizzata dalla sezione
edilizia alla segreteria della ripartizione in seguito alla interpellanza di un
consigliere comunale, assolve una funzione meramente informativa all’interno
dell’amministrazione e, pertanto, non ha carattere provvedimentale. Sicché né
l’acquiescenza fatta all’ordine di sospensione né l’omessa impugnazione
della nota impedivano all’attuale appellante di contestare il presupposto (la
difformità dei lavori dal progetto approvato) su cui poggia l’atto impositivo
dell’oblazione.
Possono, dunque, essere presi in esame i motivi già dedotti in primo grado e
riproposti con l’appello.
Nel provvedimento impugnato si legge che la "concessione di variante in
sanatoria" concerne lavori di "completamento del fabbricato
residenziale-terziario denominato ex Palazzo Astoria già eseguito al grezzo in
difformità alla concessione edilizia n. 1457 del 9 maggio 1988" (art.1) e
che l’intestazione del progetto deve intendersi "rettificata come segue:
progetto per la ricostruzione (anziché ristrutturazione) ed ampliamento di un
edificio ad uso commerciale e residenziale". L’importo dell’oblazione
è stato stabilito in misura pari al doppio del contributo concessorio,
"quantificato d’ufficio…in base alla tabelle parametriche vigenti ed al
computo metrico estimativo redatto in data 3 aprile 1990 dal progettista
dell’opera"; in concreto, il contributo concessorio è stato calcolato
con riferimento ai dati dell’intera costruzione (mc. 8006 di volume; mq. 463 di
superficie), quali risultano dal computo metrico estimativo relativo al progetto
presentato a corredo della domanda di concessione in sanatoria (cfr. nota del
servizio edilizia privata n .11712 in data 13 aprile 1990).
Dalle norme poste dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47 risulta che l’oblazione
deve essere calcolata con riferimento all’intera opera quando sia stata
realizzata in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni
essenziali; per i casi di "parziale difformità" l’oblazione è
calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dalla concessione (art.
13, quarto comma, della legge n. 47 del 1985). Dal provvedimento impugnato e dalla
nota n. 11712/1990 si evince che, secondo l’amministrazione, l’esecuzione di
lavori di demolizione e di ricostruzione non previsti dal progetto avrebbe
determinato il "mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio
assentito" (da ristrutturazione a nuova costruzione), ciò che avrebbe
determinato una variazione essenziale secondo la definizione di cui all’art.
8, primo comma, lettera d), della legge n. 47 del 1985.
Tuttavia, come sostiene la società appellante nel secondo motivo, la
demolizione e ricostruzione di un edificio rientrano, indipendentemente
dall’ampiezza dei lavori, fra gli "interventi di ristrutturazione",
la cui esecuzione può portare anche ad un organismo "in tutto"
diverso dal precedente (citato art. 31, primo comma, lettera d)) (da ultimo,
Consiglio di Stato,
sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906; 27 settembre 1999, n. 1183; 24 febbraio 1999, n.
197; 20 ottobre 1998, n. 1492).
Caduta così l’argomentazione di fondo posta a base dell’atto impugnato, viene in rilievo quanto sostenuto nel primo motivo di appello circa la mancata specificazione delle asserite "eccedenze progettuali" e dei criteri seguiti per determinare l’entità dell’oblazione.
La censura è fondata.
Dal quadro normativo esposto in precedenza emerge che il calcolo della oblazione
presuppone l’identificazione della tipologia dell’abuso (assenza di
concessione, variazione essenziale, difformità) e, nel caso di difformità
dalla concessione, l’accertamento se la difformità sia totale o parziale. Già
sotto questo profilo, una volta escluso che l’ampliamento delle demolizioni
costituisse una "variazione essenziale" nel senso di cui all’art.
8, primo comma, lettera d), della legge n. 47 del 1985, l’operato dell’amministrazione
pecca di incompletezza, giacché il generico rinvio al computo metrico redatto
dal progettista non consente di giustificare la riferibilità dell’abuso
all’intero manufatto.
Tanto più che nel corso del sopralluogo del 31 gennaio
1990 era stato constatato il mantenimento almeno parziale, delle
"preesistenze edilizie oggetto di ristrutturazione". Del resto lo
stesso ufficio tecnico del Comune aveva prospettato, nella citata nota del 2
febbraio 1990, l’esigenza di un approfondimento sulle modalità realizzative
dell’intervento ("fatte salve le risultanze di una specifica perizia da
effettuarsi"), richiamandosi alle risultanze del sopralluogo predetto.
L’omissione di tali accertamenti rivela la sussistenza del dedotto vizio di
eccesso di potere sotto il profilo della insufficienza di accertamento e di
valutazione della fattispecie da parte dell’amministrazione.
Per le stesse ragioni è fondata anche la censura dedotta con il terzo motivo,
con il quale la società appellante si duole della immotivata considerazione, ai
fini del calcolo dell’oblazione, della parte di edificio interessato
dall’ampliamento del fabbricato preesistente, che era stato assentito dalla
concessione originaria.
In conclusione, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della
sentenza di primo grado, va annullato l’impugnato capo della concessione
edilizia in sanatoria relativo al calcolo dell’oblazione. Restano salvi gli
ulteriori provvedimenti dell’amministrazione, che dovrà ripetere il calcolo
sentendo esplicite le proprie valutazioni, da compiersi sulla base della
problematica esposta fin qui.
Le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio, liquidati in dispositivo,
seguono, come di regola, la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) accoglie l’appello, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, annulla l’impugnato capo della concessione edilizia in sanatoria. Restano salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Condanna il Comune di Pordenone al pagamento di Lire 8.000.000 in favore della società appellante per spese dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2000.