LAVORI
PUBBLICI - 175
Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la
Lombardia, Deliberazione 13 novembre 2008, n. 87
Compatibilità del contratto di leasing finanziario per
la realizzazione di opere pubbliche con l'attuale
contesto normativo
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI IN SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA LOMBARDIA
composta dai magistrati:
dott. Nicola Mastropasqua,
Presidente
dott. Antonio Caruso,
Consigliere
dott. Giorgio Cancellieri,
Consigliere
dott. Giuliano Sala,
Consigliere
dott. Giancarlo Penco,
Consigliere
dott. Giancarlo Astegiano,
Primo Referendario
dott. Gianluca Braghò,
Referendario (relatore)
dott. Alessandra Olessina,
Referendario
dott. Massimo Valero,
Referendario
nell’adunanza in camera di consiglio del 24 ottobre 2008
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;
Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;
Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della
Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha
approvato il regolamento per l’organizzazione delle
funzioni di controllo della Corte dei conti,
modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite
n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;
Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali;
Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;
Vista la nota n. 36891 del 23 settembre 2008 con la
quale il Sindaco del comune di ... ha
richiesto un parere in ordine alla compatibilità con
l’attuale contesto normativo della stipulazione di un
contratto di leasing finanziario per la realizzazione
di opere pubbliche di particolare rilievo sociale.
Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3
novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i
criteri sul procedimento e sulla formulazione dei
pareri previsti dall’art. 7, comma 8, della legge n.
131/2003;
Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha
convocato la Sezione per l’adunanza odierna per
deliberare sulla richiesta del Sindaco del Comune di
...;
Udito il relatore dott. Gianluca Braghò;
FATTO
Con nota 36891 del 23 settembre 2008 con la quale il Sindaco del comune di ... ha richiesto un parere relativo alla realizzazione di opere pubbliche di particolare rilievo sociale, mediante la stipulazione di un contratto di leasing finanziario da parte dell’amministrazione comunale.
In particolare, il comune intende comprendere se rispetto al quadro normativo vigente, delineato dall’art. 62 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella Legge 6 agosto 2008 n. 133 e dall’art. 3 comma 17 della Legge 350/2003, sia consentita la forma del leasing a finanziamento degli investimenti e se tale operazione costituisca o meno una forma d’indebitamento ammissibile per l’ente.
AMMISSIBILITA’ SOGGETTIVA
La richiesta di parere di cui sopra è intesa ad avvalersi della facoltà prevista dalla norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane possono chiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità pubblica”.
La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze che la legge 131/2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti.
La Sezione, preliminarmente, è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della richiesta, con riferimento ai parametri derivanti dalla natura della funzione consultiva prevista dalla normazione sopra indicata.
Con particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le richieste di parere dei Comuni, si osserva che il Sindaco del Comune è l’organo istituzionalmente legittimato a richiedere il parere in quanto riveste il ruolo di rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.
Pertanto, la richiesta di parere è ammissibile soggettivamente poiché proviene dall’organo legittimato a proporla.
AMMISSIBILITA’ OGGETTIVA
Con riguardo alle condizioni di ammissibilità oggettiva, la richiesta di parere, allo stato degli atti, non interferisce con le funzioni di controllo o giurisdizionali svolte dalla magistratura contabile e neppure con alcun altro giudizio civile o amministrativo che sia in corso; riveste “carattere generale”, in quanto diretta ad ottenere indicazioni relative alla corretta applicazione di norme valide per la generalità degli Enti di tipologia simile al Comune richiedente; rientra nella materia della contabilità pubblica, poiché attiene alla disciplina contenuta in leggi finanziarie, sul contenimento e sull’equilibrio della spesa pubblica, incidente sulla formazione e gestione del bilancio dell’ente, in relazione alle norme che disciplinano la spesa per investimenti negli enti locali.
Per i suesposti motivi, la richiesta di parere proveniente dal Sindaco del comune di Abbiategrasso è ammissibile e può essere esaminata nel merito.
MERITO
La risposta al quesito sottende l’analisi di alcune questioni preliminari d’inquadramento giuridico della fattispecie.
Capacità giuridica generale della pubblica amministrazione.
In primo luogo, va affermata la capacità giuridica generale della pubblica amministrazione, nel senso della piena capacità di diritto privato dell’ente locale, alla luce del principio normativo scolpito nell’art. 1 comma 1-bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, secondo cui “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto privato, salvo che la legge non disponga altrimenti”. L’assunto trova omologa copertura costituzionale nel disposto dell’art. 118 Cost. che ha introdotto i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza nell’attribuzione delle funzioni amministrative alle autonomie locali.
Il perseguimento dell’interesse pubblico affidato alle amministrazioni locali, quali soggetti giuridici portatori d’interessi generali della comunità amministrata, può essere attuato mediante la predisposizione di atti autoritativi tipici del diritto amministrativo, ovvero mediante l’adozione di modelli consensuali dell’azione amministrativa.
Qualora la pubblica amministrazione opti per il perseguimento dell’interesse pubblico mediante attività di diritto privato, lo schema cui fare riferimento è il negozio giuridico disciplinato dal codice civile.
Al pari di ogni soggetto di diritto comune, la pubblica amministrazione gode dell’autonomia privata ai sensi dell’art. 1321 c.c., intesa come capacità di costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici di tipo patrimoniale, ovvero di porre in essere atti negoziali atipici (art. 1322 c.c.), purché con causa lecita e meritevole di tutela.
La capacità generale della pubblica amministrazione è però conformata da norme peculiari che la limitano e la regolano. Nel caso di specie, occorre fare riferimento alle regole di contabilità pubblica (R.D. n. 2440/1923 e R.D. n. 827/1924), alle norme in tema di enti locali (art. 204 T.U.E.L.) ai principi dell’evidenza pubblica nella formazione dei contratti e alle discipline comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici (D. Lgs. 163/2006), particolarmente attente ai profili della gara pubblica nella scelta del contraente, del favor per la libera concorrenza, della trasparenza dell’azione amministrativa, della forma scritta ad substantiam di ogni contratto stipulato dalla pubblica amministrazione, della non discriminazione.
Tipologie di leasing e pubblica amministrazione. Analisi della causa del contratto.
In secondo luogo, occorre verificare se la pubblica amministrazione possa utilizzare lo strumento del leasing finanziario per il perseguimento delle finalità istituzionali che nel caso di specie si rivelano nella possibilità di realizzare opere pubbliche di particolare rilievo sociale.
Si deve evidenziare che il contratto di leasing, di derivazione anglosassone, non può più essere considerato un contratto atipico in senso stretto, ovvero sconosciuto al nostro ordinamento, poiché esso è direttamente contemplato in alcune norme di legge.
Si richiamano in proposito l’art.1 comma 3 della legge 21 febbraio 1989 n. 70, ove si esplicita il termine “leasing” quale attività di sfruttamento economico dei prodotti a semiconduttore, e l’art. 5 comma 2 del D.M. 21 giugno 1989, ove ci si riferisce al termine “leasing” mediante l’uso della locuzione “locazione finanziaria”, proprio per evidenziare le differenze con il tipo negoziale disciplinato nel codice civile.
La legge offre anche una definizione di “leasing”, rectius di locazione finanziaria. Ai sensi dell’art. 17 comma 2 della legge n. 183/76, per operazioni di locazione finanziaria s’intendono “le operazioni di locazione di beni mobili ed immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore su scelta e indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà di quest’ultimo di diventare proprietario dei beni locati al termine del contratto, previo versamento di un prezzo prestabilito”.
Il leasing è uno schema negoziale sinallagmatico e commutativo, con causa mista, che consente ad un soggetto, previo pagamento di un canone periodico, di utilizzare un bene, mobile o immobile, strumentale all’esercizio della propria attività o al perseguimento dei propri fini istituzionali, con possibilità di riscattarlo ad un prezzo inferiore al valore di mercato al termine del periodo di disponibilità stabilito nel contratto.
Il leasing sintetizza in sé non solo i caratteri tipici della locazione e della vendita a rate con riserva di proprietà, connessi rispettivamente, al godimento diuturno del bene e alla possibilità di riscattare la piena proprietà del medesimo alla fine del periodo di utilizzazione, ma anche la funzione di finanziamento.
La finalità economico-sociale nel leasing finanziario assurge a vera e proprio indice identificativo del tipo negoziale, garantendo un’autonomia concettuale del leasing rispetto alle figure tipizzate nel codice civile. Con detto contratto, l’utilizzatore usufruisce per il raggiungimento degli scopi istituzionali sia del bene che del capitale iniziale necessario per realizzarlo e usarlo.
Ne consegue che il pagamento del canone non rappresenta solo il corrispettivo per la locazione del bene, quanto piuttosto una modalità di restituzione del finanziamento per una somma corrispondente al valore complessivo dell’operazione economica programmata, la quale comprende altresì il costo del bene, l’ammortamento del capitale e dell’interesse sulle somme investite per la realizzazione dell’opera, l’utile e le spese del concedente.
Il leasing finanziario si configura generalmente in uno schema trilaterale: l’utilizzatore del bene, il concedente il leasing (o società di leasing) che acquista il bene e ne conserva la piena proprietà sino al momento del riscatto, il fornitore del bene.
Del pari, si può affermare che il leasing operativo è una struttura negoziale che, alternativamente, si accosta alla vendita con patto di riscatto, qualora si preveda in capo al lesee il diritto di riscatto del bene al termine del periodo di utilizzazione, ovvero alla locazione e alla somministrazione qualora lo stesso produttore concede in godimento il bene prodotto per un canone che comprende la locazione ed i servizi di assistenza e manutenzione del bene stesso, in relazione alla durata del suo ciclo economico.
La distinzione fra leasing finanziario ed operativo è stata questione più volte affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, oramai attestata su stabili approdi ermeneutici (Cass. civ. sent. n. 5573 e n. 5574 del 13 dicembre 1989; Cass. civ. sezione I, sentenza n. 1731/94).
Peraltro, riguardo alla natura pubblica del soggetto che lo pone in essere in veste di utilizzatore, anche il ricorso al contratto di leasing va analizzato alla stregua dei criteri di convenienza economica che caratterizzano l’attività funzionale della pubblica amministrazione.
Questa Sezione con il parere n. 15/2006 ha già avuto occasione di esprimere il proprio convincimento in materia di sale and lease back, ovvero al contratto in base al quale un soggetto vende un bene alla società di leasing, che a sua volta concede lo stesso bene in leasing al soggetto venditore, determinando i principi contabili che si applicano alla fattispecie.
Nel contesto del parere, la Sezione si è determinata nel senso dell’ammissibilità del leasing quale figura di contratto atipico, avuto riguardo alla capacità giuridica generale delle pubbliche amministrazioni; ha evidenziato il suo assoggettamento alle regole imprescindibili dell’evidenza pubblica secondo le tipologie dei beni e l’importo del contratto; nell’ambito della deliberazione a contrattare, ha rimarcato la necessità di una congrua valutazione degli aspetti relativi alla convenienza economica dell’operazione e agli effetti sui bilanci annuali e pluriennali e sul patrimonio pubblico dell’ente; ha specificato che l’operazione di acquisizione di un bene mediante leasing costituisce una forma di finanziamento e di indebitamento ricompreso nell’alveo dell’art. 119 Cost., ammissibile solo al fine di procedere a nuovi investimenti.
Sotto il profilo contabile, i canoni del leasing, in linea di principio, costituiscono spesa corrente da valutarsi secondo le regole determinate annualmente dalla legge finanziaria di riferimento ai fini del rispetto del patto di stabilità.
Non vi sono motivi che inducono questa Sezione a discostarsi dai principi già espressi nel citato parere.
Ciononostante, occorre delineare le nuove problematiche inerenti le modifiche legislative introdotte dall’art. 62 della legge 133/2008 con riferimento all’art. 3 della legge 350/2003 e all’art. 204 del D. Lgs. 267/2000, in tema di qualificazione giuridica della modalità di finanziamento, nonché di rapporto fra ammortamento dei canoni e capacità d’indebitamento dell’ente locale ed altresì analizzare le implicazioni derivanti dalla disciplina descritta nell’art. 160-bis del D. Lgs. 163/2006, rubricato “Locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità” in tema di leasing in costruendo; questioni, tutte, che hanno dato origine alla richiesta dell’odierno parere.
Leasing finanziario immobiliare.
Già introdotto con la legge finanziaria per l’anno 2007 (L. n. 296/2006 artt. 1 commi 907-908; 912-914), il leasing finanziario immobiliare è attualmente disciplinato all’art. 160-bis del D. Lgs. 163/2006 (previsto dal D. Lgs. 113/2007 e modificato dal D. Lgs. 152/2008), quale ulteriore modalità di realizzazione di opere pubbliche nella forma del “partenariato pubblico-privato”.
La disciplina si specifica nei seguenti enunciati normativi:
”1. Per la realizzazione, l'acquisizione ed il completamento di opere pubbliche o di pubblica utilità i committenti tenuti all'applicazione del presente codice possono avvalersi anche del contratto di locazione finanziaria, che costituisce appalto pubblico di lavori, salvo che questi ultimi abbiano un carattere meramente accessorio rispetto all'oggetto principale del contratto medesimo.
2. Nei casi di cui al comma 1, il bando, ferme le altre indicazioni previste dal presente codice, determina i requisiti soggettivi, funzionali, economici, tecnico-realizzativi ed organizzativi di partecipazione, le caratteristiche tecniche ed estetiche dell'opera, i costi, i tempi e le garanzie dell'operazione, nonché i parametri di valutazione tecnica ed economico-finanziaria dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
3. L'offerente di cui al comma 2 può essere anche una associazione temporanea costituita dal soggetto finanziatore e dal soggetto realizzatore, responsabili, ciascuno, in relazione alla specifica obbligazione assunta, ovvero un contraente generale. In caso di fallimento, inadempimento o sopravvenienza di qualsiasi causa impeditiva all'adempimento dell'obbligazione da parte di uno dei due soggetti costituenti l'associazione temporanea di imprese, l'altro può sostituirlo, con l'assenso del committente, con altro soggetto avente medesimi requisiti e caratteristiche.
4. L'adempimento degli impegni della stazione appaltante resta in ogni caso condizionato al positivo controllo della realizzazione ed alla eventuale gestione funzionale dell'opera secondo le modalità previste.
4-bis. Il soggetto finanziatore, autorizzato ai sensi del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, deve dimostrare alla stazione appaltante che dispone, se del caso avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche in associazione temporanea con un soggetto realizzatore, dei mezzi necessari ad eseguire l’appalto. Nel caso in cui l’offerente sia un contraente generale, di cui all’articolo 162, comma 1, lettera g), esso può partecipare anche ad affidamenti relativi alla realizzazione, all’acquisizione ed al completamento di opere pubbliche o di pubblica utilità non disciplinati dalla parte II, titolo III, capo IV, se in possesso dei requisiti determinati dal bando o avvalendosi delle capacità di altri soggetti.
4-ter. La stazione appaltante pone a base di gara un progetto di livello almeno preliminare. L’aggiudicatario provvede alla predisposizione dei successivi livelli progettuali ed all’esecuzione dell’opera.
4-quater. L’opera oggetto del contratto di locazione finanziaria può seguire il regime di opera pubblica ai fini urbanistici, edilizi ed espropriativi; l’opera può essere realizzata su area nella disponibilità dell’aggiudicatario”.
In sintesi, il legislatore ha riconosciuto piena legittimità al contratto di leasing finanziario quale modalità di realizzazione di opere pubbliche, estendendone l’ambito di operatività a tutti i committenti tenuti all’applicazione del Codice dei contratti pubblici e disciplinando con particolare cura il leasing in costruendo in relazione alle regole per la procedura di gara e di affidamento, le cui norme sono state successivamente introdotte ed ampliate dai già citati decreti correttivi al Codice dei contratti.
Nel leasing immobiliare in costruendo la funzione economica del contratto è volta non alla mera acquisizione della disponibilità di un bene per un periodo determinato di tempo, bensì alla realizzazione di un’opera pubblica a carico della stessa società finanziaria da destinare stabilmente al servizio della collettività amministrata.
La pubblica amministrazione realizza in tal modo un duplice interesse: dotarsi di un’opera pubblica che presenta determinate caratteristiche di utilizzo, in vista del futuro incremento qualitativo e quantitativo del patrimonio dell’ente; evitare l’esborso del capitale in un’unica soluzione.
Sotto tali profili, il leasing immobiliare pubblico in costruendo può costituire uno strumento alternativo alla concessione di costruzione e di gestione o al project financing, tendente alla realizzazione di opere direttamente utilizzate dalla pubblica amministrazione, con l’ausilio di capitali privati.
Occorre rimarcare che tale forma di leasing deve comprendere anche la remunerazione dei fattori della produzione, oltre che i costi di costruzione dell’opera pubblica e l’esatta determinazione degli impegni finanziari.
Ne deriva che il leasing immobiliare in costruendo, assurge a schema negoziale avente una propria causa autonoma rispetto alle tradizionali forme di leasing. In particolare, la funzione economico-sociale che si realizza attiene al vantaggio per la pubblica amministrazione di ottenere la disponibilità immediata di un’opera pubblica funzionale al raggiungimento degli scopi istituzionali, senza doverne pagare per intero ed in un’unica soluzione il prezzo di acquisto, con possibilità di traslare parte dei rischi finanziari e di costruzione sulla controparte contrattuale, adeguatamente remunerata, e di generare flussi di cassa positivi derivanti dalla resa di un servizio pubblico efficiente.
In linea di principio, il leasing finanziario immobiliare sintetizza il triplice interesse della pubblica amministrazione a reperire capitali di rischio sul mercato (funzione creditizia), a finanziare opere di rilievo sociale mediante la resa del servizio (funzione finanziaria), ad assicurarsi rispetto ai rischi connessi con la costruzione e la gestione del bene (funzione assicurativa).
Riflessi del leasing sul bilancio dell’ente locale. Metodo patrimoniale e metodo finanziario.
La contabilizzazione delle operazioni di leasing nel bilancio dell’ente locale si diversifica a seconda della tipologia del leasing e del metodo utilizzato.
Per quel che concerne il leasing operativo, avente ad oggetto l’utilizzazione di un bene servente al normale funzionamento della Pubblica amministrazione, si ritiene che il canone periodico rientri fra le spese correnti. Tale soluzione considera il canone un corrispettivo per il godimento del bene, pur in presenza in esso di elementi non riconducibili alla mera disponibilità della cosa. Il bene rientra nel conto del patrimonio dell’ente solo dopo l’avvenuto esercizio del diritto di riscatto. Il prezzo del riscatto può essere imputato a spese correnti o a quelle d’investimento a seconda della natura e della destinazione del bene acquisito, alla stregua degli usuali criteri classificatori delle spese pubbliche.
Il concedente (locatore), da parte sua, iscrive il bene oggetto del contratto nell’attivo dello stato patrimoniale e nel conto economico, tra i proventi, l’importo dei canoni di leasing operativo ricevuti periodicamente dall’ente pubblico.
Per quanto concerne il leasing finanziario, la classificazione contabile può seguire due diversi criteri, a seconda che si dia prevalenza agli aspetti giuridici del contratto relativi alla titolarità del bene, metodo patrimoniale (o formale), ovvero alle ragioni economico-finanziarie dell’operazione, metodo finanziario (o sostanziale).
Il metodo patrimoniale presuppone che i rischi del contatto gravino sulla società costruttrice dell’opera e prevede che il bene sia iscritto nel conto patrimoniale dell’ente pubblico solo al momento dell’avvenuto riscatto. I canoni periodici, comprensivi della sorte capitale e della quota d’interessi saranno imputati nel conto economico. Le uscite relative ai canoni sono considerate come spese correnti per utilizzo di beni di terzi. Nel conto economico si contabilizza un costo di gestione. Il leasing trova ulteriore rilievo nel piano esecutivo di gestione.
In sintesi, con il metodo patrimoniale, le pubbliche amministrazioni si limitano a rilevare l’esborso finanziario, senza iscrivere alcun bene nel proprio bilancio. Il canone di leasing è considerato un onere per l’uso del bene. L’opera utilizzata dall’ente è considerato un asset appartenente a terzi. La sua rilevazione contabile trova conferma nel bilancio della società di leasing che ne detiene la formale titolarità giuridica. La contabilizzazione effettuata con il metodo patrimoniale incide sulla capacità e sui limiti di spesa e sul saldo finanziario, ma non sui limiti d’indebitamento dell’ente pubblico.
Il metodo finanziario è invece disciplinato dal principio contabile internazionale denominato “IAS 17”. Il bene utilizzato è rilevato tra le immobilizzazioni nel bilancio dell’ente pubblico utilizzatore al momento della consegna del medesimo, a seguito di regolare collaudo, ed iscritto al valore del costo di costruzione (art. 230, comma 4, lett. c), T.U.E.L.). Si prevede l’ammortamento in funzione del ciclo economico utile del bene o della durata del contratto. Le quote di ammortamento si rilevano nel conto economico (art. 239 T.U.E.L.). Il finanziamento del leasing equivale formalmente e sostanzialmente ad un’operazione di debito. Il valore del bene è contabilizzato dall’ente pubblico utilizzatore nel Titolo V, fra le “entrate da assunzione di prestiti”. In contropartita, l’ente pubblico rileva un’operazione d’indebitamento che rappresenta lo stock di debito residuo da pagare periodicamente con i canoni di leasing comprensivi della quota di capitale e interessi. La spesa impegnata per il pagamento dei canoni è essenzialmente una spesa per investimento da iscrivere al Titolo III, rubricato “spese per rimborso prestiti”, relativamente alla quota di capitale rimborsato, e da iscrivere al Titolo I quale onere finanziario per spese correnti, in relazione alla quota d’interessi (art. 165 T.U.E.L.). In base ai criteri di rilevazione portati dal metodo finanziario, il leasing, al pari di un mutuo, incide sia sui limiti di spesa che sui limiti d’indebitamento dell’ente.
Si evidenzia che al metodo finanziario si rivolge l’art. 2427 n. 22 del codice civile, il quale prescrive che nella nota integrativa al bilancio devono essere indicate «le operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla base di un apposito prospetto dal quale risulti il valore attuale delle rate di canone non scadute, quale determinato utilizzando tassi d’interesse pari all’onere finanziario effettivo inerente i singoli contratti, l’onere finanziario effettivo attribuibile ad essi e riferibile all’ esercizio, l’ammontare complessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell’esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, con separata indicazione di ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati inerenti all’esercizio».
Pertanto, se è vero che il D. Lgs. 6/2003 ha confermato per le operazioni di leasing finanziario la preferenza per il metodo patrimoniale, ovvero l’opzione per un principio contabile che privilegia gli aspetti giuridico-formali attinenti alla titolarità del bene, piuttosto che la sostanza economica dell’operazione, tuttavia è parimenti vero che, in ossequio al principio della prevalenza della sostanza sulla forma introdotto con l’art. 2423-bis, comma 1, n.1, c.c., il legislatore nazionale ha perfezionato il metodo patrimoniale con la previsione della citata nota integrativa al bilancio, accostandosi di fatto al criterio contabile internazionale scolpito nello “IAS 17”.
Contenuto del contratto di leasing finanziario e regole di evidenza pubblica.
Il ricorso allo strumento del leasing finanziario pubblico non può essere lo strumento con il quale eludere le regole imposte dalla disciplina degli appalti pubblici e gli obiettivi del patto di stabilità definiti nella nuova manovra finanziaria.
Sotto il primo profilo, si ribadisce l’esigenza di evitare che il ricorso alla predetta disciplina contrattuale si risolva nell’assunzione di obbligazioni contrattuali della pubblica amministrazione mediante strumenti elusivi o violativi delle norme sull’evidenza pubblica, in una materia ove lo strumento ordinario per l’acquisizione di opere pubbliche, ivi compresi i compendi immobiliari da destinare ad attività di rilievo sociale, è l’appalto pubblico nelle sue variegate forme.
Ne consegue che la disciplina del leasing finanziario deve essere compatibile con la disciplina in materia di appalti comunitari ed in questa prospettiva teorica deve essere inquadrato, a seconda della tipologia in concreto delineata, in una delle forme negoziali previste dalla disciplina comunitaria e nazionale (art. 160-bis del D. Lgs. 163/2006), al fine di determinare le regole applicabili alla sottostante procedura di evidenza pubblica e al fine di enucleare i criteri interpretativi delle pattuizioni negoziali nei casi dubbi e controversi.
La possibilità di affidarsi ad una società di leasing cui delegare la gestione operativa della procedure, accosta la figura del leasing finanziario a quella del project financing e dunque esige il rispetto dei principi fissati dal codice degli appalti pubblici e dei canoni di derivazione comunitaria in tema di concorrenza.
Nella determinazione del contenuto del contratto occorrerà tener conto che per sua stessa natura, l’unica forma di leasing certamente ammissibile per la pubblica amministrazione è quella del leasing “traslativo”, ovvero di un contratto di finanziamento che consenta di ottenere alla fine del periodo di ammortamento dei canoni periodici, l’opera pubblica già utilizzata dall’ente locale, mediante la previsione in favore dell’ente del diritto di riscatto del bene medesimo, per una somma in precedenza concordata e comunque sempre inferiore al valore di mercato dell’opera.
In tali termini, il leasing finanziario “traslativo” (sul punto Cass. n.10482/92), consolidando l’acquisto della proprietà del bene in capo all’ente pubblico, realizza l’obiettivo di incrementare stabilmente il patrimonio indisponibile dell’amministrazione, con conseguenti effetti positivi sulla sana e corretta gestione patrimoniale della res publica.
Non sembra configurabile per gli enti locali la diversa figura del leasing di “mero godimento”, laddove la duratura esposizione finanziaria non si traduca ab initio in un esito incrementativo del patrimonio dell’ente, poiché la carenza di un’acquisizione definitiva del bene oggetto del contratto di finanziamento sbilancerebbe gli oneri finanziari a danno della sana e corretta gestione contabile del comune, potendo, peraltro, essere agevolmente sostituita dall’accensione di un mero contratto passivo di locazione. Ciò non toglie che la pubblica amministrazione possa effettuare in ogni caso una valutazione di convenienza economica del riscatto del bene alla scadenza del periodo di utilizzazione.
Soltanto se il contratto di leasing di “mero godimento” avesse ad oggetto un bene durevole destinato a rapida obsolescenza e che diminuisse costantemente il proprio valore di mercato durante il ciclo di utilizzazione, potrebbe configurarsi un’utilità per la pubblica amministrazione, ma si tratterebbe comunque di una figura assimilabile alla disciplina prevista per i contratti di fornitura di beni e servizi, ovvero per i contratti ad esecuzione continuata e periodica ed, in ogni caso, di uno schema negoziale non compatibile con la realizzazione di un bene immobile da destinare definitivamente alla soddisfazione dei bisogni sociali degli amministrati.
Per quel che concerne il contenuto degli accordi contrattuali, occorre determinare con esattezza gli importi da corrispondere in sede di esecuzione del contratto, la frequenza e la periodicità dei canoni, la durata del contratto, il canone per il riscatto del bene, i corrispettivi di natura non finanziaria, le modalità di corresponsione dei canoni periodici ed il loro trattamento contabile nel bilancio dell’ente, l’introduzione di clausole d’indicizzazione dei canoni, le penalità per i ritardi nei pagamenti, le modalità di esercizio del diritto di riscatto e le procedura di acquisto del bene, nonché le eventuali condizioni per il recesso unilaterale dal contratto in favore della pubblica amministrazione.
Ogni clausola che comporti un onere finanziario per l’ente pubblico deve essere attentamente valutata per evitare ricadute negative sull’equilibrio dei conti dell’ente.
Leasing finanziario pubblico e Patto di Stabilità.
Per quanto concerne il diverso profilo del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, gli aspetti di criticità del leasing finanziario pubblico non afferiscono esclusivamente al divieto stabilito dall’art. 119, ultimo comma della Costituzione, che prevede il ricorso all’indebitamento solo per finanziarie spese d’investimento, ma anche alle norme descritte dall’art. 30 comma 15 della legge n. 289/2002, che sanciscono sia un’ipotesi di responsabilità amministrativo-contabile di tipo sanzionatorio, sia la previsione della nullità degli atti e dei contratti che violano o eludono il principio sancito dal citato art. 119 della Costituzione (sui profili sanzionatori forieri di responsabilità giuscontabile in tema di indebitamento per spese diverse dall’investimento, si soffermano le sentenze Corte dei conti, Sezioni Riunite, n. QM 12/2007 e Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Umbria, n. 87/2008).
Persistendo sul medesimo crinale di analisi delle criticità, si rileva che la scelta in favore del leasing finanziario deve essere congruamente ponderata in comparazione alla percorribilità della medesima operazione mediante il ricorso a forme canoniche d’indebitamento per le spese di investimento.
In altri termini, l’adozione dello schema del leasing finanziario deve essere valutata con specifico riguardo alla convenienza alternativa indotta dal ricorso al contratto di mutuo o dal finanziamento dell’ente ad opera della Cassa Depositi e Prestiti, verificando in modo analitico l’impatto in termini di sostenibilità per il bilancio dell’ente di entrambe le forme d’indebitamento.
Il fattore di maggiore interesse nella valutazione della convenienza economica di un’operazione di leasing è rappresentato dalla determinazione dell’onerosità espressa in termini d’indice sintetico di costo, ovvero di tasso effettivo e di ammontare del canone da pagare.
Il tasso effettivo comprende, infatti, anche alcuni elementi impliciti nell’operazione di debito. Il canone non è solo composto dalla quota di capitale ed interessi, ma anche dagli oneri accessori, assicurativi e di manutenzione del contratto, dalle spese di istruttoria della pratica, nonché dal rischio di solvibilità della controparte.
La sostenibilità degli oneri finanziari deve essere valutata con riferimento ai vincoli di bilancio dell’ente e deve essere adeguatamente ponderato il ricorso al leasing per finanziare la costruzione di opere, il cui costo non può essere sostenuto con i tradizionali canali d’indebitamento.
Nell’adottare il leasing finanziario immobiliare quale forma di finanziamento reperibile sul mercato, l’ente pubblico dovrà adeguarsi alle norma sancite dagli artt. 202- 204 T.U.E.L. e dovranno essere attentamente valutate le forme di garanzia sull’assolvimento delle obbligazioni contrattuali concesse dall’ente pubblico, quali cauzioni e depositi per la copertura dei canoni o di parte del prezzo di riscatto del bene, o come la delegazione di pagamento ai sensi dell’art. 206 T.U.E.L., quale forma di ulteriore garanzia normativamente prevista per il pagamento dei ratei di ammortamento dei mutui e dei prestiti contratti dagli enti locali.
Del pari, deve essere scongiurato l’utilizzo del leasing, quale forma d’indebitamento per gli investimenti vietata agli enti locali, regioni e province autonome inadempienti alle regole del patto di stabilità interno relativo agli anni 2008-2011, ai sensi delle inderogabili statuizioni contenute negli artt. 77, 77-bis, comma 20, lett. b), 77-ter, lett. b) della legge finanziaria n. 133/2008, le quali potrebbero essere agevolmente eluse qualora l’ente che non abbia rispettato il patto di stabilità interno, nell’anno successivo all’inadempienza stipulasse un contratto di leasing finanziario per la realizzazione di opere pubbliche, in sostituzione delle forme di finanziamento espressamente proibite, quali il mutuo o l’emissione di prestito obbligazionario.
Non sembra altresì coerente con i principi di sana e corretta gestione finanziaria, in assenza di ponderate valutazioni comparative circa la convenienza economica dell’operazione, l’adozione di forme di leasing da parte di enti locali che presentano deficienze strutturali di cassa o che sono reiteratamente ricorsi ad anticipazioni di tesoreria negli esercizi precedenti.
L’utilizzazione del contratto di leasing per la realizzazione di un’opera pubblica di particolare rilievo sociale, deve essere inserita nell’ambito del programma pluriennale di lavori pubblici che il Comune intende realizzare, non essendo sufficiente una mera delibera a contrarre che valuti la convenienza economica in modo del tutto avulso dal contesto programmatico delineato dall’amministrazione.
Alla luce delle motivazioni che precedono e avuto riguardo alla causa concreta del negozio giuridico posto in essere dalla pubblica amministrazione, non può disconoscersi che l’operazione di leasing finanziario immobiliare costituisca una forma d’indebitamento dell’ente pubblico ulteriore rispetto a quelle indicate dall’art. 3 comma 17 della legge 350/2003, che deve essere conseguentemente orientata ai fini di cui all’art. 119, sesto comma, della Costituzione, ovvero tesa a finanziare operazioni d’investimento quali quelle ricomprese nell’art. 3 comma 18 lett. a), b), c), e), i) della legge 350/2003, nei limiti e termini contenutistici sopra indicati.
Da ultimo, ai fini del quesito posto, appare rilevante accertare la compatibilità della forma d’indebitamento mediante leasing finanziario con le norme contenute nell’art. 62 della Legge 133/2008, in materia di contenimento dell’uso degli strumenti derivati e dell’indebitamento delle regioni e degli enti locali. Disposizioni che il legislatore ha inteso considerare principi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.
L’art. 62, comma primo, della legge 133/2008 prescrive: ”ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica e nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica previsti agli articoli 119 e 120 della Costituzione, alle regioni, alle province autonome di Trento e Bolzano e agli enti locali e' fatto divieto di stipulare fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 2, e comunque per il periodo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto, contratti relativi agli strumenti finanziari derivati previsti all'articolo 1, comma 3, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nonché di ricorrere all'indebitamento attraverso contratti che non prevedano modalità di rimborso mediante rate di ammortamento comprensive di capitale e interessi. La durata dei piani di ammortamento non può essere superiore a trent'anni, ivi comprese eventuali operazioni di rifinanziamento o rinegoziazione ammesse dalla legge. Per gli enti di cui al presente comma, è esclusa la possibilità di emettere titoli obbligazionari o altre passività con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza”.
Ciò posto, si ritiene che il contratto di leasing finanziario non sia da annoverare nella categoria dei contratti di finanza derivata ai sensi dell’art.1, commi secondo e terzo, del D. Lgs. 58/98, il quale fa esplicito riferimento a contratti aleatori e strutturati in tema di intermediazione finanziaria.
Tuttavia, un possibile punto d’interferenza con il divieto stabilito dall’art. 62 della legge 133/2008 è ravvisabile laddove l’indebitamento derivante dal contratto di leasing finanziario sia congegnato in modo tale da dissimulare un contratto di “swap” a copertura dei tassi d’interesse applicati ai ratei del canone o uno schema di finanza derivata, ovvero ancora, laddove sia prevista una modalità di rimborso, mediante rate di ammortamento non comprensive di capitale ed interessi, che procrastini il rimborso del capitale nel tempo, esponendo l’ente ad oneri finanziari non determinati e pertanto non sostenibili.
Sotto altro profilo, alla luce dei principi stabiliti dalla norma, la durata del piano di ammortamento dei canoni di leasing non può superare la soglia trentennale, ivi comprese le eventuali operazioni di rifinanziamento o di rinegoziazione ammesse dalla legge e la somma per il riscatto finale del bene non può tradursi in un rimborso del capitale in un’unica soluzione alla scadenza (c.d. bullet).
Conclusioni.
In sintesi, pur richiamando i principi dell’autonomia negoziale e della capacità giuridica generale della pubblica amministrazione, l’adozione di un contratto di leasing finanziario interseca settori a normazione speciale, derogatori rispetto al diritto comune (norme comunitarie sugli appalti e codice dei contratti); rientra nelle regole della contabilità pubblica in tema di allocazione in bilancio dei canoni periodici e di rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità per il triennio 2008-2011; soggiace alle limitazioni procedurali, funzionali e contenutistiche tipiche del regime dell’evidenza pubblica; ed infine, può configurare una forma d’indebitamento ammissibile ai sensi dell’art. 62 della Legge 133/2008 solo a condizione che non contenga clausole tipiche del contratto di swap, che si configuri quale forma d’indebitamento recante un piano di ammortamento del canone complessivamente non superiore a trent’anni, che le rate di rimborso mediante ammortamento siano comprensive di capitale ed interessi ed, infine, che la somma prevista per il riscatto del bene non si traduca in un rimborso del capitale o del valore di mercato del bene in un’unica soluzione alla scadenza.
nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.
P.Q.M.
Il Relatore (Gianluca Braghò) Il Presidente (Nicola Mastropasqua)