AUTORITA' PER LA
VIGILANZA SUI LAVORI PUBBLICI
DETERMINAZIONE n. 13 del 15 luglio 2003
Cause di esclusione dalle gare d’appalto per l’esecuzione
di lavori pubblici. Profili interpretativi ed applicativi.
IL CONSIGLIO
Considerato in fatto
Con le precedenti determinazioni n. 16/23, del 5 dicembre 2001 e n. 10 del 29 maggio 2002, questa Autorità, in risposta a richieste di chiarimenti di alcune stazioni appaltanti e nell’intento di far conseguire un’applicazione uniforme delle norme, ha fornito indicazioni interpretative in merito ai requisiti generali richiesti alle imprese per la partecipazione alle gare di appalto e di concessione di lavori pubblici e per la stipulazione dei relativi contratti.
Successivamente, sono stati formulati nuovi quesiti e portate all’esame dell’Autorità ulteriori questioni relative all’applicazione dell’art. 75 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 e s.m. e sono, altresì, sopravvenute sostanziali modificazioni legislative e significative indicazioni giurisprudenziali riguardanti la disciplina di settore.
Si è ritenuto, pertanto, opportuno riesaminare la materia con una nuova determinazione che, sostituendo le precedenti, da un lato, consolidi quanto in precedenza affermato ed ancora attuale, dall’altro, fornisca ulteriori chiarificazioni e suggerimenti agli operatori del settore.
I.
In base al disposto di cui all’art. 8, comma 9, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni, a decorrere dal 1° gennaio 2000, i lavori pubblici possono essere affidati esclusivamente a soggetti qualificati ai sensi dei commi 2 e 3 dello stesso articolo e non esclusi dalle gare per inaffidabilità morale, finanziaria e professionale.
Già all’atto della qualificazione, le imprese, in conformità all’art. 17 del D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, oltre che requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi, che qui non interessano, devono dimostrare di possedere requisiti di carattere generale che attengono, più propriamente, all’indicata affidabilità morale, economica e professionale dell’esecutore. Con determinazione 12 ottobre 2000, n. 47, l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici stabiliva quale dovesse essere la “documentazione mediante la quale i soggetti che intendono qualificarsi dimostrano l’esistenza dei prescritti requisiti d’ordine generale”.
Questi requisiti, inerenti all’affidabilità del contraente, oltre a dover sussistere alla data di sottoscrizione del contratto per il rilascio dell’attestazione di qualificazione, devono permanere al momento della partecipazione alle specifiche procedure di affidamento e di stipulazione dei contratti. Ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. n. 554/1999, nel testo introdotto dall’art. 2 del d.P.R. 30 agosto 2000, n. 412, vanno, infatti, “esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni e non possono stipulare i relativi contratti” le imprese che versano in una delle situazioni di incompatibilità ivi elencate.
Situazioni di incompatibilità le quali, in caso di partecipazione di imprese associate ovvero tra loro consorziate o che intendano associarsi o consorziarsi, rilevano per tutte le imprese facenti parte dell’associazione o consorzio, in quanto la collaborazione tra le imprese, tipica di detti fenomeni, non può implicare una deroga alla regola della necessaria affidabilità morale, professionale e tecnica di tutti i soggetti contraenti a qualsiasi titolo con l’amministrazione.
In base al disposto di cui al già richiamato art. 8, comma 7, della legge n. 109/1994 e successive modificazioni, il potere di esclusione dalle gare, a decorrere dal 1° gennaio 2000, compete alle stazioni appaltanti.
Va poi richiamata, per completezza di analisi, la disciplina relativa al “Casellario informatico delle imprese qualificate”, nel quale vanno inseriti dati e notizie concernenti le imprese e rilevanti al fine della ammissione alle gare e che “sono a disposizione di tutte le stazioni appaltanti per l’individuazione delle imprese nei cui confronti sussistono cause di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici” (art. 27, comma 5, d.P.R. n. 34/2000).
II.
Ciò premesso si forniscono, di seguito, chiarimenti in ordine alle condizioni di cui all’art. 75 del d.P.R. n. 554/1999, ovvero alle ulteriori situazioni previste da specifiche disposizioni di legge.
Vanno esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti di seguito indicati.
A. “che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di amministrazione controllata o di concordato preventivo o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni” (art. 75, comma 1, lett. a)).
Appare evidente come la disposizione riportata faccia riferimento a due distinte fattispecie: la prima attinente all’ipotesi di conclamato dissesto economico dell’impresa, la seconda, invece, concernente il caso in cui sia in corso un procedimento, ancorché non concluso, per l’accertamento di tale situazione; procedimento che, sulla base della prevalente giurisprudenza, può essere considerato in corso qualora vi sia stata presentazione di apposita istanza da parte del creditore.
Con riferimento, invece, alla liquidazione coatta amministrativa, è da ricordare che essa può conseguire ad accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza con sentenza del tribunale, ai sensi dell’art. 195 o dell’art. 202 della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942 n. 267), ovvero a provvedimento amministrativo di liquidazione emanato ai sensi dell’art. 197 della legge medesima.
L’amministrazione controllata (art. 187 e s.s.), poi, presuppone una temporanea difficoltà dell’impresa ad adempiere alle proprie obbligazioni, e con il concordato preventivo (art. 160 e s.s.), è data all’imprenditore insolvente la possibilità di evitare il fallimento quando pure ne sussistono gli estremi.
Si osserva, infine, che la possibilità di esclusione dalle gare e dalla stipulazione dei contratti dovrebbe ritenersi sussistere anche nell’ipotesi dell’amministrazione straordinaria, di cui al D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, anche se a tale situazione, come già rilevato, l’art. 75 del d.P.R. n. 554/1999 non fa espresso riferimento; e ciò in quanto, come pure già rilevato, vi fa riferimento implicito l’art. 24 della direttiva comunitaria 93/37/CE secondo cui può essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni imprenditore che sia in stato di fallimento, di liquidazione, di cessazione dell’attività, di regolamento giudiziario o di concordato preventivo o in ogni altra analoga situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e regolamentazioni nazionali.
B. “nei cui confronti è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423; (tale) divieto opera se la pendenza del procedimento riguardi il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale, il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo o in accomandita semplice, gli amministratori muniti di potere di rappresentanza o il direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società” (art. 75, comma 1, lett. b)).
La norma contiene una dettagliata specificazione degli organi dell’impresa nei cui confronti va verificato il requisito della pericolosità sociale, che costituisce il presupposto del procedimento. Le misure di prevenzione di cui all’art. 3 della legge n. 1423/1956 sono: l’applicazione di una misura di prevenzione personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con eventuale obbligo o divieto di soggiorno) ai sensi della normativa relativa alle persone pericolose per la sicurezza pubblica (legge n. 1423/1956, art. 3), ovvero ai sensi delle disposizioni contro la mafia (legge 31 maggio 1965, n. 575, artt. 1 e 2), o a tutela dell’ordine pubblico (legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 18 e 19).
Il procedimento è da ritenersi pendente quando sia avvenuta l’annotazione della richiesta di applicazione della misura nei registri di cui all’art. 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55, nel quale è stabilito che presso le segreterie delle procure della Repubblica e presso le cancellerie dei tribunali sono istituiti appositi registri per le annotazioni relative ai procedimenti di prevenzione.
L’incapacità alla partecipazione alle gare ed alla stipulazione dei contratti è prevista per la pendenza del procedimento, in quanto nel caso di avvenuta irrogazione di una delle misure di prevenzione è applicabile l’art. 10, comma 2, della legge n. 575/1965 secondo cui il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate a cura degli organi competenti.
L’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione, che deriva dall’applicazione di una misura di sicurezza, non colpisce il solo destinatario, ma si può estendere ai conviventi ed agli enti di cui il soggetto è rappresentante o gestore: ai sensi del comma 4 del citato art. 10 della legge n. 575/1965, il tribunale dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni. Ai sensi della suddetta disposizione sembra potersi, quindi, ritenere che l’estensione dell’incapacità in esame, con durata quinquennale, agli indicati ulteriori soggetti non operi automaticamente, ma necessiti di un’apposita pronuncia del tribunale.
L’articolo 10, comma 5-ter della legge n. 575/1965, stabilisce altresì che le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. L’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione, dunque, si verifica anche nel caso di condanna con pronunzia cosiddetta doppia conforme, per uno dei delitti di cui all’art. 51 comma 3-bis c.p.p., ossia per delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416-bis (associazione a delinquere di tipo mafioso) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti previsti dall’art. 74 T.U. approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti). Ad integrazione delle disposizioni commentate va, infine, richiamato il disposto di cui all’art. 4 del D.Lgs. 8 agosto 1994 n. 490, in base al quale le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti aggiudicatori devono acquisire informazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti d’importo superiore alla soglia comunitaria ovvero, per i subcontratti, d’importo superiore a 200 milioni di euro. La stessa norma prevede, poi, due tipi di informative c.d. interdittive, che impediscono la contrattazione:
a) l’informazione prefettizia che comunica la sussistenza, a carico dei soggetti responsabili dell’impresa ovvero dei soggetti familiari, anche di fatto, conviventi nel territorio dello Stato, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell’allegato I (vale a dire cause di divieto, sospensione, decadenza, previste dall’art. 10 della indicata legge n. 575/1965);
b) l’informazione prefettizia da cui risultino eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.
Da considerare, poi, che la prassi dell’amministrazione, sviluppatasi sulla base dell’esegesi delle norme vigenti, sostenuta dall’elaborazione giurisprudenziale, conosce anche un terzo tipo d’informativa prefettizia, la c.d. informativa supplementare atipica, fondata sull’accertamento di elementi i quali, pur denotando il pericolo di collegamento tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità prevista dall’art. 4 del D.Lgs. n. 490/1994, per dar vita ad un effetto legale di divieto a contrarre. Detto potere d’informazione trova fondamento positivo nell’art. 1-septies del D.L. 6 settembre 1982, n. 629 convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 12 ottobre 1982, n. 726, ai sensi del quale l’Alto commissario per la lotta alla mafia (le cui competenze nelle more sono state devolute ai prefetti) può comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni, in materia di armi ed esplosivi e per lo svolgimento di attività economiche elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio, il rinnovo, la sospensione o la revoca delle licenze, autorizzazioni ed altri titoli menzionati. L’applicazione di questa norma ai contratti ad evidenza pubblica ha un suo riscontro nell’art. 113 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827, secondo il quale per gravi motivi d’interesse pubblico o dello Stato, il Ministro o l’autorità delegata può negare l’approvazione ai contratti anche se riconosciuti regolari. In breve, l’informativa supplementare o atipica non ha l’effetto interdittivo, non preclude assolutamente e inderogabilmente la stipula del contratto con l’aggiudicatario, ma consente all’amministrazione appaltante di negare l’approvazione sulla base di ragioni d’interesse pubblico. Tale potere d’informazione atipica è espressione di un principio generale di collaborazione fra pubbliche amministrazioni, principio che viene in rilievo soprattutto quando siano in gioco interessi delicati alla tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e dello svolgimento legale delle attività economiche. Esso assolve la funzione di arricchire la conoscenza dell’amministrazione circa la posizione ed i collegamenti dell’impresa e non arreca a quest’ultima alcun nocumento immancabile, fermo il profilo della riservatezza che, nella materia in esame, resta servente alla primaria esigenza di tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza (Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2002, n. 149).
C. “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale”; “il divieto opera se la sentenza è stata emessa nei confronti del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di impresa in nome collettivo o in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio”. “In ogni caso il divieto opera anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di avere adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”. “Resta salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 178 del codice penale (concernente la concessione della riabilitazione) e dell’art. 445, comma 2, del codice di procedura penale” (riguardante l’estinzione del reato per decorso del termine) (art. 75, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 554/1999 e successive modificazioni).
Per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicazione valgono le seguenti precisazioni.
A parte la disposta equiparazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta, emessa ai sensi dell’art. 444 codice di procedura penale (cosiddetto patteggiamento), alla sentenza di condanna vera e propria, particolarmente complessa è l’individuazione dei reati che sono considerati incidenti sull’affidabilità morale e professionale dell’imprenditore e delle modalità attraverso le quali può essere dimostrata la mancata ricorrenza della condizione in esame.
Quanto alla prima delle indicate questioni, va richiamata la determinazione dell’Autorità n. 56 del 13 dicembre 2000 che, concordando con le indicazioni di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 1° marzo 2000, n. 182/400/93, ha ritenuto che influiscono sull’affidabilità morale e professionale del contraente i reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica ed il patrimonio, se relativi a fatti la cui natura e contenuto siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con le stazioni appaltanti per la loro inerenza alle specifiche obbligazioni dedotte in precedenti rapporti con le stesse. La mancanza, tuttavia, di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad. es. l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive.
Siffatta discrezionalità è, tuttavia, limitata dalla previsione della norma secondo cui è fatta salva, in ogni caso, l’applicazione degli artt. 178 del codice penale e 445 del codice di procedura penale, riguardanti, rispettivamente, la riabilitazione e l’estinzione del reato per decorso del tempo nel caso di applicazione della pena patteggiata.
Analogamente ed all’opposto, non potrà essere fatta alcuna valutazione discrezionale della concreta fattispecie, dovendosi automaticamente escludere il concorrente, nel caso di ricorrenza delle ipotesi di cui all’art. 32-quater codice penale (malversazione, corruzione, etc.), implicante una “incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”, nonché di quella di irrogazione di sanzione interdittiva nei confronti della persona giuridica emessa ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231 per reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio commessi nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica medesima.
La disposizione in esame non fa riferimento esplicito alle condanne inflitte con decreto penale. Al riguardo, in conformità all’orientamento del giudice amministrativo di appello (Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2002, n. 5523), le condanne che incidono sull’affidabilità morale e professionale, indipendentemente dalla modalità di irrogazione della sanzione, stante la formula generica adoperata dall’art. 75, consentono all’Amministrazione una lata valutazione discrezionale del caso concreto per stabilire la rilevanza o meno di una data condanna penale, ancorché questa sia estranea alla qualità dell’imprenditore. Dal che consegue l’obbligo per il partecipante alle gare di dichiarare anche i decreti penali di condanna. Dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere discrezionale di valutazione dei reati degli interessati, si deve dare contezza con idonea e congrua motivazione; motivazione ancor più puntuale nei casi di decreto penale di condanna ex art. 459 c.p.p., atteso che in tale ipotesi l’applicazione della pena avviene eccezionalmente per reati di particolare tenuità che comportano l’irrogazione di una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva, per cui la condanna inflitta con il rito del decreto penale non fa emergere elementi particolarmente sintomatici di una scarsa moralità professionale. (Cons. Stato, sez. V, 18 ottobre 2001, n. 5517).
Quanto, poi, all’estinzione dei reati va segnalato l’avviso della Cassazione secondo cui la situazione di fatto da cui origina la causa di estinzione del reato per divenire condizione di diritto abbisogna, per espressa statuizione di legge, dell’intervento ricognitivo del giudice dell’esecuzione il quale è tenuto, nell’assolvimento di un suo preciso dovere funzionale, ad emettere il relativo provvedimento di estinzione ai sensi dell’art. 676 c.p.p. (Cass., sez. IV pen., 27 febbraio 2002, n. 11560).
Sotto il profilo soggettivo giova ricordare che il divieto di cui al punto in esame opera se la sentenza è stata emessa nei confronti del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale, del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo o in accomandita semplice, degli amministratori muniti del potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio. Il divieto medesimo opera anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di avere adottato atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata.
Deve precisarsi che risulta irrilevante la circostanza che la condanna dell’amministratore o del direttore tecnico sia intervenuta per fatti antecedenti alla data di assunzione nell’incarico, ovvero per fatti non correlati ad eventuale interesse o vantaggio dell’impresa. Né risulta ostativa a questa interpretazione la normativa sulla c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (D.Lgs. n. 231/2001). Se è vero, infatti, che per tale legge la responsabilità dell’ente può essere riconosciuta soltanto con riferimento a reati commessi nel suo interesse od a suo vantaggio, è altrettanto vero, tuttavia, che di una tale limitazione non vi è traccia nel citato art. 75, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 554/1999 e s.m., il quale estende all’impresa l’affievolimento, derivante dalla sentenza penale di condanna, della moralità occorrente per la partecipazione alle gare d’appalto.
Ciò in quanto la condanna penale dei titolari, amministratori o del direttore tecnico delle imprese, ai sensi dell’art. 75, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 554/1999 e s.m. costituisce circostanza incidente sull’affidabilità morale dell’impresa nel suo complesso, nel senso che, dalla stessa, stante la rilevanza ed il ruolo del condannato nell’organizzazione aziendale e delle decisioni da esso assunte, deriva un’attenuazione della moralità complessiva dell’impresa ed una limitazione della capacità di essa alla partecipazione alle gare ed alla stipulazione dei contratti di appalto. Come rilevato dalla giurisprudenza, tale limitazione si protrae per i tre anni successivi dalla cessazione della carica del soggetto condannato, con la possibilità, tuttavia, per l’impresa interessata e con riferimento a detto triennio di interrompere il nesso di identificazione adottando “atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata” tenendo conto, in particolare, che il recupero dell’affidabilità dell’impresa non avviene automaticamente per effetto della semplice sostituzione del soggetto inquisito, occorrendo al riguardo anche una completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata al fine di evitare una considerazione negativa per il triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara come precisato nella seconda parte dell’art. 75, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 554/1999 (Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2002, n. 5523).
Alla luce di quanto esposto sussiste preclusione alla partecipazione alle gare anche in ipotesi di condanne del direttore tecnico o amministratore in epoca anteriore all’assunzione in carica nell’impresa, ritenendosi, quindi, ininfluente il fatto che la condanna dello stesso sia o meno temporalmente e funzionalmente correlata alla carica ricoperta in seno all’impresa. Così come sembra ininfluente la circostanza che l’impresa abbia cessato di avvalersi dell’amministratore o del direttore tecnico condannati, a meno che non dimostri di averli per tale ragione estromessi dall’incarico, dando così prova di dissociazione dalla relativa condotta criminosa.
D. “che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria, posto all’art. 17, 3° comma, della legge 19 marzo 1990, n. 55” sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso (art. 75, comma 1, lett. d)).
Come è noto, la disciplina in tema di intestazione fiduciaria dei soggetti appaltatori si ricollega all’esigenza di evitare che la stazione appaltante perda il controllo del vero imprenditore che ha partecipato alla gara; sicché, tranne il caso in cui l’intestazione fiduciaria concerna società appositamente autorizzate ai sensi della legge 23 novembre 1939, n. 1966, le quali, a loro volta, abbiano comunicato alla amministrazione l’identità dei fiducianti, l’acclarata intestazione fiduciaria comporta l’esclusione dalla partecipazione alle gare e la preclusione alla stipulazione dei contratti.
Con D.P.C.M. 11 maggio 1991, n. 187, è stato emanato l’apposito “regolamento per il controllo delle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatori di opere pubbliche” al quale va fatto rinvio per quanto attiene agli obblighi specifici posti a carico delle società aggiudicatrici ed ai controlli sui relativi adempimenti. Può, poi, essere osservato che, per la configurazione dell’ipotesi in esame, come ritenuto in giurisprudenza, non è necessario il trasferimento di beni dai fiducianti al soggetto fiduciario, essendo sufficiente che a quest'ultimo sia conferita, attraverso idonei strumenti negoziali, la legittimazione ad esercitare i diritti o le facoltà, necessari per la gestione dei beni, che possono rimanere formalmente in capo al fiduciante.
E. “che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e ad ogni altro obbligo derivante dal rapporto di lavoro” (art. 75, comma 1, lett. e)).
L’espressione “debitamente accertate” non può essere letta nel senso di “definitivamente accertate”, ma sta ad indicare che dell’infrazione deve esservi stato accertamento nelle forme previste dalla normativa di settore. Questo assegna gli accertamenti alla sede amministrativa la cui attestazione appare, quindi, sufficiente a legittimare la valutazione delle stazioni appaltanti circa la gravità dell’infrazione. Possono valere sotto quest’ultimo profilo le indicazioni date, circa la natura discrezionale delle valutazioni e l’obbligo di motivazione, alla precedente lettera c). Si aggiunga che la “gravità” della violazione può desumersi da parte della stazione appaltante dalla specifica tipologia dell’infrazione commessa, sulla base anche del tipo di sanzione (arresto o ammenda) per essa irrogata, dall’eventuale reiterazione della condotta, del grado di colpevolezza e delle ulteriori conseguenze dannose che ne sono derivate (es. infortunio sul lavoro).Va tenuto presente, inoltre, che per infrazioni alle norme in materia di sicurezza ed a ogni altro obbligo derivante dal rapporto di lavoro debbono intendersi non soltanto le omissioni inerenti il mancato pagamento dei relativi contributi, quanto anche le infrazioni alle prescrizioni di cui al D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 e D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528 sulla sicurezza nei cantieri. Ad avviso dell’Autorità è da considerare grave la violazione agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro in caso di omesso versamento dei contributi assicurativi, qualunque ne sia l’importo e fino a che la situazione contributiva non venga completamente regolarizzata.
F. “che hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione di lavori affidati dalla stazione appaltante che bandisce la gara” (art. 75, comma 1, lett. f)).
L’esclusione dalle gare può aver luogo in presenza di un accertamento in sede amministrativa, di regola, anche se non può escludersi che la negligenza o malafede possano emergere da pronunce giurisdizionali.
A differenza della normativa comunitaria che considera rilevante qualsiasi errore professionale commesso dall’appaltatore, la norma limita l’esclusione dalle procedure di gara ai soli fatti di inadempimento dell’impresa in pregressi rapporti con la stazione appaltante, il che attenua la problematicità della percezione e della valutazione della gravità che più agevolmente sono stimati dalla stazione appaltante. Rimangono anche in questo caso ferme le indicazioni date, circa la natura discrezionale della valutazione e l’obbligo di motivazione, con riferimento alla precedente lettera c).
Giova precisare che, per la configurazione dell’ipotesi in esame, non basta che i lavori non siano stati eseguiti a regola d’arte ovvero in maniera non rispondente alle esigenze del committente, occorrendo, invece, una violazione del dovere di diligenza nell’adempimento qualificata da un atteggiamento psicologico doloso o comunque gravemente colposo dell’appaltatore. Pacifico il ricorrere della gravità nel caso di dichiarazione di non collaudabilità dei lavori ovvero di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 119 del d.P.R. n. 554/1999.
Come, poi, ritenuto in giurisprudenza, i comportamenti compiuti dai dipendenti dell’impresa in danno della stazione appaltante si pongono in stretta connessione con l’esecuzione dei lavori ed integrano l’ipotesi di negligenza dell’impresa appaltatrice che abbia al riguardo omesso ogni dovuto e preventivo controllo (anche nella scelta delle maestranze e collaboratori che non diano dimostrazione di affidabilità sia sul piano tecnico che su quello morale).
G. “coloro che abbiano commesso irregolarità, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti” (art. 75, comma 1, lett. g)).
La norma richiede la definitività dell’accertamento dell’irregolarità tributaria; definitività che può conseguire sia ad una decisione giurisdizionale, sia da un atto amministrativo di accertamento tributario non impugnato e divenuto incontestabile.
H. “che nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara hanno reso false dichiarazioni in merito ai requisiti ed alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara, risultanti dai dati in possesso dell’Osservatorio”.
La corrispondente disposizione regolamentare sul
sistema di qualificazione (art. 17, comma 1, lett. m) del d.P.R. n. 34/2000),
non pone alcun limite temporale alla rilevanza delle dichiarazioni rese, per l’evidente
necessaria maggior gravità della falsità delle dichiarazioni quando si
collegano ad un procedimento per il rilascio di un certificato con validità nel
tempo.
E’ utile precisare le conseguenze sulle
procedure di gara in corso o da avviare o sulle fasi successive all’aggiudicazione
del dato relativo ad una falsa dichiarazione resa in merito ai requisiti ed alle
condizioni rilevanti ai fini della partecipazione alle gare d’appalto.
Nel momento in cui ricorre la fattispecie di cui
alla lettera h) del citato art. 75 e la sua conoscenza da parte di altre
stazioni appaltanti, le procedure di affidamento dei lavori presso queste altre
stazioni possono trovarsi in una delle seguenti fasi:
a) prima che venga indetta una gara per l’affidamento di un appalto o di una concessione di lavori pubblici;
b) dopo la pubblicazione del bando di gara per l’affidamento di un appalto o di una concessione di lavori pubblici, ma prima che scada il termine per la presentazione delle offerte;
c) dopo che sia scaduto il termine per la presentazione delle offerte, ma prima dell’aggiudicazione;
d) dopo l’aggiudicazione, ma prima della stipula del contratto;
e) dopo la stipula del contratto;
f) dopo la consegna dei lavori.
Prima dell’aggiudicazione dell’appalto - fasi a), b) e c) - non vi sono effetti sulla regolarità della procedura di gara una volta esclusa l’impresa non in possesso dei requisiti richiesti. Solo nel caso in cui la sua offerta abbia già contribuito alla formazione della graduatoria provvisoria, occorrerà determinare la nuova soglia di anomalia.
Dopo l’aggiudicazione della gara, ma prima della stipula del contratto - fase d) - va distinto se aggiudicataria è la stessa impresa nei cui confronti sussista la causa preclusiva di cui alla lettera h) del citato art. 75 o altro concorrente non aggiudicatario. Nel primo caso la stazione appaltante procede all’annullamento dell’aggiudicazione e alla determinazione della nuova soglia di anomalia e alla conseguente nuova aggiudicazione. Nel secondo caso occorre effettuare una prova di resistenza ed eventualmente procedere alla nuova aggiudicazione. Identica soluzione va seguita se vi è stata consegna anticipata dei lavori.
Dopo la stipula del contratto ed eventualmente a lavori in corso - fasi e) ed f) - può ugualmente distinguersi a seconda che la causa preclusiva di cui alla lettera h) del citato art. 75 riguardi l’impresa aggiudicataria oppure altra impresa, ma va sempre valutato concretamente, quindi, caso per caso, l’eventuale sussistente interesse al proseguimento del rapporto o l’interesse all’annullamento dell’aggiudicazione congiuntamente all’esigenza di un ripristino della legalità violata.
III
Va considerato, infine, che, in base al disposto del comma 2 dell’art. 75 del d.P.R. n. 554/1999, i concorrenti devono dichiarare, ai sensi delle vigenti leggi, l’inesistenza delle situazioni di cui al comma 1, lettere a), d), e), f), g) e h) e dimostrare, mediante la produzione del certificato del casellario giudiziale o dei carichi pendenti, che non ricorrono le condizioni prescritte dal medesimo comma 1, lettere b) e c).
Tale disposizione, tuttavia, è da ritenersi implicitamente abrogata a seguito della riforma di cui alla legge 16 gennaio 2003, n. 3, in tema di disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione, il cui art. 15, comma 1, lettera b) ha introdotto, nel corpo del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, l’art. 77-bis, in base al quale le disposizioni in materia di documentazione amministrativa contenute nei capi II e III si applicano a tutte le fattispecie in cui sia prevista una certifìcazione o altra attestazione, ivi comprese quelle concernenti le procedure di aggiudicazione e affidamento di opere pubbliche o di pubblica utilità, di servizi e di forniture, ancorché regolate da norme speciali, salvo che queste siano espressamente richiamate dall’art. 78". Ne consegue che, a seguito dell’indicata novella, la presentazione di dichiarazione sostitutiva è ormai consentita anche con riferimento alla cause di esclusione di cui all’art. 75, comma 1, lettere b) e c).
Saranno, pertanto, le stazioni appaltanti a dover effettuare, ai sensi del disposto di cui all’art. 71, comma 1, del d.P.R. n. 445/2000, i necessari controlli sulla veridicità delle autodichiarazioni; controlli che, se relativi a dichiarazioni sostitutive di certificazione, andranno effettuati con le modalità di cui all’art. 43 dello stesso indicato D.P.R., e cioè consultando direttamente gli archivi dell’amministrazione certificante, oppure chiedendo alla stessa, anche a mezzo di strumenti informatici o telematici, conferma scritta della rispondenza tra quanto autodicharato alle risultanze dei registri da essa custoditi. Da tener presente al riguardo che, ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. n. 445/2000, le stazioni appaltanti non possono richiedere atti o certificati concernenti stati, qualità personali e fatti, di cui al successivo art. 46, che risultino attestati in documenti già in loro possesso o che comunque esse stesse siano tenute a certificare dovendo acquisirli d’ufficio previa indicazione all’interessato dell’amministrazione competente e degli elementi necessari al relativo reperimento.
Il sopravvenire del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 ha portato all’emanazione della circolare del 17 giugno 2003 del Ministero della Giustizia, che ha riconosciuto che “il protrarsi della situazione (mancata attuazione del sistema di interconnessione centralizzato) intralcerebbe in maniera non indifferente l’espletamento di rilevanti attività della pubblica amministrazione dando luogo ad una rilevante disfunzione dell’apparato amministrativo”. Per cui “al fine di evitare che detto evento si verifichi, l’Ufficio centrale del Casellario ha realizzato sull’attuale sistema informativo (S.I.C.) una procedura che anticipa, con una modalità transitoria, l’applicazione contenuta nell’art. 39 T.U., il quale prevede un sistema di interconnessione che permette una consultazione diretta del sistema da parte delle amministrazioni pubbliche e dei gestori di servizi pubblici. In modo che, in attesa della realizzazione del detto sistema, la nuova procedura rende possibile la consultazione del Sistema informativo del casellario tramite l’intermediazione dell’Ufficio centrale e degli Uffici locali che “rilasceranno, a richiesta delle amministrazioni pubbliche e dei gestori di pubblici servizi, apposita certificazione” concernente il certificato generale contenente, però, non talune, ma la totalità delle iscrizioni riguardanti una determinata persona.
Il Relatore Il Presidente