EDILIZIA - 067
Consiglio di Stato, sezione VI, 30 agosto 2002, n. 4374
(conferma T.A.R. Brescia,
14 novembre 1996, n. 1147)
Malgrado il tenore strettamente letterale dell'art. 9,
comma 4, legge n. 47 del 1985 (ristrutturazioni abusive su immobili
vincolati) sembri imporre sia la sanzione della restituzione in pristino che
la sanzione pecuniaria, deve essere preferita un'interpretazione
logico-sistematica, in coerenza con l'articolo 59 della legge n. 1089 del
1939 (ora art. 131 del decreto
legislativo n. 490 del 1999). La sanzione pecuniaria è irrogata solo
qualora la riduzione in pristino non sia possibile.
In caso di "sventramento" la riduzione in pristino è intrinsecamente
impossibile in quanto si tradurrebbe nella la
realizzazione ex novo delle strutture demolite, con le tecniche moderne.
Sicché, si creerebbe un falso storico, non essendo ovviamente possibile
realizzare nell’attualità opere demolite. In tal caso si impone la sanzione
pecuniaria di cui al predetto articolo 59.
(La conclusione appare del
tutto ragionevole dal momento che nel caso di ricostruzioni o ampie
ristrutturazioni abusive la riduzione in pristino, lungi dall'essere una
sanzione, si tradurrebbe in una azione che paradossalmente ... costringe il
cittadino a raggiungere proprio l'obiettivo che si era prefissato con il suo
comportamento antigiuridico).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 1287/1997, proposto dal Ministero per i beni culturali e ambientali, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per legge domiciliato presso gli uffici di quest’ultima, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
A. s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. T.C. del foro di Brescia e dall’avv. M.M., ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in ...
e nei confronti di
Comune di Brescia, in persona del Sindaco in carica, non costituito in appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della Lombardia - sede di Brescia, 14 novembre 1996, n. 1147, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio della società
appellata;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
visti tutti gli atti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 28 maggio 2002 il
consigliere Rosanna De Nictolis e uditi l'avvocato dello Stato Giacomo Ajello
per l’appellante e l'avvocato M. su delega dell’avv. M. per la
società appellata;
ritenuto e considerato quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. La società odierna appellata, proprietaria di un
immobile soggetto a vincolo storico - artistico ai sensi della legge n. 1089 del
1939, eseguiva interventi di ristrutturazione senza concessione. Chiedeva in
seguito la concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 13,
legge. n. 47 del 1985.
Con provvedimento 14 febbraio 1991, n. 3032, veniva respinta
l’istanza, su conforme parere negativo dell’autorità preposta alla tutela
del vincolo, rinviando a successivo atto le sanzioni.
Con precedente nota del 4 febbraio 1991 la Soprintendenza di
Brescia aveva ritenuto non ammissibile la sanatoria, ma nemmeno irrogabile la
sanzione della riduzione in pristino, suggerendo pertanto una sanzione
pecuniaria.
Anche la nota del Comune di Brescia 9 maggio 1991, n.
1902/90, indirizzata alla società appellata, manifestava l’intenzione di
irrogare solo una sanzione pecuniaria.
Ma con successiva nota 30 luglio 1991, diretta alla
Soprintendenza, il Comune di Brescia riteneva che l’art. 9,
comma 3, legge 28 febbraio 1985, n. 47 non si prestasse alla possibilità di irrogare la sola sanzione
pecuniaria, dovendo invece trovare applicazione congiuntamente, alle
ristrutturazioni edilizie abusive relative a immobili vincolati, sia la
riduzione in pristino che la sanzione pecuniaria.
Infine, con provvedimento 3 settembre 1991, n. 4793, la
Soprintendenza di Brescia irrogava la duplice sanzione della riduzione in
pristino e pecuniaria.
1.1. Contro tale atto e tutti quelli presupposti ha proposto ricorso al T.A.R. Lombardia - Brescia, la società odierna appellata.
1.2. Il T.A.R. adito con la sentenza in epigrafe ha
accolto il ricorso, rilevando che:
l’amministrazione ha tenuto un comportamento
contraddittorio, avendo dapprima accertato la impossibilità e dannosità della
riduzione in pristino, e poi dispostala;
è erronea l’interpretazione restrittiva dell’art. 9,
comma 3, legge 28 febbraio 1985, n. 47, divisata dall’amministrazione, in quanto la norma
in commento fa salve le sanzioni previste da altre disposizioni, e dunque si
riferisce pure all’art. 59, legge n. 1089 del 1939, che consente la sanzione
pecuniaria in luogo della riduzione in pristino quando questa non sia possibile.
2. Ha proposto appello l’amministrazione, deducendo che l’art. 59, legge n. 1089 del 1939, non potrebbe trovare applicazione, a fronte di una norma chiara e completa quale è quella di cui al citato art. 9, comma 3, legge 28 febbraio 1985, n. 47, che esclude la possibilità di evitare la riduzione in pristino, nel caso di ristrutturazioni edilizie abusive su immobili vincolati.
3. L’appello è infondato.
3.1. Il quadro normativo, non del tutto perspicuo se ancorato ad una interpretazione strettamente letterale, merita una interpretazione in chiave logica, teleologica e sistematica.
Dispone l’art.
9, legge 28 febbraio 1985, n. 47, ai commi 1 e
2, che in caso di ristrutturazioni edilizie abusive, ove non sia possibile il
condono ai sensi del precedente art. 13, l’autorità comunale ordina la
riduzione in pristino; se questa non è possibile, si fa luogo solo all’applicazione
di una sanzione pecuniaria.
Il successivo comma 3 regola le ristrutturazioni edilizie
abusive relative ad immobili soggetti a vincolo paesaggistico o storico
-artistico. In questa ipotesi, competente ad irrogare le sanzioni non è l’autorità
comunale bensì quella preposta alla tutela del vincolo. Inoltre, è prevista l’applicazione
congiunta della sanzione ripristinatoria e di quella pecuniaria, ed è fatta
salva l’applicazione di sanzioni previste da altre disposizioni.
In particolare, l’art. 9, comma 3, così dispone: «Qualora le opere siano state eseguite su immobili vincolati ai sensi
delle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497,
l'amministrazione competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva
l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, ordina la
restituzione in pristino a cura e spese del responsabile dell'abuso, indicando
criteri e modalità diretti a ricostituire l'originario organismo edilizio, ed
irroga una sanzione pecuniaria da lire un milione a lire dieci milioni».
L’art. 59, comma 3, legge n. 1089 del 1939, stabilisce
che «Quando la riduzione della cosa in pristino non sia possibile, il
trasgressore è tenuto a corrispondere allo Stato una somma pari al valore della
cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla cosa per effetto della
trasgressione».
3.2. Ora, l’art. 9, nel mentre consente, per le ristrutturazioni edilizie abusive relative a immobili non vincolati, la possibilità di irrogare la sola sanzione pecuniaria, ove la riduzione in pristino non sia possibile, per le ristrutturazioni abusive relative a immobili vincolati sembra, sulla scorta del dato testuale, imporre in ogni caso l’applicazione congiunta della sanzione ripristinatoria e di quella pecuniaria.
Ma siffatta interpretazione non appare conforme a argomenti di carattere logico e sistematico, e anche ad argomenti di ordine testuale.
Emergono anzitutto due argomenti di ordine testuale.
Il comma 3 dell’art. 9 in commento fa salva l’applicazione
di sanzioni previste dalle norme vigenti in materia di immobili vincolati.
Non si può, pertanto, non tenere conto dell’art. 59,
legge n. 1089 del 1939, che per gli immobili soggetti a vincolo storico - artistico
prevede la sanzione pecuniaria quando non sia possibile la riduzione in
pristino.
Il successivo comma 4 dell'art. 9,
legge 28 febbraio 1985, n. 47, poi,
dispone che «Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche non
vincolati, compresi nelle zone indicate nella lettera A dell'articolo 2 del
decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97
del 16 aprile 1968, il sindaco richiede all'amministrazione competente alla
tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la
restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al
precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro centoventi giorni dalla
richiesta il sindaco provvede autonomamente».
Il comma 4 si riferisce sia agli immobili vincolati che a quelli non vincolati che ricadano in zona A (centro storico), e stabilisce che in tale ipotesi l’autorità comunale chiede parere all’autorità preposta alla tutela del vincolo, circa la riduzione in pristino o la irrogazione di sanzione pecuniaria. Si dà dunque per scontato che le ristrutturazioni edilizie abusive nei centri storici, anche ove riguardino immobili vincolati, sono passibili di sola sanzione pecuniaria, in luogo della riduzione in pristino.
3.3. Dal quadro normativo si evince dunque che in ben
tre norme si prevede la sanzione pecuniaria in luogo della riduzione in pristino
non più possibile:
nell’art. 9,
comma 2, legge 28 febbraio 1985, n. 47, per gli immobili
non vincolati;
nell’art. 9,
comma 4, legge 28 febbraio 1985, n. 47, per gli immobili
siti nel centro storico, siano essi o meno vincolati;
nell’art. 59, legge n. 1089 del 1939, per gli immobili
vincolati, quale che sia la zona del territorio comunale in cui si trovano.
In tale quadro, perfettamente coerente e rispondente ad un canone logico di comune buonsenso, secondo cui non si ordina la riduzione in pristino se la stessa è ormai impossibile o troppo dannosa, appare una nota stonata l’interpretazione puramente testuale dell’art. 9, comma 3, che sembrerebbe imporre in ogni caso la riduzione in pristino in aggiunta alla sanzione pecuniaria, per le ristrutturazioni edilizie su immobili vincolati.
Siffatta interpretazione:
non è coerente con argomenti di carattere logico;
non è coerente con una interpretazione sistematica, specie
se il comma 3 viene letto congiuntamente al comma 4 dell’art. 9: non si
comprenderebbe perché per gli immobili vincolati è possibile la sola sanzione
pecuniaria per le ristrutturazioni edilizie abusive nei centri storici e non
anche per le ristrutturazioni edilizie fuori dai centri storici;
non è coerente con la stessa lettera della legge, che al
comma 3 dell’art. 9 fa salve le sanzioni previste da altre norme vigenti, e,
segnatamente, le previsioni di cui all’art. 59, legge n. 1089 del 1939.
3.4. Il significato pratico e autonomo del
comma 3 dell'art. 9, legge 28 febbraio 1985, n.
47 non è dunque nella previsione delle sanzioni
congiunte, bensì nell’aver affidato la competenza sanzionatoria all’autorità
preposta alla tutela del vincolo anziché all’autorità comunale, e nell’aver
previsto la sanzione pecuniaria e ripristinatoria in via cumulativa, sempre che
quella ripristinatoria sia possibile.
Ove, invece, il ripristino non sia possibile senza nocumento
per le ragioni stesse del vincolo, deve trovare applicazione la sola sanzione
pecuniaria.
La concreta misura della sanzione pecuniaria rientra nell’apprezzamento
di discrezionalità tecnica dell’amministrazione che la irroga.
E’ ragionevole ritenere che ove la sanzione pecuniaria
venga applicata congiuntamente a quella ripristinatoria, potrà essere irrogata
nella misura minima; ove venga irrogata in sostituzione di quella
ripristinatoria, potrà essere irrogata in misura più elevata, in proporzione
alla gravità dell’abuso, e, se del caso, nel massimo edittale.
Va aggiunto che l’applicazione di entrambe le sanzioni vale
per tutti gli immobili vincolati, ivi compresi quelli collocati nel centro
storico, per i quali vi sono norme ulteriori di dettaglio nel comma 4 del
medesimo art. 9 in commento.
3.5. Deve dunque concludersi nel senso che l’art. 9, comma 3, legge 28 febbraio 1985, n. 47, relativamente alle ristrutturazioni edilizie abusive di immobili soggetti a vincolo storico - artistico o ambientale, non suscettibili di sanatoria, va interpretato nel senso che la sanzione ripristinatoria va applicata congiuntamente a quella pecuniaria solo se il ripristino sia ancora possibile; ove, invece, il ripristino non sia possibile, deve trovare applicazione la sola sanzione pecuniaria, in conformità ad un canone generale, di cui sono espressione, altresì, i commi 2 e 4, del medesimo art. 9, e l’art. 59, legge n. 1089 del 1939.
3.6. Passando all’applicazione dei principi di
diritto enunciati al caso di specie, va osservato che occorre verificare se
fosse o meno possibile irrogare la misura della riduzione in pristino.
Trattasi di valutazione di discrezionalità tecnica, rimessa
all’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, non sindacabile dal
giudice salvo che per manifeste illogicità o travisamenti.
Nel caso di specie, vi è già stata una valutazione di
discrezionalità tecnica, perfettamente logica e coerente, con cui si è esclusa
la possibilità di riduzione in pristino, perché la stessa comporterebbe una
alterazione ulteriore dell’immobile vincolato. E, invero, essendosi verificato
che, mediante la ristrutturazione abusiva, è stato sventrato l’interno dell’edificio,
mediante la eliminazione di scale interne e la modifica dei piani di calpestio,
la riduzione in pristino comporterebbe, come ha osservato la Soprintendenza, la
realizzazione ex novo delle strutture demolite, con le tecniche moderne.
Sicché, si creerebbe un falso storico, non essendo ovviamente possibile
realizzare nell’attualità opere demolite, che risalgono ad epoca pregressa e
che furono realizzate con tecniche e materiali dell’epoca, non più reperibili
al giorno d’oggi.
Alla luce di siffatta valutazione, compiuta dall’amministrazione,
si desume l’impossibilità, nella specie, di applicare la riduzione in
pristino, che imporrebbe la realizzazione di una falsificazione, ulteriormente
lesiva per l’immobile vincolato.
4. Per quanto esposto, l’appello va respinto.
La novità della questione giustifica, tuttavia, l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Compensa interamente tra le parti le spese, i diritti e gli
onorari di lite.
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla
presente decisione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 maggio
2002, con la partecipazione di:
Mario Egidio Schinaia - Presidente
Alessandro Pajno - Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani - Consigliere
Rosanna De Nictolis - Cons. rel. ed est.
Domenico Cafini - Consigliere
Il riferimento all'articolo 59 della legge n. 1089 del 1939 deve essere inteso all'articolo 131 del decreto legislativo n. 490 del 1999.