Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie
CIRCOLARE 1 marzo 2002, n. 3944
Procedure di affidamento delle concessioni di servizi e di lavori
(G.U.
n. 102 del 3 maggio 2002)
2) Il trattato CE non contiene una definizione di concessione.
L'unica definizione rinvenibile nel diritto comunitario derivato è quella contenuta nella direttiva 93/37/CEE che la definisce come "un
contratto che presenta le stesse caratteristiche degli appalti
pubblici di lavori, ad eccezione del fatto che la controprestazione
dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in
tale diritto accompagnato da un prezzo" (art. 1, lettera d).
Una
definizione analoga, mutuata da quella comunitaria, è contenuta
nella normativa nazionale che identifica le concessioni di lavori
pubblici come quei contratti conclusi in forma scritta fra un
imprenditore ed un'amministrazione aggiudicatrice dove la
controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel
diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti
i lavori realizzati (art. 19, comma 2, legge 11 febbraio 1994, n.
109, come sostituito dall'art. 3, comma 6, della legge 18 novembre
1998, n. 415).
3) Al fine di delimitare l'ambito di applicazione della presente
circolare occorre in primo luogo delineare i criteri distintivi delle
concessioni di lavori rispetto agli appalti di lavori pubblici in uno
con il discrimen tra concessioni di servizi e appalti di servizi.
In base alla menzionata comunicazione interpretativa della
Commissione il tratto distintivo delle concessioni di lavori pubblici
rispetto agli appalti di lavori consiste nel conferimento di un
diritto di gestione dell'opera che permette al concessionario di
percepire proventi dall'utente a titolo di controprestazione della
costruzione dell'opera (ad esempio, in forma di pedaggio o di canone)
per un determinato periodo di tempo. Il diritto di gestione implica
anche il trasferimento della responsabilità di gestione che investe
gli aspetti tecnici, finanziari e gestionali dell'opera.
Da quanto
precede si deduce che in una concessione di lavori l'alea relativa
alla gestione viene trasferita al concessionario che si assume il
"rischio economico", nel senso che la sua remunerazione dipende
strettamente dai proventi che può trarre dalla fruizione dell'opera.
Al contrario si è in presenza di un appalto pubblico di lavori
quando il costo dell'opera grava sostanzialmente sull'autorità
aggiudicatrice e quando il contraente non si remunera attraverso i
proventi riscossi dagli utenti.
Va peraltro precisato che la distinzione tra concessione e appalti
di lavori pubblici non rileva ai fini della tutela giurisdizionale poiché l'art.
31-bis, comma 4, legge 11 febbraio 1994, n. 109 equipara
le due figure sotto tale profilo di tutela.
Si deve puntualizzare
infine che il ricordato art. 19, comma 2, legge
Merloni contempla anche la possibilità di fattispecie di carattere misto
nelle quali il conferimento del diritto di gestione è accompagnato
dal riconoscimento di una controprestazione pecuniaria in favore del
costruttore in misura in ogni caso non superiore al 50% dell'importo
totale dei lavori.
4) Un analogo criterio vale anche per distinguere e concessioni di
servizi pubblici dagli appalti di servizi in quanto, salve le
differenze di cui si dirà oltre tra concessione di lavoro e di
servizio, anche al concessionario di servizio non viene riconosciuto
un prezzo ma solo il diritto ad ottenere la remunerazione
dell'attività svolta attraverso la possibilità di gestire il
servizio per un determinato periodo.
La Corte di giustizia ha
pertanto recentemente escluso che le concessioni di servizi rientrino
nella sfera di applicazione della direttiva in materia di appalti, ed
in particolare della direttiva n. 93/38 CE, qualora la
controprestazione fornita dall'amministrazione all'impresa privata
consista nell'ottenimento da parte di quest'ultima del diritto di
sfruttare, ai fini della sua remunerazione, la propria prestazione
(Corte di giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, cit.,
punto n. 58).
In merito, la comunicazione interpretativa ha chiarito che
applicando tale criterio si ha concessione di servizi quando
l'operatore si assume i rischi di gestione del servizio (sua
istituzione e gestione) rifacendosi sull'utente, soprattutto per
mezzo della riscossione di qualsiasi canone. Le modalità di
remunerazione dell'operatore è, come nel caso della concessione di
lavori, un elemento che permette di stabilire l'assunzione del
rischio di gestione. Come la concessione di lavori anche la
concessione di servizi è caratterizzata da un trasferimento della
responsabilità di gestione.
Infine, la concessione di servizi
riguarda di solito attività che, per la loro natura, l'oggetto e le
norme che le disciplinano, possono rientrare nella sfera di
responsabilità dello Stato ed essere oggetto di diritti esclusivi o
speciali (punto 2.2 della comunicazione).
Si può aggiungere, ai fini del diritto interno, che mentre negli
appalti pubblici di servizi l'appaltatore presta il servizio in
favore della pubblica amministrazione, la quale utilizza tale
prestazione ai fini dell'eventuale erogazione del servizio pubblico a
vantaggio della collettività, nella concessione di pubblico servizio
il concessionario sostituisce la pubblica amministrazione
nell'erogazione del servizio, ossia nello svolgimento dell'attività
diretta al soddisfacimento dell'interesse collettivo.
Allo scopo di tracciare la distinzione tra l'appalto di servizi e
la concessione di servizi pubblici, la dottrina tradizionale ha
individuato una molteplicità di criteri utilizzabili, quali:
a) il carattere surrogatorio dell'attività svolta dal concessionario di pubblico servizio contrapposta all'attività di mera rilevanza economica svolta dall'appaltatore nell'interesse del committente pubblico;
b) la natura unilaterale del titolo concessorio di affidamento dei servizio pubblico, che si contrappone al carattere negoziale dell'appalto;
c) il trasferimento di potestà pubbliche in capo al concessionario, contrapposte alle prerogative proprie di qualsiasi soggetto economico riconosciute all'appaltatore che non opera quale organo indiretto dell'amministrazione;
d) l'effetto accrescitivo tipico della concessione.
La questione è stata sottoposta all'esame del Consiglio di Stato
nel giudizio n. 5771/2001 definito con il dispositivo 12 dicembre
2001, n. 670.
A parere di questo Dipartimento, il criterio distintivo più convincente è quello relativo all'oggetto dei due contrapposti
istituti, che si riflette anche sulla fisionomia dei rapporti
considerati. Si osserva infatti che l'appalto di servizi concerne
prestazioni rese in favore dell'amministrazione, mentre la
concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto
trilaterale, che interessa l'amministrazione, il concessionario e gli
utenti del servizio. Ciò comporta, di regola, ulteriori conseguenze
sull'individuazione dei soggetti tenuti a pagare il corrispettivo
dell'attività svolta.
Normalmente, nella concessione di pubblici
servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell'appalto
di servizi spetta all'amministrazione l'onere di compensare l'attività svolta dal privato. Tale criterio integrativo, peraltro,
assume un rilievo apprezzabile solo quando il servizio pubblico, per
le sue caratteristiche oggettive, è divisibile tra gli utenti che,
in concreto, ne beneficiano direttamente.
5) In linea di continuità con la giurisprudenza comunitaria si
pone l'indirizzo di recente seguito dalla giurisprudenza
amministrativa interna.
Con la decisione n. 253 del 17 gennaio 2002
la IV Sezione del Consiglio di Stato, pronunciando in ordine
all'affidamento di concessione di gestione di rete autostradale, ha
osservato che le concessioni di pubblici servizi, pur se non regolate
da direttive specifiche, soggiacciono ai principi generali dettati in
materia dal trattato costitutivo, come esplicitati dalla più volte
rammentata comunicazione interpretativa del 29 aprile 2000.
Segnatamente il giudice amministrativo ha evidenziato quanto segue:
"in tema di affidamento, mediante concessione, di servizi pubblici di
rilevanza comunitaria, il rispetto dei principi fondamentali
dell'ordinamento comunitario (ritraibili principalmente dagli
articoli 43 e 49 del trattato C.E.), nonché dei principi generali
che governano la materia dei contratti pubblici (enucleabili dalle
direttive in materie di appalti di lavori, servizi, forniture e
settori esclusi), impone all'amministrazione procedente di operare
con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la
non discriminazione delle imprese, mercé l'utilizzo di procedure
competitive selettive. A non diverse conclusioni in ordine alla necessità dello svolgimento di una procedura selettiva, si giunge
anche volendo considerare l'affidamento in esame come concessione di
costruzione e gestione di opera pubblica. E' stata, invero,
riconosciuta la portata generale della normativa sulle concessioni di
opere pubbliche prevista dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109: più specificamente, la disciplina dell'art. 19
è stata considerata come
lo statuto fondamentale dell'istituto della concessione di lavori,
che occorre applicare a prescindere dal metodo utilizzato per
l'affidamento ed anche se la concessione sia disposta con legge (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 1997, n. 584; Corte dei conti, sez.
contr. Stato, 8 giugno 2000, n. 55, secondo la quale ai sensi
dell'art. 20, comma 2, legge n. 109 del 1994 l'unico sistema per la
scelta del concessionario è quello della licitazione privata)".
In
evidente adesione alla tesi esposta, di cui costituisce punto di
emersione ricognitivo, la legge 24 novembre 2000, n. 340 (art. 21),
stabilisce che "per la costruzione e l'affidamento in gestione delle
infrastrutture autostradali si applicano le disposizioni che
recepiscono nell'ordinamento italiano la normativa comunitaria in
materia di lavori o di servizi".
6) Va inoltre ricordata la recente circolare di questo Dipartimento
(cfr. circolare n. 12727 in tema di affidamento a
società miste
della gestione di servizi pubblici locali, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale, n. 264 del 13 novembre 2001) che, con riferimento al
regime di gestione dei servizi pubblici locali anteriore alle
modifiche apportate all'art. 113 del decreto legislativo del 18
agosto 2000, n. 267 dall'art. 35 della legge finanziaria per il 2002
(legge 28 dicembre 2001, n. 448), ha precisato la normativa
applicabile in tema di affidamento della gestione di servizi pubblici
locali a società miste (pubblico - privato).
Nell'occasione, si è chiarito che la normativa europea in tema di
appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione
(e pertanto l'affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica
prescritte dalle norme comunitarie) solo quando manchi un vero e
proprio rapporto giuridico tra l'ente pubblico e il soggetto gestore,
come nel caso, secondo la terminologia della Corte di giustizia, di
delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale,
"in house" (cfr. Corte di giustizia, sentenza 18 novembre 1999, causa
C-107/98, Teckal).
In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente
locale ed una persona giuridica distinta, l'applicazione delle
direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l'ente
locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a
quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica)
realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente
o con gli enti locali che la controllano.
Segnatamente, ad avviso
delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s'intende un
rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione
di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando
sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente
pubblico sull'ente societario. In detta evenienza, pertanto,
l'affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza
ricorrere alla procedure di evidenza pubblica prescritte dalle
disposizioni comunitarie innanzi citate.
Al contrario, ove non ricorra un siffatto controllo gestionale ed
economico dell'ente pubblico sul soggetto gestore ma l'affidamento
riguardi un servizio in cambio della gestione dello stesso come
corrispettivo (e dunque configuri, secondo l'interpretazione della
commissione, una concessione di servizi) l'aggiudicazione del
servizio deve in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi
comunitari di trasparenza e di parità di trattamento che impongono
la necessità di seguire procedure di evidenza pubblica.
La necessità del rispetto delle prescrizioni comunitarie in
materia di evidenza pubblica è stata altresì sottolineata ancor più di recente dal
decreto 22 novembre 2001 dal Ministero
dell'Ambiente e dalla connessa circolare applicativa 17 ottobre 2001,
n. GAB/2001/11559/B01, concernenti le modalità di affidamento in
concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato, a
norma dell'art. 20, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36.
Va da ultimo ricordato che l'art. 35 della citata legge finanziaria
per l'anno 2002 ha ridisegnato in profondità il sistema
dell'affidamento dei servizi pubblici locali dando la stura ad un
rinnovato quadro normativo nel quale, per un verso, si stabilisce il
principio della separazione tra proprietà delle reti e delle
infrastrutture rispetto al compito di gestione del servizio e,
dall'altro, si subordina l'affidamento della gestione del servizio
pubblico di rilevanza industriale all'espletamento di procedure
selettive ispirate ai principi comunitari (cfr., in particolare, i
commi 5 e 7 dell'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448).
7) In secondo luogo, occorre richiamare l'ulteriore distinzione tra concessione di servizi e concessione di lavori, atta a stabilire se sia o meno applicabile la "direttiva lavori". Tale distinzione si basa su un criterio di "prevalenza funzionale" e implica che se un contratto di concessione riguarda la costruzione di un opera quale oggetto principale del contratto si tratterà di una concessione di lavori e, purché la soglia di applicazione della direttiva sia stata raggiunta (5.000.000 euro), verrà in rilievo il regime previsto dalla "direttiva lavori". Al contrario, se i lavori o la costruzione dell'opera sono meramente accessori rispetto all'oggetto principale del contratto rappresentato dalla gestione del servizio pubblico, non si applicherà la "direttiva lavori" in quanto le concessioni di servizi ricadono sotto l'applicazione delle norme e dei principi del Trattato (cfr. Comunicazione interpretativa, cit., punto 2.3 e Corte di giustizia, sentenza 19 aprile 1994, causa C-331/92 Gestion Hoteliere e sentenza 5 dicembre 1989, causa C-3/88, Data processing).
8) Questa distinzione viene in rilievo in particolare per le concessioni autostradali: anche per tali figure occorrerà stabilire se l'oggetto della concessione riguardi principalmente la costruzione di un'infrastruttura quale una nuova tratta autostradale, nel qual caso si tratterà di una concessione di lavori. Ove per converso il contratto dia vita ad un rapporto in cui l'aspetto gestionale ha rilievo predominante e contempli la realizzazione di lavori solo a titolo accessorio, si tratterà di una concessione di servizi. La qualifica di una concessione autostradale alla stregua di concessione di servizi comporta, in definitiva, il non assoggettamento, ai fini dell'attribuzione iniziale della concessione così come nell'ipotesi di proroga, alle direttive sugli appalti pubblici, ferma restando l'applicazione delle norme e dei principi del trattato CE, quali in particolare i principi di non discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo riconoscimento e di proporzionalità.
9) Del resto, è anche possibile che talune operazioni contemplino sia la realizzazione di un'opera o la realizzazione di lavori che la prestazione dei servizi. Per cui, a margine di una concessione di lavori, possono essere concluse delle concessioni di servizi per attività complementari ma indipendenti dalla gestione della concessione dell'opera. Ad esempio, i servizi di ristoro di un'autostrada possono essere oggetto di una concessione di servizi diversa dalla concessione di costruzione o di gestione dell'autostrada. Secondo la commissione quando gli oggetti dei contratti sono dissociabili, a ciascun tipo di contratto si applicano le norme ad esso relative (cfr. comunicazione interpretativa, cit., punto 2.3).
10) Nel rispetto di tali definizioni, il ricorso all'istituto concessorio da parte degli Stati non incontra limiti puntuali ma non rende libera la scelta del soggetto a cui affidare la concessione. A prescindere infatti dall'applicabilità di specifici regimi, tutte le concessioni ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex articoli da 30 a 36), da 43 a 55 (ex articoli da 52 a 66) del trattato o dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte. Si tratta in particolare dei principi di non discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo riconoscimento e proporzionalità così come risultano dalla costante tradizione giurisprudenziale della Corte europea che si è posta all'avanguardia nella loro elaborazione.
11) Il principio di parità di trattamento implica che le
amministrazioni concedenti pur essendo libere di scegliere la
procedura di aggiudicazione più appropriata alle caratteristiche del
settore interessato e di stabilire i requisiti che i candidati devono
soddisfare durante le varie fasi della procedura, debbano poi
garantire che la scelta del candidato avvenga in base a criteri
obiettivi e che la procedura si svolga rispettando le regole e i
requisiti inizialmente stabiliti (cfr. Corte di giustizia, sentenza
25 aprile 1996, causa C-87/94 Bus Wallons, punto 54).
La commissione
individua quali esempi di pratiche contrarie alla parità di
trattamento quelle che permettono l'accettazione di offerte non
conformi al capitolato d'oneri o modificate successivamente alla loro
apertura ovvero la presa in considerazione di soluzioni alternative
qualora la possibilità non sia stata prevista dal progetto iniziale.
La sottoposizione delle concessioni di servizi al principio di non
discriminazione, in particolare in base alla nazionalità, è stato
recentemente confermato anche dalla giurisprudenza comunitaria, che
ha precisato come l'obbligo di trasparenza a cui sono tenute le
amministrazioni consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale
offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l'apertura
degli appalti dei servizi alla concorrenza nonché il controllo
sull'imparzialità delle procedure di aggiudicazione (Corte di
giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, cit.,
considerato n. 62).
12) Il principio di trasparenza è strettamente legato a quello di
non discriminazione poiché garantisce condizioni di concorrenza non
falsate ed esige che le amministrazioni concedenti rendano pubblica,
con appropriati mezzi di pubblicità, la loro intenzione di ricorrere
ad una concessione.
Secondo le indicazioni della Commissione europea
(cfr. il punto 3.1.2 della comunicazione interpretativa) tali forme
di pubblicità dovranno contenere le informazioni necessarie affinché potenziali concessionari siano in grado di valutare il loro
interesse a partecipare alla procedura quali l'indicazione dei
criteri di selezione ed attribuzione, l'oggetto della concessione e
delle prestazioni attese dal concessionario. Spetterà poi in
particolare ai giudici nazionali valutare se tali obblighi siano
stati osservati attraverso l'adozione di appropriate regole o prassi
amministrative.
Per le concessioni di lavori, oltre alle indicazioni sopra
illustrate, la direttiva n. 93/37/CEE (art. 11) prevede un regime
particolare delle regole di pubblicità che si concretizzano
nell'obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di pubblicare
nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee un bando di
concessione secondo il modello previsto nella stessa direttiva al
fine di aprire tale contratto alla concorrenza a livello europeo. Una
volta adempiute tali pubblicità preliminari, la direttiva lascia
libere le amministrazioni concedenti di scegliere la procedura più appropriata, compresa la
possibilità di esperire una procedura
negoziata, mentre la legislazione nazionale (art. 20, comma 2, legge
n. 109 del 1994) prescrive, per l'affidamento delle concessioni di
lavori pubblici, la licitazione privata.
13) Anche il principio di proporzionalità
deve trovare
applicazione nella disciplina delle concessioni: ciò significa, in
particolare, che le amministrazioni concedenti devono adottare
provvedimenti necessari ed adeguati in relazione all'obiettivo
evitando di fissare requisiti professionali o finanziari
sproporzionati rispetto all'oggetto della concessione.
Il principio
trova applicazione anche per il profilo della durata della
concessione che non può eccedere il periodo necessario per
ammortizzare gli investimenti e remunerare i capitali, ferma restando
la permanenza del rischio di gestione sul concessionario come già in
precedenza illustrato (cfr. tribunale di primo grado, sentenza 8
luglio 1999, causa T-266/97, Vlaamse Televisie Maatschappij NV).
14) Il principio del mutuo riconoscimento implica per le concessioni che lo Stato nel cui territorio la prestazione è fornita deve accettare le specifiche tecniche, i controlli, i titoli e i certificati prescritti in un altro Stato nella misura in cui questi siano riconosciuti equivalenti a quelli richiesti dallo Stato membro destinatario della prestazione.
15) Il principio della tutela dei diritti fondamentali, rientrante
nelle tradizioni comuni agli Stati membri, esige che eventuali
provvedimenti di diniego adottati dalle amministrazioni in sede di
rilascio delle concessioni o di gestione delle procedure all'uopo
finalizzate debbano essere motivate e siano oggetto di ricorsi
giurisdizionali da parte di loro destinatari.
Per quanto riguarda in particolare le concessioni di lavori l'art.
1 della direttiva n. 89/665/CEE prescrive che qualora le decisioni
delle amministrazioni aggiudicatrici abbiano violato il diritto
comunitario in materia di appalti pubblici o le norme nazionali che
recepiscono tale diritto, gli Stati membri prendano i provvedimenti
necessari per garantire che tali decisioni possano essere oggetto di
un ricorso efficace e quanto più rapido possibile.
16) Tali essendo i principi ricavabili dall'ordinamento
comunitario, questo Dipartimento invita le amministrazioni
interessate a conformarsi alle ricordate prescrizioni in sede di
rilascio di provvedimenti concessori, di gestione delle relative
procedure selettive e di adozione degli eventuali conseguenti
provvedimenti di proroga o di rinnovo.
Si ricorda in particolare che, anche nell'eventualità di
concessioni non assoggettate alle prescrizioni dettate da specifiche
direttive o norme interne, la scelta del concessionario deve di
regola essere conseguente a una procedura competitiva e
concorrenziale ispirata ai principi dettati dal trattato istitutivo,
in modo da consentire, anche attraverso idonee forme di pubblicità,
la possibilità da parte delle imprese interessate di esplicare le
proprie chances partecipative.
Si rammenta in proposito che nel sistema comunitario il ricorso
alla scelta diretta del concessionario, in deroga ai principi fin qui
esposti, costituisce evenienza eccezionale, giustificabile solo in
caso di specifiche ragioni tecniche ed economiche che rendano
impossibile in termini di razionalità l'individuazione di un
soggetto diverso da quello prescelto.
Le stesse considerazioni sono
estensibili all'ipotesi di proroga delle concessioni già rese,
essendo nota l'equiparazione sancita dal diritto comunitario tra il
rilascio di nuova concessione e proroga della concessione in
scadenza.
Si segnala conclusivamente che le inosservanze delle regole
comunitarie sopra descritte potrebbero rendere lo Stato italiano
destinatario di procedure di infrazione da parte dell'Unione europea
ed imporre l'attivazione di consequenziali provvedimenti.
Roma, 1 marzo 2002
Il Ministro per le politiche comunitarie: Buttiglione
Registrato alla Corte dei conti il 12 aprile 2002 - Ministeri istituzionali, registro n. 4, foglio n. 105