EDILIZIA - 049
Consiglio di Stato, sezione V, 27 dicembre 2001, n. 6411
Le norme sulla destinazione d’uso graduano il carico degli oneri considerando che la circolazione delle merci prodotte crea carichi urbanistici diversi da quelli della produzione delle stesse merci nell’ambito della stessa struttura. L'attività di gestione dei magazzini di beni finiti, prodotti da altra azienda, regolando il flusso in base ai cicli di commercializzazione del bene prodotto è attratta nell’ambito della disciplina dell’intermediazione commerciale.
La distribuzione del prodotto finito e lo stoccaggio dello stesso sono fasi del ciclo produttivo che possono certamente essere esternalizzate presso soggetti distinti dalla società produttrice. Tuttavia, tali fasi non cessano di essere qualificate come commerciali per essere considerate industriali in ragione di soli elementi dell’organizzazione tecnico economica.
Al mutamento dei soggetti che utilizzano l’immobile si collega una modificazione d’uso che configura il passaggio dall’uno all’altro settore urbanisticamente rilevante, ai sensi della legge n. 10 del 1977. 
Il cambiamento nell’uso dell’immobile ed il passaggio ad altro settore urbanisticamente rilevante devono essere assentiti con specifico atto di concessione che contestualmente riconsideri gli oneri urbanistici.
In carenza di tale provvedimento di concessione, la nuova destinazione d’uso è illegittima ed è legittimo l’ordine di rimessione in pristino.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, ha pronunciato la seguente decisione, sui ricorsi

- n. 240 del 1993, proposto da P.D.M. s.r.l, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati M.S. e P.V., elettivamente domiciliata in ...

contro

il Comune di Burolo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti G.S. e P.M. presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in ...
per l’annullamento della sentenza del T.A.R. - Piemonte, sez. I, n. 370 in data 1.10.1992;

- n. 241 del 1993, proposto da P.D.M. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, come sopra rappresenta e difesa,

contro

il Comune di Burolo, in persona del Sindaco pro tempore, come sopra rappresentato e difeso;
per l’annullamento della sentenza del T.A.R. - Piemonte n. 369 , in data 1.10.1992;

- n. 242 del 1993, proposto da C.P. s.r.l., in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati M.S. e P.V. elettivamente domiciliata in ...

contro

il Comune di Burolo, in persona del Sindaco pro tempore, come sopra rappresentato e difeso;
per l’annullamento della sentenza del T.A.R. - Piemonte n. 371 in data 1.10.1992;

Visti gli appelli, con i relativi allegati.
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Burolo.
Viste le memorie presentate dalle parti a sostegno delle rispettive difese.
Visti tutti gli atti di causa.
Udita la relazione del consigliere Paolo De Ioanna, alla pubblica udienza del 26 giugno 2001;
uditi altresì gli avvocati D.R., su delega dell’avv.to V., e l’avv.to A.G., su delega dell’avv.to S.;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

1. Gli appelli della P.D.M. S.r.l. sono diretti all’annullamento delle sentenze del T.A.R. per il Piemonte, Sez. I, n. 369 e n. 370 del 1992, entrambe in data 8.7.1992, che hanno respinto i ricorsi per l’annullamento dei provvedimenti del Sindaco di Burolo (n. 3606 e 3607 in data 25.10.1983 e n. 3848 e n. 3849, in data 17.11. 1983) con cui si contestava alla società P. un mutamento di destinazione d’uso non autorizzato di un capannone di proprietà, con invito a ripristinare la destinazione già autorizzata e comminatoria dei provvedimenti di legge in caso di inosservanza. La P., infatti, era proprietaria, dal 1976, di un capannone destinato ad “opificio industriale” che, secondo quanto dichiarato in atti dalla stessa appellante, è stato sempre utilizzato come magazzino per la gestione dei prodotti finiti del ciclo produttivo della “Olivetti”.
In sostanza, l’appellante ritiene che la formula contrattuale con la quale una società industriale affida la gestione del magazzino di propri prodotti finiti ad imprese terze, proprietarie di capannoni attrezzati, formula usuale in alcuni segmenti della produzione industriale, configurerebbe anch’essa una fase del ciclo produttivo industriale, e non potrebbe pertanto essere assimilata ad una attività di tipo commerciale.

2. La questione della natura dell’attività economica svolta nel capannone della P. è cruciale per comprendere le censure rivolte ai provvedimenti del Sindaco di Burolo e alle sentenze di primo grado. Infatti, il Sindaco di Burolo, con provvedimento n. 2796 dell’11.8.1983, comunicava che l’attività svolta nel capannone era da considerarsi di natura commerciale e che pertanto dovevano essere corrisposti oneri urbanistici determinati con riferimento a tale nuova destinazione d’uso. La P. contestava tale modifica nella destinazione d’uso dell’immobile che, a suo avviso restava destinato allo svolgimento di una attività perfettamente inquadrabile nel ciclo produttivo di una grande catena industriale. Il Sindaco di Burolo, in un primo momento prendeva atto dei chiarimenti forniti dalla P. e revocava il provvedimento n. 2796. Successivamente, con provvedimento n. 3606 del 25 ottobre 1983, anche a seguito di un sopralluogo effettuato da tecnici del Comune, il Sindaco contestava nuovamente l’avvenuta modificazione della destinazione d’uso del capannone, invitando la società a voler ripristinare le condizioni d’uso già autorizzate.

3. La P. propose due distinti ricorsi al T.A.R. Piemonte, deducendo, in sintesi, i seguenti motivi:

- trattandosi di una attività avviata prima del 1977 non potrebbero trovare applicazione gli artt. 10 della legge n. 10/1977 e 48 della legge regionale n. 56/1977;
- eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, assoluto difetto, incongruità ed illogicità nella motivazione dei provvedimenti impugnati;
- vizio del procedimento e violazione del principio generale del giusto procedimento.

Il ricorrente, in sostanza, sosteneva che il richiamo agli articoli 10 ed 11 della legge n .10 del 1977 avesse come reale finalità, peraltro non dichiarata, non l’esercizio imparziale dei compiti di vigilanza urbanistica, ma la corresponsione di ingenti oneri urbanistici.

4. Anche la Società C.P. propose ricorso al T.A.R. Piemonte per chiedere l’annullamento del provvedimento n. 3605 del 25 ottobre 1983, del Sindaco di Burolo, con cui si contestava alla predetta società il mutamento nella destinazione d’uso del capannone in questione. Occorre ricordare che la società C.P. è avente causa degli originari proprietari del suolo sul quale è stato costruito il capannone, i quali originari proprietari, con istanza 26 luglio 1977, avevano chiesto al Sindaco di Burolo la concessione edilizia per la costruzione del fabbricato ad uso industriale, fabbricato che poi era stato acquistato dalla società P.

5. Il T.A.R. ha respinto tutti e tre i ricorsi motivando proprio sul punto della modificazione della destinazione d’uso dell’immobile, modificazione che risulterebbe verificata nella fase istruttoria che ha preceduto l’adozione dei provvedimenti sindacali contestati. La P. e la C.P. hanno proposto appello contro le tre sentenze del T.A.R. - Piemonte.

6. Nell’udienza del 26 giugno 2001 gli appelli sono stati trattenuti per la decisione.

DIRITTO

1 - I provvedimenti sindacali impugnati in primo grado e le tre sentenze appellate si riferiscono ad un’unica questione sostanziale: se si configuri effettivamente il cambio di destinazione d’uso dell’immobile in questione. È pertanto opportuno riunire gli appelli e definirli con unica decisione.

2 - La ricostruzione, fattuale e giuridica, dell’eventuale cambio di destinazione d’uso dell’immobile, costituisce infatti la base della motivazione dei provvedimenti sindacali impugnati e del percorso ricostruttivo svolto dal giudice di prime cure. E le censure che gli appelli muovono alle tre sentenze si riferiscono, in sostanza, alla erroneità dei presupposti e della loro motivazione, in particolare nel passaggio in cui si sostiene che il magazzino del prodotto finito, in quanto gestito da altra ditta, non farebbe più parte del ciclo produttivo, bensì della fase di commercializzazione del prodotto.

3 - La distribuzione del prodotto finito, tramite vettori convenzionati, alle filiali nazionali ed estere, e lo stoccaggio dello stesso prodotto sono tutte fasi del ciclo produttivo che possono certamente essere esternalizzate presso soggetti distinti, anche giuridicamente, dalla società che possiede il marchio distintivo del prodotto finito. Tuttavia, questa diversa articolazione del ciclo produttivo, non significa che essa meccanicamente attragga ed assorba nell’area della produzione industriale passaggi e fasi che sono stati in precedenza considerati e disciplinati civilisticamente, come di intermediazione commerciale; in altri termini, la qualificazione giuridica di un’attività economica è collegata sia ad elementi tecnico organizzativi, sia a profili relativi all’articolazione soggettiva delle società che gestiscono le diverse fasi del ciclo. Tali fasi non cessano di essere qualificate come commerciali per essere invece considerate industriali, in ragione di soli elementi dell’organizzazione tecnico economica. E’ noto che l’attività commerciale si qualifica essenzialmente, anche sotto il profilo giuridico, per la sua funzione di intermediazione nella circolazione dei beni. Si può ragionevolmente sostenere che il decentramento di fasi che ben potevano e possono essere organizzate all’interno del ciclo industriale di un unico soggetto, quale quella della gestione dei magazzini dei prodotti finiti prima della loro immissione nella rete di vendita, assume elementi e profili tipici del processo di intermediazione nella circolazione del bene, nel momento in cui si decide di dislocarla presso un soggetto giuridico terzo, il quale possiede piena autonomia nella organizzazione del segmento gestionale ad esso affidato, pur nel rispetto di alcuni vincoli contrattualmente definiti. Il processo di riorganizzazione dei segmenti della produzione può essere letto anche nel senso di una progressiva commercializzazione o terziarizzazione di fasi e passaggi che in precedenza venivano svolti ed organizzati dentro un’unica organizzazione, in senso sia giuridico che produttivo.

4 - Ora le norme sulla destinazione d’uso degli immobili graduano il carico degli oneri proprio in considerazione del presupposto di fatto che la circolazione delle merci prodotte crea carichi urbanistici diversi da quelli collegabili alla produzione delle stesse merci nell’ambito e all’interno della stessa struttura. L’attività di un soggetto che svolge in un immobile, con autonomia organizzativa e piena soggettività giuridica, un’attività di gestione dei magazzini di beni finiti, prodotti da altra azienda, regolando il flusso ed il deflusso delle scorte sulla base di valutazioni legate al ciclo di commercializzazione del bene prodotto è ragionevole che venga attratta nell’ambito della disciplina civilistica dell’intermediazione commerciale, in ragione delle caratteristiche sostanziali di tale attività.

5 - Al mutamento dei soggetti che utilizzano l’immobile, nel caso in esame, si collega dunque una modificazione d’uso che configura il passaggio dall’uno all’altro settore urbanisticamente rilevante, ai sensi della legge n. 10 del 1977 e della legge regionale n. 56 del 1977. Il cambiamento nell’uso dell’immobile ed il passaggio ad altro settore urbanisticamente rilevante dovevano quindi essere dall’ente locale riconosciuti, sulla base della previsione legislative, e assentiti con specifico atto di concessione, che contestualmente riconsiderasse gli oneri urbanistici. In carenza di tale provvedimento di concessione, la nuova destinazione d’uso, unilateralmente posta in essere, è illegittima, mentre è legittimo l’ordine di rimessione in pristino, motivato per relationem col verbale di accertamento tecnico, le cui risultanze non vengono poste in dubbio dagli elementi prodotti in appello.

6 - Per le considerazioni prima svolte, i tre appelli, siccome riuniti, devono essere respinti. Sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti tutte le spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, previa loro riunione, li respinge.

Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 26 giugno 2001, con la partecipazione di:

Pasquale de Lise - Presidente
Pier Giorgio Trovato - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Filoreto D’Agostino - Consigliere
Paolo De Ioanna - Consigliere estensore