EDILIZIA
E URBANISTICA - 091
Consiglio di Stato, sezione V, 18 settembre 2003, n.
5310
(annulla T.A.R. Veneto, 13
settembre 1997, n. 1390)
Il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art.
31, comma 1, lett. d) legge n. 457 del 1978 (ora l’art. 3, lett. d) del
d.P.R. n. 380 del 2001 - Testo unico dell’edilizia) comprende anche la demolizione
seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che
la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di
superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto.
E’ illegittimo il divieto imposto in sede di rilascio di una concessione
edilizia, di demolizione e ricostruzione
di un manufatto: tale divieto contrasta con la definizione di ristrutturazione
edilizia codificata dall’art. 3, lett. d) del
d.P.R. n. 380 del 2001, che consente la
demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto.
sul
punto:
Consiglio di Stato, sezione IV, 2 aprile 2002, n.
1824: l'art. 31, comma 1, lettera. d), legge n. 457 del 1978 (ora art.
3, comma 1, lettera d), d.P.R. n. 380 del 2001) ricomprende nel concetto di ristrutturazione edilizia
anche la demolizione
seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione
assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il
vecchio ed il nuovo manufatto.
Consiglio di Stato, sezione V, 8 settembre 2003 n. 5032:
qualora nella ristrutturazione mediante ricostruzione sia stata
utilizzata la stessa area di sedime, non occorre osservare le distanze
legali imposte dalle norme ove queste non dispongano espressamente in modo
diverso.
REPUBBLICA ITALIANA.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Quinta Sezione)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.623/1998 proposto da F.B., G.G., F.P. e F.V., tutti rappresentati e difesi dall’Avv. F.P. ed elettivamente domiciliati presso lo stesso in ...
CONTRO
il Comune di Monselice, non costituito;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, n.1390/97 in data 13 settembre 1997;
Visto l’atto di appello con i
relativi allegati;
Vista la memoria difensive degli appellanti;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 16 maggio 2003, relatore il consigliere Carlo Deodato,
udito il difensore dei ricorrenti, avv. P.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza appellata veniva respinto il ricorso, proposto dagli odierni appellanti dinanzi al T.A.R. del Veneto, inteso ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con i quali il Comune di Monselice aveva, dapprima, rilasciato agli istanti la concessione edilizia n. 310 del 27.12.1994, nella parte in cui si vietava che la ristrutturazione assentita venisse realizzata mediante demolizione e ricostruzione del manufatto, e, successivamente, preso atto dell’intervenuto abbattimento dell’edificio e dell’impossibilità della sua riedificazione, ordinato la sospensione dei lavori (con provvedimento n. 1871 del 26.1.1995) ed annullato, in via di autotutela, la concessione edilizia n. 310/94 (con determinazione sindacale n. 5488 del 2.3.1995).
Avverso tale decisione proponevano appello gli originari ricorrenti, criticando la correttezza del giudizio reso dal T.A.R. in merito alla legittimità delle determinazioni controverse ed invocando la riforma della statuizione gravata ed il conseguente annullamento degli atti impugnati in prime cure.
Non si costituiva il Comune di Monselice.
Alla pubblica udienza del 16 maggio 2003 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.- E’ controversa la legittimità degli atti con i quali il Comune di Monselice ha, dapprima, prescritto che la ristrutturazione di un manufatto pertinenziale di 39 mq di proprietà dei ricorrenti, assentita con la concessione edilizia n. 310/94, non venisse eseguita mediante demolizione e ricostruzione del manufatto, e, successivamente, preso atto dell’intervenuto abbattimento dell’edificio e dell’impossibilità della sua riedificazione, ordinato la sospensione dei lavori (con provvedimento n.1871 del 26.1.1995) ed annullato, in via di autotutela, la concessione edilizia n.3 10/94 (con determinazione sindacale n. 5488 del 2.3.1995).
Il Tribunale veneto, adìto dai ricorrenti per ottenere l’annullamento dei predetti provvedimenti, ha, in particolare, negato la sussistenza dei vizi denunciati, rilevando la tardività della contestazione rivolta in parte qua contro la concessione edilizia e la coerenza con la vigente disciplina urbanistica ed edilizia dei successivi provvedimenti (di sospensione dei lavori e di annullamento del titolo originario), dei quali sanciva, dunque, la correttezza.
Gli odierni appellanti criticano la correttezza di tale giudizio e dell’azione amministrativa con quello conosciuta e ne denunciano, in sintesi, l’incoerenza con l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza della nozione di ristrutturazione di cui all’art. 31 comma 1 lett. d) della legge 5 agosto 1978, n. 457, invocandone, di conseguenza, l’annullamento.
2.- La principale censura dedotta a sostegno del ricorso si risolve, a ben vedere, nel rilievo della difformità del divieto di demolizione e ricostruzione del manufatto, contenuto nella concessione edilizia n. 310/94, con la previsione di cui all’art. 31 comma1 lett. d) legge n. 457/78, per come interpretata dall’univoco orientamento giurisprudenziale formatosi a riguardo.
Sostengono, in sintesi, i ricorrenti che la denunciata illegittimità di quella prescrizione comporta, quale immediata e diretta conseguenza, l’invalidità dei provvedimenti successivamente adottati dall’amministrazione, siccome erroneamente fondati sul duplice rilievo della sua inosservanza (e, dunque, della difformità delle opere eseguite da quelle assentite) e dell’impossibilità di procedere alla ricostruzione dell’edificio, in seguito al suo abbattimento.
Come già rilevato, i primi giudici hanno ritenuto l’irricevibilità delle censure rivolte contro la concessione edilizia, in quanto tardivamente introdotte.
2.1- Occorre, quindi, esaminare, anzitutto, la controversa questione della tempestività del ricorso, nella parte in cui risulta rivolto contro la ricordata prescrizione della concessione edilizia n. 310/94.
Si osserva, al riguardo, che la predetta verifica va compiuta con riferimento al momento dell’insorgenza dell’interesse degli istanti a contestare la legittimità della prescrizione in questione, non essendo immaginabile la decorrenza del termine per impugnare in un periodo anteriore alla data in cui, per sopravvenienze di fatto o di diritto, l’atto contestato si è rivelato concretamente lesivo della posizione soggettiva azionata.
In coerenza con tale parametro valutativo, il dies a quo del termine per l’impugnazione va, quindi, sicuramente individuato nel momento in cui l’osservanza di quella prescrizione si è, di fatto, rivelata impossibile, in conseguenza del sopravvenuto crollo del manufatto da ristrutturare, e l’intervenuta impossibilità di procedere all’intervento, nel rispetto di quella condizione, ha determinato l’annullamento d’ufficio del titolo originario.
Prima di tali momenti, invero, la prescrizione in questione risultava priva di lesività, non precludendo l’intervento assentito e dettando una modalità esecutiva allora percepita come agevolmente rispettabile.
Né rilevano, in proposito, i dubbi formulati dai primi giudici in merito alla natura accidentale del crollo dell’edificio, posto che, in mancanza di qualsiasi elemento che indichi il carattere volontario della demolizione, deve escludersi la sussistenza di una consapevole e dolosa violazione della prescrizione in questione da parte degli istanti e confermarsi, quindi, l’insorgenza dell’interesse alla sua contestazione al momento della caduta delle strutture portanti del manufatto e della sopravvenuta impossibilità del rispetto del contestato divieto.
Deve, allora, concludersi per la ricevibilità del ricorso, nella parte rivolta contro la prescrizione in questione, in quanto tempestivamente proposto rispetto al momento della sopravvenuta lesività della clausola (per come sopra individuato).
2.2- Così verificata la ritualità dell’introduzione della contestazione del divieto di procedere alla ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, se ne deve rilevare la fondatezza alla stregua delle considerazioni che seguono.
Premesso, in fatto, che la clausola in contestazione vieta la realizzazione della ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione del manufatto “…in quanto l’adiacenza ricade a ridosso dei confini di proprietà e a meno di m. 10,00 dal fabbricato principale su strada” e che, quindi, sembra postulare a sostegno del divieto, nonostante l’imprecisa formulazione, la difformità dell’edificio esistente da quello risultante dalla sua riedificazione, si deve rilevare che la valenza assoluta e generale del precetto (non circoscritta, cioè, all’ipotesi di alterazione dei volumi e della sagoma) si rivela, oltre chè contrastante ed incoerente con la sua motivazione, confliggente con la nozione di ristrutturazione definita dalla giurisprudenza.
Secondo un univoco e consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis C.S., Sez. IV, 2 aprile 2002, n. 1824), dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, il concetto di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 31 comma1 lett. d) legge n. 457/78 comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, con l’unica condizione che la riedificazione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto.
La limitazione contestata risulta, quindi, contrastante con tale definizione del contenuto della ristrutturazione edilizia, peraltro codificata dall’art. 3 lettera d) del decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 378 (testo unico dell’edilizia), e, quindi, illegittima, non trovando, peraltro, giustificazione nelle ragioni ivi addotte – in quanto relative alla diversa ipotesi (nel caso di specie non ravvisata) della ricostruzione difforme dal vecchio manufatto e, come tali, astrattamente idonee a legittimare il divieto con esclusivo riferimento a tale fattispecie e non anche, in assoluto, alla stessa possibilità di procedere alla ristrutturazione con le modalità controverse.
3.- La riscontrata illegittimità ed il conseguente annullamento della prescrizione relativa al divieto di demolizione e fedele ricostruzione del manufatto in questione implicano, in via immediata e diretta, l’invalidità degli atti di sospensione dei lavori e di annullamento d’ufficio della concessione edilizia, in quanto erroneamente fondati sul duplice rilievo dell’inosservanza della predetta (illegittima) clausola e della conseguente impossibilità di procedere alla ricostruzione dell’edificio, a seguito del suo abbattimento.
4.- In accoglimento dell’appello ed in riforma della decisione impugnata, vanno, quindi, annullati i provvedimenti gravati con il ricorso in primo grado, fatte salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione in merito alla praticabilità, sotto profili diversi da quelli qui esaminati, dell’intervento edilizio controverso.
5.- La peculiarità della controversia giustifica il diniego di rimborso delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, in riforma della decisione appellata, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado;
nega la rifusione delle spese di
entrambi i gradi di giudizio;
ordina che la presente decisione
sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 maggio 2003, con l'intervento dei signori:
Agostino Elefante - Presidente
Goffredo Zaccardi - Consigliere
Aldo Fera - Consigliere
Francesco D’Ottavi -
Consigliere
Carlo Deodato - Consigliere
Estensore