EDILIZIA - 071
Consiglio di Stato, sezione V, 7 novembre 2002, n.  6128
Se è rilasciata una concessione edilizia, l'area asservita non è più edificabile, in quanto già ha dato luogo alla sua utilizzazione ai fini edificatori, anche se è oggetto di un frazionamento ovvero di una alienazione - Le vicende di natura civilistica (ad esempio, la vendita parziale) che interessano l'area asservita non hanno alcun rilievo rispetto al regime giuridico del bene derivante dalle leggi amministrative - La domanda di concessione edilizia avanzata dopo che lo strumento urbanistico ha introdotto limitazioni circa l’edificabilità di aree per le quali, in precedenza, non sussitevano restrizioni, deve essere esaminata tenendo conto delle previsioni del medesimo strumento urbanistico e della conseguente già utilizzata vocazione edificatoria dell’area acquistata dal richiedente - Quando un sopravvenuto piano urbanistico prevede ristretti limiti entro i quali può aver luogo l’edificazione, tali limiti riguardano le domande di concessione successive alla approvazione del piano e non i manufatti costruiti legittimamente sulla base delle previgenti prescrizioni urbanistiche - L’asservimento che interessa le aree acquistate dopo l’entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico è determinato sulla base di quest'ultimo, vigente alla data della nuova della concessione edilizia.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 1996

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.2785/96 proposto dal Comune di La Spezia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. T.A. ed elettivamente domiciliato in Roma, presso la Segreteria del Consiglio di Stato,

CONTRO

D.C.R. e C.R., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’avv. P.A. e con lui elettivamente domiciliati in Roma, ...

per l’annullamento

della sentenza del T.A.R. della Liguria, Sezione I, 10 gennaio 1996, n. 5;
visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
visto il controricorso degli appellati;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti di causa;
relatore, alla pubblica udienza del 10 maggio 2002, il Cons. P.B. uditi, l’avv. A. per il Comune appellante e l’avv. Q., per delega dell’avv. A. per gli appellati.

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

FATTO

1) - Con la sentenza qui appellata il T.A.R. ha accolto il ricorso proposto dai qui appellati sigg.ri D.C. e C. per l’annullamento del provvedimento del Sindaco di La Spezia in data 6 aprile 1994 di diniego di concessione edilizia relativo ad una istanza edificatoria inoltrata nel 1991 per la realizzazione di una costruzione di circa mq. 75 in zona agricola normale “EN” sita nel Comune anzidetto.
Per il T.A.R. le norme edilizie applicabili nella zona (artt. 20 e 52 delle NTA del PRG e art. 45 del Regolamento edilizio) non ostavano, contrariamente a quanto ritenuto dal Comune, al rilascio del titolo edificatorio richiesto.

2) - Per il Comune appellante la sentenza sarebbe erronea in quanto le norme anzidette, se correttamente interpretate, sarebbero state di ostacolo al rilascio della richiesta concessione edilizia.

Si sono costituiti in giudizio gli appellati che, nelle proprie difese, insistono per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata.

Con memorie conclusionali le parti ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.

DIRITTO

1) – Il presente appello è proposto avverso la sentenza con la quale il T.A.R. ha accolto il ricorso proposto dai sigg.ri D.C. e C. per l’annullamento del provvedimento sindacale di diniego di concessione edilizia per la realizzazione di una costruzione (che avrebbe occupato una superficie di mq. 75,25) in zona agricola.

I lotti di terreno che gli originari ricorrenti intendevano vincolare ai fini della realizzazione del fabbricato di cui si tratta avevano una superficie complessiva di circa mq. 7525, eccedente, quindi, il lotto minimo di zona agricola di cui all’art.16 delle NTA del PRG (mq.4.000); in base all’art. 52.1 delle NTA del PRG era possibile edificare, in detta zona, con un indice di mq.0,01 per ogni metro quadro di superficie disponibile.

In base all’art. 45, terzo comma, dello stesso Regolamento (relativo alla “superficie asservita”), inoltre, “nel caso di costruzioni autorizzate prima del 31 agosto 1967, ove non esista agli atti regolare asservimento, s’intende asservita una fascia minima di m. 5,00 attorno al perimetro dell’edificio e comunque non oltre il confine di proprietà…”; infine, ai sensi del successivo comma 7, “tutte le superfici asservite, con le eventuali modificazioni, devono risultare in apposito repertorio, composto da planimetria e registro, tenuti dal Comune e approntati dallo stesso”.

Secondo il Comune appellante, l’art. 45 ora detto non troverebbe applicazione con riguardo alle zone agricole, altrimenti aprendo la strada ad una lottizzazione delle aree agricole sostanzialmente incontrollabile; al contempo dovrebbero trovare piena applicazione le disposizioni ci cui all’art. 20 delle NTA del PRG, secondo cui (comma primo): “l’utilizzazione totale dell’indice territoriale o fondiario corrispondente ad una determinata superficie, esclude ogni successiva richiesta di altre concessioni ad edificare sulle superfici stesse tese ad utilizzare nuovamente detto indice…….indipendentemente da qualsiasi frazionamento o passaggio di proprietà”; e, inoltre (comma secondo): “qualora un’area a destinazione omogenea, su cui esistono costruzioni che si devono o si intendono conservare, venga frazionata allo scopo di costruire nuovi lotti edificabili, tutti gli indici e prescrizioni di piano vanno comunque rispettati sia per le costruzioni conservate, sia per le nuove da edificare”.

Ebbene, ad avviso dell’appellante, alla luce di queste disposizioni il diniego edificatorio impugnato – contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R. - sarebbe pienamente legittimo laddove recita: “si ritiene che il progetto sia in contrasto con l’art. 52 delle norme di attuazione del PRG; infatti, anche prescindendo da considerazioni inerenti il computo degli indici edilizi, la soluzione progettuale proposta priva il fabbricato esistente della originaria pertinenza agricola al fine di attribuirla alla costruzione in progetto, cosicché vengono arbitrariamente a sussitere due insediamenti su di un lotto che sotto l’aspetto della funzionalità agricola ne può giustificare uno soltanto; ciò costituisce evidente contrasto con l’art. 52 delle Norme di attuazione del PRG che si propone come fine principale l’esercizio dell’agricoltura e subordinatamente e solo come elemento conseguenziale ammette le abitazioni dei coltivatori dei fondi o degli imprenditori agricoli…; pertanto, se è pur vero che in base alla vigente normativa la richiesta di nuove costruzioni deve essere corredata da una relazione che dimostri la congruità delle dimensioni dei fabbricati alle superfici coltivate e ai programmi produttivi, è implicito che ciò non può avvenire privando altro fabbricato esistente di tali elementi, in quanto, se così fosse, verrebbero del tutto snaturate le finalità della zona agricola; infatti nel caso in fattispecie è evidente che al fabbricato già esistente sul lotto resterebbe una pertinenza costituita da una fascia di m. 5 di terreno intorno alla propria area di sedime, certamente insufficiente quale superficie colturale per un insediamento abitativo, anche se esistente”.

2) – L’appello è fondato.

Come già ritenuto in analoghe occasioni dalla Sezione (per tutte, cfr. 26 novembre 1994, n.1382; cfr. anche 30 marzo 1998, n. 387; Sez. IV, 6 settembre 1999, n. 1402):

a) - se è rilasciata una concessione edilizia, che consente di realizzare un manufatto la cui volumetria è calcolata sulla base dell’estensione dell’area del richiedente o di un terzo soggetto (contigua o accorpata), tutta l’area va considerata utilizzata ai fini edificatori e può definirsi asservita o accorpata;
b) l'area asservita o accorpata in quanto tale non è più edificabile, in quanto già ha dato luogo alla sua utilizzazione ai fini edificatori, anche se è oggetto di un frazionamento ovvero di una alienazione dell’area diversa da quella ove insiste il manufatto realizzato medio tempore;
c) in altri termini, le vicende di natura civilistica (ad esempio, la vendita parziale) che interessano l'area asservita o accorpata non hanno alcun rilievo rispetto al regime giuridico del bene derivante dalle leggi amministrative.

Ciò posto, la Sezione ha ritenuto che la domanda volta al rilascio della concessione edilizia avanzata dopo che lo strumento urbanistico generale ha introdotto limitazioni circa l’edificabilità di aree per le quali, in precedenza, non sussitevano restrizioni, deve essere esaminata tenendo conto delle previsioni del medesimo strumento urbanistico e della conseguente già utilizzata vocazione edificatoria dell’area acquistata dal richiedente.

Quando, invero, un sopravvenuto piano urbanistico prevede ristretti limiti entro i quali può aver luogo l’edificazione, tali limiti riguardano le domande di concessione successive alla approvazione del piano e non certo i manufatti costruiti legittimamente sulla base delle prescrizioni urbanistiche superate dal piano regolatore successivamente approvato.

Ma non può ritenersi che l’asservimento che interessa le aree acquistate dopo l’entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico vada determinato sulla base della normativa edilizia (più favorevole) esistente all’epoca dell’edificazione dei preesistenti manufatti e non sulla base di detto nuovo strumento pianificatorio, vigente alla data di richiesta della concessione edilizia.

Ciò in quanto l’approvazione del P.R.G. viene a conformare il regime giuridico dell’area secondo i principi generali discendenti dall’art. 7, secondo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150; con la conseguenza che, allorché si deve accertare la potenzialità edificatoria di un’area sulla base di un piano urbanistico, si deve senz’altro tenere conto dei manufatti preesistenti; il piano, infatti, quando prevede i limiti entro i quali l’area può essere edificata, si riferisce non alla edificazione ulteriore rispetto a quella esistente al momento della sua approvazione, ma alla edificazione complessivamente realizzabile sull’area.

3) - Ora, per quanto attiene alla presente fattispecie, è vero che non è stato mai formalizzato (in correlazione ad atti di compravendita, di rilascio di titoli edificatori o altri accordi obbligatori tra parti contrattuali o tra queste e la P.A.) lo specifico asservimento dell’originario fondo di circa mq. 20.000 (fondo frazionato solo dopo l’approvazione del nuovo PRG, per ricavarne la complessiva superficie – di mq. 7525 - posta a disposizione della costruzione di cui si tratta).
Ma l’asservimento delle aree alle costruzioni preesistenti è stato introdotto, con il carattere della generalità, dalla disciplina urbanistica sopravvenuta, rispetto alla quale tali costruzioni (realizzate prima del 1967) già in concreto esaurivano (e, anzi, astrattamente eccedevano) le superfici utilizzabili ai sensi del citato art. 52.1 delle NTA del PRG (ulteriori volumetrie si sono poi aggiunte in base a sanatoria edilizia richiesta prima del frazionamento stesso, aggravando ulteriormente, se possibile, la già esistente situazione di inedificabilità per asservimento delle aree alle precedenti costruzioni).

4) - Né in contrario può essere utilmente invocato il fatto che l’art. 45 del Regolamento edilizio, sopravvenuto rispetto alle citate norme tecniche d’attuazione del PRG, prevede che, per le costruzioni realizzate prima del 1967, “ove non esista agli atti regolare asservimento, s’intende asservita una fascia minima di m.5,00 attorno al perimetro dell’edificio e comunque non oltre il confine di proprietà…”.
Si tratta, infatti, di una norma, di carattere residuale, posta a specifica tutela di edifici realizzati in più remota epoca, estesa a tutto il territorio comunale, che vale ad assicurare agli stessi un minimo (“fascia minima”) di salvaguardia in tutti i casi in cui - in assenza di preesistenti atti di asservimento e in presenza, per converso, di norme di PRG che in astratto consentirebbero una vasta utilizzazione della superficie edificabile, ancorché nel rispetto dei limiti di volumetria e di superficie massima edificabile dallo stesso piano previsti - sarebbe consentita la realizzazione di manufatti collocantisi, altrimenti, in assoluta prossimità dei predetti edifici.

Norma che, per converso, non ha alcun effetto abrogativo o riduttivo della disciplina desumibile dalle ripetute NTA del PRG e che neppure è tale da consentire il superamento di vincoli specifici più onerosi, quali quelli di cui ai ripetuti artt. 20 e 52.1 delle NTA medesime (o di altre analoghe previsioni di PRG); disposizioni in virtù delle quali il vincolo è stato introdotto con le stesse norme tecniche di piano.
Altrimenti, come segnalato dal Comune appellante, si verificherebbe una situazione, difficilmente controllabile sul piano urbanistico-edilizio, per cui le aree da ritenersi impegnate dagli edifici di più vecchia data diverrebero, di fatto, edificabili (esclusa la sola, modestissima fascia di 5 metri anzidetta) nei limiti di superficie di cui al ripetuto art. 52.1 delle NTA del PRG; con la conseguenza che vaste aree di terreno agricolo tornerebbero, di fatto, edificabili a seguito di semplici frazionamenti.

Nei sensi ora detti induce anche la considerazione logico-sistematica per cui le norme relative alle cubature e alle superfici massime assentibili attengono, normalmente, al corretto uso del territorio e si collocano, quindi, nell’ambito della disciplina urbanistica generale di piano; mentre le norme del Regolamento edilizio valgono essenzialmente alla tutela degli assetti edilizi e alla salvaguardia igienico-sanitaria; ed è proprio in quest’ultima ottica che si inserisce, in effetti, il ripetuto art. 45 del Regolamento edilizio.

5) - Correttamente, quindi, è stato denegato il richiesto titolo concessorio per contrasto con la predetta disciplina urbanistica di carattere generale.

Né in contrario può addursi il fatto che l’Amministrazione, nell’incertezza interpretativa della disciplina anzidetta, abbia dapprima chiesto chiarimenti interpretativi alla Regione e, quindi, si sia determinata negativamente, senza attendere il responso regionale, intervenuto solo dopo l’impugnato diniego e favorevole, peraltro, ai richiedenti il titolo concessorio.

Subito dopo la richiesta di tale parere, infatti, gli interessati hanno diffidato (14 marzo 1994) il Comune a pronunciarsi sulla loro richiesta edificatoria; in questa situazione, appare legittimo e non contraddittorio il comportamento tenuto dal Comune che, senza attendere il responso regionale, si è pronunciato direttamente sulla richiesta stessa, la notificazione della diffida a norma dall’art. 4 della legge n. 493 del 4 dicembre 1993 imponendo, al medesimo, una pronta definizione della vicenda.
Il parere regionale stesso, poi, ha mero carattere consultivo e facoltativo e non vincola l’Amministrazione comunale, una volta che questa fornisca, come, nella specie, ha fornito, adeguata motivazione in merito alle ragioni che l’hanno indotta ad assumere determinazioni poi risultate non in linea con il parere medesimo.

6) Neppure può parlarsi, inoltre, di contraddittorietà del contestato diniego con il certificato rilasciato dal Comune il 30 luglio 1991, in cui si dichiarava che “l’intervento relativo alla costruzione di una casa di civile abitazione da realizzare sul terreno di cui ai mappali 231 e 307 del fg. 7 del Comune di La Spezia, compreso secondo il PRG vigente in zona agricola normale En di cui all’art. 52/1 è conforme alla destinazione di zona, salvo la verifica dei relativi parametri”; a parte che si tratta di un giudizio, espresso dagli uffici tecnici comunali, che non vincola le decisioni della stessa Amministrazione che, motivatamente, lo disattendano, vi è anche da notare che è proprio in base alla verifica dei parametri tecnici che è stata esclusa l’edificabilità delle aree in questione, dal momento che, in astratto, le costruzioni in zona agricola sono consentite nel rispetto dei limiti di cui allo stesso art. 52.1 delle NTA del PRG.

Né possono essere utilmente invocati i precedenti pareri resi (nei tre anni correnti dall’inoltro della richiesta edificatoria) dalla Commissione edilizia, asseritamente favorevoli agli appellati; ciò in quanto (a parte i reali contenuti degli stessi, di cui si dirà) è sufficiente che l’organo decidente suffraghi adeguatamente le proprie definitive determinazioni, difformi dal voto espresso dalla Commissione edilizia, mentre il semplice decorso del tempo non può incidere sulla legittimità del diniego medesimo.

7) – Non può, infine, neppure essere condivisa la censura secondo cui il Comune non avrebbe potuto discostarsi dai due anzidetti pareri resi dalla Commissione edilizia; pareri che avrebbero avuto carattere vincolante, essendosi detto organo pronunciato in forma “integrata” ai sensi dell’art. 2 della L.R. n. 15 del 1980.

Anzitutto, con il parere di cui alla nota del 13 aprile 1992 la C.E., “essendo sorta questione sull’applicabilità dell’art. 45 del R.E. ovvero in alternativa dell’art. 20 delle NTA del PRG”, ha rinviato il parere ad altra seduta per approfondimenti, mentre, in precedenza, nello stesso contesto, aveva espresso parere favorevole, ma solo ai sensi della L.R. 21 agosto 1991, n. 20, relativa alla subdelega dei Comuni nelle funzioni amministrative in materia di bellezze naturali (subdelega prevista ai limitati fini: a) - del rilascio delle autorizzazioni o nulla osta per le modificazioni degli immobili compresi negli elenchi di cui all'art. 2 della legge 20 giugno 1939, n. 1497; b) - dell’apertura di nuove strade o la modifica di quelle esistenti; c )- della posa in opera di cartelli o di altri messi di pubblicità; d) - dell’adozione di provvedimenti cautelari anche indipendentemente dall'inclusione dei beni nei relativi elenchi; e) – dell’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497).

Il successivo parere, di cui alla nota del 20 luglio 1993, non è, a sua volta, di per sé, favorevole (anzi, esprime chiari dissensi in seno allo stesso organo collegiale), risolvendosi, in definitiva, per la sottoposizione della questione al giudizio della Regione, come dianzi ricordato.

Con la conseguenza che, in entrambi i casi, si è trattato di pareri interlocutori, privi, come tali, di effetti vincolanti.

A ciò si aggiunga, poi, che il carattere vincolante è assegnato solo ai pareri resi in forma integrata nell’esercizio della subdelega di cui alle citate LL.RR. n. 15/1980 e 20/1991 e, quindi, per ipotesi attinenti alla tutela delle bellezze naturali; mentre, per quanto attiene allo specifico rispetto della disciplina urbanistica generale e a quella edilizia, in sé considerate, non può ritenersi operante la disciplina normativa qui specificamente invocata, con la conseguenza che il relativo parere reso dalla CE non ha carattere vincolante.

8) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado.

Possono essere integralmente compensate tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato, Sezione quinta, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 10 maggio 2002 dal Collegio costituito dai Signori:

Claudio Varrone, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere est.
Aldo Fera, Consigliere
Filoreto D'Agostino, Consigliere
Marzio Branca, Consigliere