LAVORI PUBBLICI - 138 REPUBBLICA ITALIANA IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE
GIURISDIZIONALE
Consiglio di Stato, sezione V, 4 maggio 2004, n.
2729
Distinzione tra l'obbligo di esclusione delle imprese controllate (art. 10, comma 1-bis,
legge 109/94 e art. 2359,
primo comma, c.c.) e la possibilità di esclusione delle imprese collegate;
in quest'ultimo caso, pur essendo inammissibile qualunque automatismo,
l'esclusione è dovuta se nel caso concreto siano violati i principi della
segretezza e unicità dell'offerta.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
(Quinta Sezione)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 7000/03, proposto dalla S. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti S.A.R. e G.C., ed elettivamente domiciliata presso il primo in ...
contro
il Comune di Milano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti M.R.S., M.T.M. e R.I., ed elettivamente domiciliato preso l’ultimo in ...
e nei confronti
della I.C. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, III, 14 marzo 2003, n. 448, resa inter partes, con la quale è stato solo in parte accolto il ricorso proposto dall’attuale appellante in tema di esclusione, con escussione della cauzione provvisoria, dalla gara per l’affidamento di lavori di manutenzione straordinaria in una scuola elementare di Milano.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto il dispositivo della decisione in epigrafe, n. 73, pubblicato il 6
febbraio 2004;
Relatore alla pubblica udienza del 3 febbraio 2004 il Consigliere Gerardo
Mastrandrea; uditi per le parti gli avv.ti R. e S.;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il ricorso introduttivo, proposto dinanzi al T.A.R. della Lombardia, l’odierna ricorrente impugnava i seguenti atti:
- la nota 19 giugno 2002, con la quale il Comune di Milano aveva comunicato alla ricorrente l’esclusione dalla gara e l’escussione della cauzione;
- il provvedimento di esclusione dell’offerta della ricorrente dalla gara n. 33/2002 indetta dal Comune di Milano, assunto nella seduta della Commissione di gara del 12/6/02;
- il provvedimento di escussione della cauzione assunto in pari data;
- il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto n. 33/2002 all’I.C. s.r.l. di cui al verbale di gara del 12/6/02;
- la nota di reiezione, in data 6 settembre 2002, dell’istanza di riesame;
- il bando di gara nella parte in cui imponeva la costituzione di un deposito cauzionale provvisorio ai fini della partecipazione alla gara;
- in via subordinata, il Patto di Integrità e, in particolare, la clausola che prevedeva la possibilità dell’escussione della cauzione provvisoria;
- in via subordinata, il bando di gara e, in particolare, la clausola in cui si prescriveva, a pena di esclusione, la sottoscrizione del Patto d’Integrità, richiamandolo e facendone proprio il contenuto;
- in via subordinata, il bando di gara e, in particolare, la clausola contraddistinta con la lettera k) che estendeva il divieto di cui all’art 10, comma 1-bis, l. n 109/94, anche alle ipotesi di imprese collegate;
- gli atti e i provvedimenti presupposti e conseguenti.
Venivano altresì chiesti l’accertamento della responsabilità dell’Amministrazione resistente e la condanna della medesima al risarcimento del danno ingiusto patito dalla parte ricorrente.
2. La ricorrente deduceva censure attinenti la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto diversi profili, evidenziando, in punto di fatto, quanto segue:
- nel corso del 2002 il Comune di Milano indiceva il pubblico incanto n. 33/2002, ai sensi della l. 109/94, avente ad oggetto lavori di manutenzione straordinaria da eseguirsi presso una scuola elementare sita in Milano, via Galvani nn.7/9/11;
- il criterio di aggiudicazione prescelto era quello del massimo ribasso e l’importo a base d’asta era stato fissato in 2.421.149,94 euro;
- E. srl, E. srl, G. srl e S. srl, partecipavano alla gara ma, nella seduta del 12 giugno 2002, la Commissione di gara le escludeva sostenendo che le imprese erano collegate e, quindi, che era stato violato il principio di segretezza, il punto k) del bando di gara ed il Patto di Integrità allegato al bando;
- data la gravità degli indizi riscontrati, nella stessa occasione, la Commissione di gara applicava la sanzione dell’escussione della cauzione provvisoria;
- sempre nella seduta del 12 giugno 2002, la Commissione di gara aggiudicava l’appalto all’I.C. srl;
- con successive note il Comune di Milano comunicava alla ricorrente l’esclusione dalla gara e l’escussione della cauzione, e chiedeva il pagamento della polizza fideiussoria rilasciata dalla F. spa quale cauzione provvisoria;
- ritenendo lesivi i provvedimenti indicati, la ricorrente provvedeva ad impugnarli al fine di ottenerne l’annullamento.
3. Con ordinanza del 23 ottobre 2002, il TAR adito accoglieva in parte la
domanda cautelare proposta dalla ricorrente, sospendendo l’efficacia del
provvedimento di incameramento della cauzione.
Respinte in via preliminare le eccezioni di inammissibilità del ricorso per
difetto di interesse, nonché di irricevibilità del medesimo per tardività
dell’impugnazione del Patto di integrità, il T.A.R. lombardo, pronunciando nel
merito, con la sentenza impugnata di cui in epigrafe accoglieva solo in parte
il ricorso, per l’effetto annullando il provvedimento di incameramento della
cauzione, mentre respingeva il medesimo nella parte in cui si chiedeva
l’annullamento del provvedimento di esclusione della ricorrente dalla gara,
rigettando altresì la domanda di risarcimento danni avanzata dalla ricorrente.
4. La S. ha interposto l’appello in trattazione avverso la predetta pronunzia, pur riconoscendo che la stessa ha preso le mosse da osservazioni condivisibili, insistendo anche nella pretesa risarcitoria.
5. Il Comune di Milano si è costituito in giudizio per resistere all’appello,
concludendo per l’infondatezza dello stesso, senza, peraltro, proporre appello
incidentale relativamente alla parziale pronunzia di accoglimento (circa
l’escussione della cauzione provvisoria).
Le parti hanno depositato memoria.
Alla pubblica udienza del 3 febbraio 2004 il ricorso in appello è stato
introitato per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello va rigettato.
La sentenza impugnata è, infatti, bene argomentata (non a caso le premesse di
principio da cui essa muove, soprattutto circa la negazione di ogni
automatismo del meccanismo di esclusione, non vengono fatte oggetto di
contestazione) e le conclusioni sono comunque condivisibili, nonostante le pur
doviziose censure proposte dall’appellante in tema di approccio interpretativo
degli elementi di fatto assunti in causa.
2. Dal verbale della seduta del 12 giugno 2002 si evince che la ricorrente è
stata esclusa dalla gara, per pubblico incanto, per l’aggiudicazione delle
opere di manutenzione scolastica di cui si discute, in quanto, in seguito ad
accertamenti effettuati circa eventuali collegamenti tra le imprese
concorrenti, è emersa la “violazione del principio di segretezza, avendo
riscontrato elementi idonei ad alterare la serietà e l’indipendenza delle
offerte presentate da parte delle diverse imprese. Sono stati infatti rilevati
elementi tali da far presumere forme di collegamento sostanziale tra le stesse
riconducibili ad un unico centro di interessi, in violazione di quanto
previsto dal punto K) pag. 9 del bando di gara e dal Patto di integrità
allegato al bando stesso, sottoscritto dalle imprese partecipanti a pena di
esclusione, con il quale le ditte si sono espressamente impegnate, tra
l’altro, a non accordarsi con altri partecipanti alla gara per limitare in
alcun modo la concorrenza”.
Quanto sopra è emerso in base a una molto lunga serie di elementi riscontrati
in sede di gara, riportati più volte in sentenza e negli atti difensivi delle
parti.
3. Affrontando il merito, il Collegio di prime cure si è posto tre quesiti, alla stregua delle censure dedotte, degne di trattazione congiunta, ovvero:
a) se è possibile prevedere ipotesi di esclusione automatica dalla gara diverse da quelle indicate all’art. 10, comma 1-bis, legge 109/94, discendenti dalla configurabilità di forme di collegamento sostanziale tra imprese;
b) se la Stazione appaltante possa introdurre un’apposita clausola nella lex specialis al fine di escludere un’impresa da una gara pubblica per violazione dei principi di segretezza e di par condicio dei concorrenti;
c) se la Stazione appaltante possa escludere un’impresa da una gara pubblica, al fine di tutelare i principi di segretezza e di par condicio dei concorrenti e, quindi, l’interesse alla correttezza della procedura, a prescindere dall’esistenza di un’apposita clausola contenuta nella lex specialis e sulla base di quali elementi probatori la Stazione appaltante possa affermare la violazione dei principi di segretezza e par condicio e possa emettere il provvedimento di esclusione.
Al riguardo il primo Collegio ha osservato quanto segue.
L’art. 10, comma 1-bis, legge 11 febbraio 1994, n. 109,
stabilisce il divieto di partecipazione alla medesima gara di imprese che si
trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 c.c.
Ai sensi dell’art. 2359 c.c., ricadono nell’ambito del concetto di “controllo
societario” le ipotesi, in cui: una società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di altra società; una società dispone
dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea
ordinaria di altra società; la società controllata sia sotto l’influenza
dominante di altra società in virtù dell’esistenza di particolari vincoli
contrattuali intercorrenti tra le due società.
Ai sensi del terzo comma dell’art. 2359 c.c., l’ipotesi del “collegamento
societario” si concretizza, invece, quando una società esercita su altra
società un’influenza notevole: ipotesi che si presume qualora nell’assemblea
ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se
la società ha azioni quotate in borsa.
Poiché, però, il citato art. 10, comma 1-bis,
legge 109/94 si limita a richiamare solo l’ipotesi delle “società
controllate” prevista e disciplinata dall’art. 2359 c.c.,
è evidente che la ricorrenza di ipotesi di “collegamento” (anche di
quelle disciplinate dall’art. 2359 c.c.) non potrebbe condurre all’automatica
esclusione delle offerte. In sostanza, il legislatore della c.d. Merloni ter,
al fine di imporre divieti alla partecipazione a procedure ad evidenza
pubblica, ha indicato soltanto le situazioni di controllo societario che
vedono coinvolte imprese concorrenti per lo stesso affidamento. Le ipotesi di
collegamento di cui al citato comma terzo dell’art. 2359 c.c.., non sono prese
in considerazione e non sono richiamate, e ciò viene ritenuto frutto di una
scelta precisa del legislatore.
Pertanto, deve ritenersi illegittima l’introduzione - nei bandi di gara,
ovvero in altri atti che integrino la lex specialis della procedura - di
clausole che vietino in modo automatico la partecipazione o prevedano
l’esclusione automatica per il solo fatto dell’esistenza di forme di
collegamento. Del resto, le fattispecie di collegamento costituiscono fenomeni
di tipo organizzativo, i quali, in astratto, non possono ritenersi lesivi
della correttezza della procedura.
4. La Sezione, al riguardo, ritiene doveroso ricordare che il richiamato
art. 10, comma 1-bis, ha natura di norma di ordine pubblico, che trova applicazione
indipendentemente da una specifica previsione in tal senso da parte
dell’Amministrazione appaltante, tenuto conto che l’oggetto giuridico tutelato
è quello del corretto e trasparente svolgimento delle gare, nelle quali il
libero gioco della concorrenza, finalizzato alla scelta del “giusto”
contraente, risulterebbe irrimediabilmente alterato dalla eventuale
presentazione di offerte che, seppur provenendo formalmente da due o più
imprese, sono sostanzialmente riconducibili ad un unico centro di interessi.
Tale norma non può essere dunque interpretata in modo estensivo.
Chiarito ciò, anche questo Collegio ritiene che, in assenza di norme ad hoc, le verifiche in ordine alla correttezza della procedura vadano compiute in concreto e caso per caso e che, nondimeno, la Stazione appaltante possa prevedere nella lex specialis ulteriori ipotesi di esclusione, eventualmente legate all’esistenza di forme di collegamento tra imprese concorrenti, purché non si stabilisca un’esclusione automatica dalla gara, dovendo in tali casi l’Amministrazione verificare se l’esame della fattispecie concreta induca a ritenere violati i principi posti a garanzia della correttezza della procedura.
In tale ottica va ribadito che nelle procedure di scelta del
contraente ai fini di un appalto di lavori pubblici, le fattispecie di
collegamento fra le imprese, rilevanti ai fini dell’esclusione dalla gara, non
sono solo quelle previste dall’art. 2359 c.c., atteso che la previsione della norma civilistica
richiamata dalla citata norma dell’art. 10 si basa su di una presunzione, e
quindi non può escludere la sussistenza di altre ipotesi di collegamento o
controllo societario atte ad alterare le gare di appalto; per conseguenza,
legittimamente l' Amministrazione appaltante può prevedere, nella lex
specialis della gara, ulteriori ipotesi di esclusione fondate su requisiti
ulteriori rispetto a quelli già stabiliti direttamente dalla legge, sempreché
non siano irragionevoli o illogiche rispetto alla tutela che intendono
perseguire (coincidente con la corretta individuazione del “giusto” contraente
) (Cons. Stato, IV, 15 febbraio 2002, n. 923).
In questo modo, dunque, è legittimo dare rilievo ad ipotesi di collegamento
sostanziale tra imprese, a prescindere da quanto stabilito dall’art. 10, comma 1-bis,
legge 109/94.
La differenza tra le ipotesi di esclusione di cui all’art. 10, comma 1-bis,
legge 109/94 e le eventuali ulteriori ipotesi individuate dalla stazione
appaltante, consiste nel fatto che qualora si verifichi il primo caso
l’Amministrazione sarà vincolata ad assumere il provvedimento di esclusione –
essendo presunte le ipotesi di controllo di cui all’art. 2359 c.c. lesive
delle regole indicate – mentre nel secondo caso sarà indispensabile
individuare e valutare specifici elementi oggettivi e concordanti, che
inducano a ritenere che più offerte siano state presentate in contrasto con i
principi di segretezza e par condicio.
5. E’, evidentemente, opportuno prevedere l’esclusione per le ipotesi in
discussione attraverso un’apposita clausola del bando. Non è altrettanto
opportuno che tale clausola tipizzi fatti e situazioni, atteso che al fine di
tutelare adeguatamente l’interesse pubblico alla scelta del migliore
contraente, occorre poter valutare e prendere in considerazione tutte le
situazioni concrete di alterazione della gara, anche quelle ex ante
imprevedibili.
Ad avviso dei primi giudici, a prescindere dalla possibilità di dettare
disposizioni ad hoc direttamente nel bando di gara, non può escludersi che -
qualora si dimostri che le offerte provengano da un medesimo centro di
interessi o, comunque, che siano state violate le regole citate - l’esclusione
possa intervenire facendo applicazione diretta dei principi posti a tutela
della libera concorrenza, della segretezza delle offerte e della par condicio
dei concorrenti. Non vi sarebbe una grossa differenza, infatti, tra il dettare
nel bando una generica clausola che, in base ai principi indicati, preveda
l’esclusione di offerte provenienti da imprese in contatto tra loro (nel senso
indicato), e l’escludere offerte facendo direttamente applicazione dei
medesimi principi (ma evitando la mediazione della lex specialis).
In ogni caso, infatti, si verserebbe nell’ipotesi in cui un concorrente
partecipa alla presentazione di più offerte, alterando la competizione e
influendo sull’andamento della gara.
La problematica non assume comunque, nella specie, soverchio rilievo, attesa
la sussistenza di una chiara prescrizione del bando.
6. Al fine, poi, di individuare gli elementi probatori sulla cui base la
stazione appaltante può affermare la violazione dei principi di segretezza e
par condicio, ed è quindi abilitata ad emettere il provvedimento di esclusione
in caso di collegamento sostanziale distorsivo del corretto esplicarsi della
procedura ad evidenza pubblica sotto i profili della trasparenza e della
correttezza, rilevato che il collegamento tra imprese non comporta, di per sé,
necessariamente la nascita di un autonomo centro di interessi, poiché in
astratto le società collegate mantengono la propria personalità giuridica e la
propria autonomia, al di là delle ipotesi tipizzate dall’art. 2359 c.c.
occorre vagliare, caso per caso, gli elementi utili per poter affermare che le
imprese siano oggettivamente riconducibili ad un medesimo centro di interessi,
ovvero ad un centro decisionale comune (Cons. Stato, V, 2 luglio 2001, n.
3605).
Del resto le fattispecie concrete riconducibili alla figura del collegamento
sostanziale possono essere le più varie; quindi è impensabile tentare di
individuare regole valide in ogni caso.
In ogni caso, va ribadito che l’esistenza di forme di collegamento tra le
concorrenti ad una medesima gara non rappresenta indizio certo e sufficiente
della violazione delle regole poste a tutela della correttezza della
procedura, e che quindi occorre procedere ad un esame approfondito del caso
concreto, operando, se strettamente necessario e senza aggravio inutile per il
normale corso del procedimento, verifiche puntuali.
E’ dunque, altresì, condivisibile la conclusione tratta, sul punto, dai primi
giudici: l’alterazione della par condicio dei concorrenti e la violazione dei
principi di concorrenza e di segretezza dell’offerta possono ritenersi provate
qualora ricorrano elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi,
precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod
plerumque accidit, il venir meno della correttezza della gara. Ciò si verifica
se le offerte provengono da un medesimo centro decisionale o, comunque,
provengono da due o più imprese collegate e sussistano elementi tali da far
ritenere che si tratti di offerte previamente conosciute, anche se non
concordate dalle partecipanti.
In sostanza, la violazione dei principi indicati comporta il rischio concreto
di pregiudicare la correttezza della procedura e cioè, il rischio che -
all’esito della gara - non sia individuato il miglior contraente per la
pubblica amministrazione. Si tratta di un rischio, appunto, e come tale va
preso in considerazione sotto il profilo probatorio, perché il bene coinvolto
– la correttezza della gara pubblica e la reale concorrenza tra le imprese –
va tutelato ex ante, nel momento in cui è messo in pericolo, senza attendere
che si verifichi una sua lesione concreta. E’, del resto, evidente che sarebbe
molto difficile garantire una restitutio in integrum nel caso in cui il bene
indicato fosse stato leso, se si considera che l’annullamento e la
rinnovazione della gara comporterebbero, comunque, effetti negativi sotto i
profili dell’economicità e della speditezza dell’azione amministrativa.
7. Tutto ciò precisato, l’applicazione dei soprariportati principi al caso
concreto di specie non consente di modificare il responso di (parziale)
rigetto formulato in prime cure alla stregua delle doglianze formulate
dall’appellante.
Il punto K) del bando prevede l’esclusione dalla gara per “.. violazione
del principio della segretezza delle offerte (art.
75 del R.D. 23/5/1924 n. 827) ” ai danni delle “imprese concorrenti
fra le quali esistono forme di controllo o di collegamento ai sensi dell’art. 2359 c.c.”.
Il T.A.R. lombardo ha, al riguardo, giustamente rilevato che, per le
considerazioni sopra espresse, la legittimità di tale clausola poteva essere
posta in dubbio (in relazione alla censura della ricorrente) ove
sottintendesse l’automaticità dell’esclusione al ricorrere (tra l’altro) di
qualunque forma di collegamento. Ma, nel caso di specie, l’esclusione è stata
disposta, in concreto, a causa della violazione del principio di segretezza -
secondo la dimostrazione datane dalla stazione appaltante attraverso l’esame
degli elementi indiziari emersi in sede di esame delle offerte - e non
semplicemente a causa della mera esistenza di forme di controllo e
collegamento di cui all’art. 2359 c.c.
Secondo quanto stabilito dal medesimo bando con riferimento alla
“documentazione”, ogni concorrente ha presentato “a pena di esclusione”, a
corredo dell’offerta, copia del “.. Patto di integrità sottoscritto dal legale
rappresentante dell’impresa concorrente ovvero dai legali rappresentanti delle
imprese concorrenti in caso di ATI come da modello allegato al presente
bando”.
Con la sottoscrizione di tale documento, tra l’altro, l’impresa
concorrente ed il Comune di Milano si sono impegnati a “... conformare i propri
comportamenti ai principi di lealtà, trasparenza e correttezza ...” oltre che a
non assumere condotte corruttive.
L’impresa partecipante alla gara, inoltre,
sottoscrivendo il Patto si è impegnata a “... segnalare al Comune di Milano
qualsiasi tentativo di turbativa, irregolarità o distorsione nelle fasi di
svolgimento della gara .., da parte di ogni interessato o addetto o di
chiunque possa influenzare le decisioni relative alla gara ...” ed ha
dichiarato che “... non si è accordata e non si accorderà con altri
partecipanti alla gara per limitare in alcun modo la concorrenza”.
Orbene, appare chiaro che l’Amministrazione comunale nel caso di specie abbia
preso in considerazione ipotesi di esclusione ulteriori rispetto a quelle di
cui all’art. 10, comma 1-bis, facendo riferimento a principi generali (lealtà,
trasparenza, correttezza, dovere di non accordarsi con altri partecipanti alla
gara per limitare la concorrenza) richiamati nel Patto di integrità.
8. Ciò chiarito, il presente Collegio ritiene di poter confermare che dal
complesso degli elementi di fatto presi in considerazione dalla Commissione di
gara e dall’Amministrazione possa trarsi il convincimento che, nel caso
concreto, siano stati violati i principi indicati.
Seppur, infatti, con grado diverso di incidenza, sussiste un lungo elenco di
elementi, di cui ha fatto puntuale ricognizione la difesa comunale, che, nel
loro complesso, integrano seri indizi, connotati di gravità, precisione e
concordanza, tali da far ritenere le offerte provenienti da un unico centro di
interessi.
Ed a far propendere verso tale conclusione non sono i soli rapporti di
parentela, né gli intrecci esistenti tra i soggetti ricoprenti cariche di
responsabilità, bensì anche l’insieme degli altri (non pochi) elementi
oggettivi presi in considerazione dalla stazione appaltante, di modo che è
possibile configurare un’ipotesi di collegamento sostanziale tale da far
presumere violati i principi di segretezza delle offerte e la par condicio dei
concorrenti, con un più che ragionevole sospetto che le quattro imprese
fossero in grado di conoscere le rispettive offerte.
Né tale teorema argomentativo può essere certamente scalfito con il mero
rappresentare che le quattro ditte si sono avvalse della stessa società di
servizi ai fini della presentazione delle offerte. Anzi quest’ultimo elemento
pare deporre, ulteriormente, in senso contrario a quello auspicato
dall’appellante.
9. In conclusione, evidenziato, da ultimo, che l’esclusione non doveva essere preceduta dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, non scaturendo questa, a tacer d’altro, da un procedimento autonomo (Cons. Stato, V, 19 marzo 2001, n. 1642), e che non vi era in effetti motivo per instaurare un contraddittorio procedimentale ad hoc a cura dell’Amministrazione appaltante, chiamata anzitutto a garantire la regolarità della gara e la par condicio dei concorrenti, l’appello va rigettato, e con esso l’istanza risarcitoria riproposta, a fronte dell’emersa legittimità del provvedimento di esclusione, peraltro congruamente motivato.
Sussistono, nondimeno, i presupposti per la compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti in esso costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in appello in epigrafe.
Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti costituite.
Ordina che la decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2004, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l’intervento dei
seguenti Magistrati:
Raffaele Iannotta, Presidente
Giuseppe Farina, Consigliere
Corrado Allegretta, Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani, Consigliere
Gerardo Mastrandrea, Consigliere est.