CORTE DEI CONTI (Sezioni Riunite), Deliberazione n. 7 del 4 marzo 2003
Problematiche di attuazione dell’art. 24, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003): principi di indirizzo e coordinamento

LE SEZIONI RIUNITE IN SEDE DI CONTROLLO

nell’adunanza del 27 febbraio 2003

composte dai magistrati:

(omissis)

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni;
Vista la legge 20 dicembre 1996, n. 639;
Visto l’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286;
Visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo, approvato dalle Sezioni Riunite con deliberazione n. 14/DEL/2000 del 16 giugno 2000 (in G.U. – Serie generale n. 156 del 6 luglio 2000);
Vista la nota in data 17 febbraio 2003 con la quale, d’ordine del Presidente della Corte dei conti, le Sezioni Riunite in sede di controllo sono state convocate per la seduta odierna;
Udito il relatore, Consigliere Pietro DE FRANCISCIS;
Dopo ampia ed approfondita discussione,

HANNO DELIBERATO

di approvare l’unito documento, che fa parte integrante della presente deliberazione, riguardante:

“Problematiche di attuazione dell’art. 24, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003): principi di indirizzo e coordinamento”.

IL RELATORE

Cons. Pietro DE FRANCISCIS

IL PRESIDENTE

Francesco STADERINI

Depositata in Segreteria il 4/3/2003

IL DIRIGENTE

Giovanni SFORZA

Problematiche di attuazione dell’art. 24, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003): principi di indirizzo e coordinamento

E’ all’esame delle Sezioni Riunite in sede di controllo l’interpretazione dell’art. 24, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003) con le connesse implicazioni di carattere funzionale ed organizzativo con riguardo agli organi centrali e decentrati dell’Istituto.

1. Per una corretta impostazione del problema è indispensabile partire dalla effettiva collocazione della disposizione de qua, che è stata inserita nel capo I del titolo III della legge finanziaria per il 2003, concernente “Spese delle amministrazioni pubbliche”.

Gli articoli che vanno dal 23 al 31 sono tutti manifestamente ispirati ad un criterio di generalizzato contenimento delle spese, ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2003-2005.

In particolare l’art. 24, rubricato “Acquisto di beni e servizi” – applicando il principio pacificamente riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, secondo il quale gli Stati membri, nei rispettivi ordinamenti, possono adottare soluzioni normative più rigorose della disciplina comunitaria vigente – ha stabilito (comma 1) che le Amministrazioni aggiudicatrici di pubbliche forniture e di appalti pubblici di servizi sono tenute ad espletare procedure aperte o ristrette, con le modalità previste dalle norme nazionali di recepimento della normativa comunitaria, “anche quando il valore del contratto è superiore a 50 mila euro” (corrispondenti a 96.813.500 delle vecchie lire).

Da tale obbligo sono esentati (comma 2) i comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti, le pubbliche Amministrazioni che facciano ricorso alle convenzioni quadro definite dalla CONSIP S.p.a., ovvero al mercato elettronico di cui all’art.11 del d.P.R. 4 aprile 2002, n. 101 e le cooperative sociali, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 8 novembre 1991, n. 381.

Il riferimento posto dall’art. 24, comma 1 è, per le forniture, al decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358 (come modificato dal D. Lgs. 20 ottobre 1998, n. 402) e, per i servizi, al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 modificato, da ultimo, con D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 65.

Premesso che la soglia comunitaria per entrambi i comparti è pari a 200.000 euro (che scendono a 130.000 per gli appalti aggiudicati dalle Amministrazioni centrali dello Stato), il drastico abbassamento della soglia medesima testimonia l’intento del legislatore di estendere in modo consistente l’applicazione della disciplina di matrice europea “per ragioni di trasparenza e concorrenza”: si vuole, cioè, oggettivare il più possibile l’attività contrattuale delle pubbliche Amministrazioni, attraverso una tempestiva programmazione degli acquisti, adeguate forme di pubblicità (pubblicazione di bandi di gara indicativi e di avvisi di aggiudicazione) e criteri di scelta del contraente che siano in grado di incentivare il confronto concorrenziale, consentendo alle stazioni appaltanti di ottenere prezzi migliori.

E’ opportuno sottolineare che l’innovazione legislativa trova più consistente impatto nel settore degli appalti pubblici di servizi, nel quale – com’è noto – mancava una specifica disciplina dei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria. Nel comparto delle forniture, per contro, tale fascia contrattuale è coperta dal regolamento approvato con d.P.R. 18 aprile 1994, n. 573, che già prevedeva – soprattutto in materia di pubblicità e di bandi di gara – un ampio rinvio alle norme del citato D.Lgs. n. 358/1992 (art. 5, comma 6 e artt. 11, 12, 13 e 14).

A conferma della costante sfiducia del legislatore nei confronti della trattativa privata, appare significativa la circostanza che l’art. 7 del regolamento testé citato già prevedeva l’obbligo per le Amministrazioni aggiudicatici di informare, con una relazione semestrale, “i rispettivi organi di controllo dei motivi per i quali hanno fatto ricorso a procedure non concorrenziali”.

2.Alla medesima logica è riconducibile, sostanzialmente, la disposizione del comma 5 dell’art. 24 della legge finanziaria per il 2003, la quale – integrando il disposto dei commi 1 e 2 – stabilisce che “anche nelle ipotesi in cui la vigente normativa consente la trattativa privata, le pubbliche Amministrazioni possono farvi ricorso solo in casi eccezionali e motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato, dandone comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti”.

L’interpretazione logico-sistematica della norma consente di risolvere un primo dubbio posto dalla non perspicua formulazione del testo: destinatario della comunicazione non può che essere l’Organo di controllo della Corte dei conti (individuato dalla lettera della norma nella Sezione regionale della Corte dei conti), poiché la corrispondente Sezione giurisdizionale, per la sua intrinseca natura di organo giudicante, non può ricevere comunicazioni riguardanti il concreto svolgersi dell’attività amministrativa, che – semmai – andrebbero indirizzate ai corrispondenti uffici della Procura regionale.

A conforto di tale soluzione interpretativa può essere citato il comma 5 del precedente art. 23 della stessa legge finanziaria, il quale dispone che i provvedimenti di riconoscimento di debito – tradizionalmente considerati atti di straordinaria amministrazione, che il legislatore intende scoraggiare – “sono trasmessi agli organi di controllo ed alla competente Procura della Corte dei conti”; analogamente risulta chiaro, anche se implicito, il riferimento del comma 4 dell’art. 24 alla giurisdizione della Corte, là dove precisa che la stipula di contratti in violazione del comma 1 “è causa di responsabilità amministrativa” ed indica, altresì, uno specifico elemento per la determinazione del danno erariale.

Gli atti parlamentari, ancorché scarni, corroborano tale tesi, e ciò in quanto nella iniziale stesura della norma (Atto Camera n. 3200 – art. 13) si faceva riferimento ad una “preventiva comunicazione”; si deve ritenere che l’aggettivo sia, poi, stato espunto dal testo definitivo dell’art. 24, perché avrebbe provocato una pericolosa confusione con il controllo preventivo, in senso stretto, della Corte dei conti che – giova ricordarlo – viene esercitato esclusivamente, ai sensi dell’art. 3, comma 1 – lett. g) della legge 14 gennaio 1994, n. 20, sui contratti di appalto di forniture e servizi di importo superiore a 500.000 euro (pari ad 1/10 della soglia prevista per gli appalti di lavori).

Da quanto precede sembra potersi trarre l’ulteriore deduzione che la comunicazione di cui sopra è destinata alla Sezione regionale di controllo nella sede del controllo successivo sulla gestione.

3. A questo punto il discorso va opportunamente esteso ad un ulteriore profilo di particolare rilevanza e delicatezza.

Ed invero, l’espressione “pubbliche Amministrazioni” usata dal legislatore va posta in relazione con il vigente sistema dei controlli della Corte dei conti – previsto dall’art. 3 della legge n. 20 del 1994 e definito, nei suoi profili organizzativi, con il regolamento approvato dalle SS.RR. con deliberazione n. 14/2000 del 16 giugno 2000, pubblicata nella G.U. n. 156 del 6/7/2000 – che prevede (ai fini che qui rilevano) due distinte Sezioni centrali per l’esercizio, rispettivamente, del controllo preventivo di legittimità su atti e del controllo successivo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, ed una Sezione del controllo sugli Enti, oltre alle ricordate Sezioni regionali di controllo.

Queste ultime esercitano il controllo preventivo di legittimità ed il controllo successivo sulla gestione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato aventi sede nel territorio delle singole Regioni ed il solo controllo sulla gestione delle Amministrazioni regionali, degli enti territoriali e loro enti strumentali, nonché delle Università e delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nel territorio (art. 2, commi da 1 a 4, del citato regolamento di organizzazione).

Orbene, avuto riguardo al tenore letterale del comma 5 dell’art. 24, che si riferisce esplicitamente solo alle Sezioni regionali, si pone il quesito: quid juris per le Amministrazioni centrali dello Stato e per gli Enti pubblici di livello nazionale?

Non appare proponibile, ad avviso del Collegio, una interpretazione restrittiva del dettato normativo nel senso che i predetti soggetti siano estranei all’ambito di applicazione della norma e debbano, quindi, considerarsi esonerati dall’obbligo di comunicazione di cui alla disposizione citata.
Si realizzerebbe, in tal modo, una ingiustificata disparità di trattamento non solo tra Amministrazioni regionali ed enti locali, da una parte, e Amministrazioni centrali dello Stato, dall’altra, ma anche – il che sarebbe assolutamente incongruo – tra uffici centrali e decentrati dello stesso Ministero.

Appare, quindi, doveroso, oltre che rispettoso della ratio della norma (chiaramente ispirata all’esigenza di favorire la trasparenza di tutte le pubbliche Amministrazioni), integrare il disposto letterale del comma 5 dell’art. 24 ricomprendendo tra i soggetti destinatari della comunicazione gli altri Organi di controllo della Corte che, ai sensi della normativa vigente (legge n. 20 del 1994, commi da 4 a 8 e 12), già potevano considerarsi titolari di analoghi poteri di controllo.

Ciò stante, il riferimento fatto dalla predetta norma alle sole Sezioni regionali deve considerarsi non modificativo dell’articolazione delle competenze di controllo tra i diversi Organi centrali e decentrati dell’Istituto. Ne consegue che dell’obbligo di comunicazione dei contratti stipulati a trattativa privata dovranno essere destinatarie: 
a) le Sezioni regionali di controllo, per i contratti stipulati dalle Amministrazioni periferiche dello Stato e dalle Amministrazioni regionali e locali; 
b) la Sezione centrale del controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, attraverso i propri uffici, per i contratti stipulati dai Ministeri e dagli altri soggetti sottoposti, ai sensi della vigente legislazione, al controllo della Sezione medesima; 
c) la Sezione di controllo sugli enti, per i contratti stipulati dagli enti pubblici assoggettati al suo controllo.

4. Occorre ora definire l’ambito oggettivo di applicazione della disposizione in questione.

In via preliminare, appare opportuno precisare che la sopravvenienza della normativa in esame non incide in alcun modo sulla permanenza in vigore dell’obbligo per le Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato (art. 3, comma 1, lettera g della citata legge n. 20 del 1994 e successive modificazioni) di sottoporre al controllo preventivo di legittimità dei competenti uffici della Corte i decreti che approvano contratti di acquisto di forniture e servizi di importo superiore a 500.000 euro. La previsione normativa di cui all’art. 24, comma 5 della legge finanziaria afferisce, infatti, al ben diverso controllo successivo sulla gestione che i competenti Organi centrali o decentrati della Corte svolgono – peraltro, in modo non automatico e indifferenziato – nel contesto dei rispettivi programmi di attività.

In relazione a tale ultimo controllo, dubbi sono sorti in ordine alla configurabilità di una soglia minima oltre la quale scatterebbe l’obbligo di comunicazione alla Corte dei conti dell’acquisto a trattativa privata di beni e servizi che – ad una prima lettura del testo – non sembra collegato ad alcun limite di importo, ma riferito alla sola modalità di affidamento.

Anche per quanto attiene a questo specifico profilo, il Collegio ritiene preferibile l’interpretazione logico-sistematica della norma, rispetto a quella letterale che, tra l’altro, risulterebbe fortemente penalizzante in termini di correttezza dell’azione amministrativa, costringendo le pubbliche Amministrazioni ad inviare (e la Corte dei conti a ricevere) in modo massivo ed indiscriminato un numero verosimilmente rilevante di comunicazioni relative ad acquisizioni di piccolo e piccolissimo importo.

Sussistono, inoltre, molteplici elementi, anche di carattere testuale, che inducono a considerare il limite di valore di 50.000 euro, introdotto dall’art. 24, comma 1, come nuova soglia di carattere generale riguardante gli acquisti di beni e servizi indipendentemente dalla forma giuridica della loro acquisizione.

Tale interpretazione è confortata, innanzitutto, dalla circostanza che il ricordato comma 1 si riferisce soltanto alle procedure aperte o ristrette (asta pubblica, licitazione privata, appalto-concorso): ora – a meno di non voler ritenere che il legislatore abbia inteso abolire tout court le procedure negoziate (trattativa privata, con o senza pubblicazione di un bando di gara) per l’aggiudicazione di forniture e servizi di importo superiore a 50.000 euro - appare evidente che la disposizione di cui al successivo comma 5 ha carattere integrativo della precedente, come testimoniato dall’uso della congiunzione “anche” che precede il richiamo alle “ipotesi in cui la vigente normativa consente la trattativa privata”.

Le due disposizioni vanno quindi lette congiuntamente, come del resto conferma il successivo comma 9 dell’art. 24, il quale stabilisce che “ le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 5 costituiscono, per le Regioni, norme di principio e di coordinamento”.

5. Il riconosciuto carattere di generalità della soglia di 50.000 euro comporta, come ulteriore conseguenza, che l’obbligo di comunicazione ex art. 24, comma 5, non può non riguardare anche le procedure in economia per l’acquisizione di beni e servizi, da ultimo disciplinate con d.P.R. 20 agosto 2001, n. 384, il quale ne consente l’utilizzazione fino al limite di importo di 130.000 euro (IVA esclusa).

Pur considerando che tale comparto è stato tradizionalmente distinto dalla attività contrattuale propriamente detta della P.A. e disciplinato con apposite norme di natura regolamentare ad iniziativa delle singole Amministrazioni, appare incongruo ritenere che le innovazioni introdotte con il ripetuto art. 24 della legge finanziaria per il 2003 non si applichino al comparto medesimo.

Oltre alle considerazioni relative alla gerarchia delle fonti ed alla successione delle leggi nel tempo, nel caso di specie si rinvengono ulteriori elementi a sostegno della tesi estensiva, quali la finalità, perseguita dall’art. 24, di generale contenimento delle spese per la salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica, e la stessa rubricazione della norma che è manifestamente ispirata ad un criterio sostanziale (“Acquisto di beni e servizi”) a prescindere dalle diverse forme in cui le singole acquisizioni siano effettuate.

Al riguardo giova sottolineare, altresì, che il citato d.P.R. n. 384/2001 aveva elevato i previgenti limiti di importo per le procedure in economia a 130.000 euro, prendendo manifestamente a riferimento proprio la soglia oltre la quale le Amministrazioni dello Stato (ed equiparate) erano tenute ad applicare la disciplina comunitaria: ciò posto, in presenza di una sopravvenuta disposizione di legge, finalizzata ad incentivare la trasparenza e la concorrenza nell’acquisto di beni e servizi, che abbassa la predetta soglia a 50.000 euro, sarebbe illogico escludere dal nuovo assetto normativo il settore delle spese in economia.

Opinando diversamente si altererebbe la preesistente simmetria del sistema, creando un rilevante favor per le procedure in economia, che inevitabilmente potrebbero subire un artificioso incremento (in ragione della disciplina meno rigorosa rispetto alla ordinaria attività contrattuale) e dare luogo a comportamenti elusivi da parte delle Amministrazioni procedenti.

Ai fini che qui interessano va ribadito, quindi, che nelle ipotesi in cui l’acquisizione di beni e servizi sia effettuata con il sistema del cottimo fiduciario (le cui procedure sono assimilabili alla trattativa privata e già prevedono), in via ordinaria, il necessario esperimento di una preventiva indagine di mercato) le Amministrazioni sono tenute ad effettuare la comunicazione ex art. 24, comma 5 ai competenti Organi di controllo della Corte dei conti, ogni volta che il relativo importo superi i 50.000 euro.

Per completezza deve aggiungersi che l’obbligo di comunicazione riguarda anche i soggetti menzionati dal comma 2 dell’art. 24, i quali pur se “sono esclusi dall’obbligo di cui al comma 1” (espletare procedure aperte o ristrette con le modalità previste dalla normativa comunitaria), devono comunicare alla Corte dei conti gli acquisti di beni e servizi superiori a 50.000 euro, effettuati a trattativa privata o – come appena precisato – mediante cottimi fiduciari. Tale soluzione si fonda – da un lato – sulla eccezionalità della trattativa privata e sul dimostrato carattere generale della soglia di 50.000 euro stabilita dal legislatore e, dall’altro lato, sul principio secondo il quale le norme che dispongono esenzioni sono di stretta interpretazione.

Infine è opportuno ribadire, allo scopo di evitare possibili equivoci o fraintendimenti, che la Corte dei conti – al di là dell’obbligo di comunicazione che incombe alle Amministrazioni – conserva pienamente le attribuzioni ad essa intestate in materia di controllo successivo sulla gestione, sia al di sopra che al di sotto della ripetuta soglia di 50.000 euro.

In tale senso, indagini settoriali o intersettoriali potranno comunque essere programmate e realizzate, di propria iniziativa, dai competenti organi centrali e decentrati, specie con riferimento a gestioni contrattuali che non raggiungano il predetto limite di importo, in ordine alle quali la Corte potrà “richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia…” ed “…effettuare o disporre ispezioni e accertamenti diretti” ai sensi dell’art. 3, comma 8, della legge n. 20 del 1994 e successive modificazioni.

6. Conclusivamente il Collegio ravvisa l’esigenza di chiarire quali debbano essere il contenuto ed i tempi della comunicazione ex art. 24, comma 5, atteso che la norma non fornisce alcuna indicazione in merito.

Avuto riguardo alle attività istruttorie che la Sezione centrale di controllo sulla gestione, la Sezione del controllo sugli enti o le singole Sezioni regionali intenderanno svolgere in esito alle comunicazioni ricevute, si ritiene che queste ultime non possano ridursi a mere informazioni epistolari, ma debbano riportare tutti gli elementi costitutivi del contratto (soggetti contraenti, oggetto, importo, durata, clausole penali), nonché l’indicazione delle eccezionali circostanze e dei motivi che hanno giustificato il ricorso alla trattativa privata, unitamente ai dati relativi alla indagine di mercato preventivamente esperita, in stretta aderenza con il dettato normativo.

Esse confluiranno ordinatamente e secondo omogenei criteri di classificazione in apposite banche-dati che consentano ai competenti organi della Corte di effettuare una adeguata attività di monitoraggio, finalizzata alla realizzazione di referti solleciti e significativi.

Per quanto concerne, poi, i tempi di invio delle comunicazioni medesime, nel silenzio della legge, occorre riportarsi agli atti parlamentari – già richiamati, ad altri fini, sub 2. – che, a pagina 42 della relazione illustrativa, testualmente precisano con riferimento all’art. 13 (poi divenuto art. 24): “Il comma 5, inoltre, prevede, per le pubbliche amministrazioni che eccezionalmente ricorrano alla trattativa privata, l’obbligo di darne contestuale comunicazione alla Sezione regionale della Corte dei conti”.

Siffatta locuzione - pur essendo priva di valore precettivo – esprime, tuttavia, in modo inequivoco l’intento del legislatore di conferire all’obbligo di comunicazione un carattere di immediatezza rispetto al momento del giuridico perfezionamento della fattispecie contrattuale.

Esaminando quest’ultimo profilo unitamente alla circostanza dell’avvenuta soppressione, nel testo definitivo dell’art. 24, dell’aggettivo “preventiva”, appare ragionevole concludere che, se – per un verso – non si è voluto dare alla predetta comunicazione un significato condizionante dell’efficacia dell’attività amministrativa, per l’altro verso è fuor di dubbio che tale adempimento debba essere soddisfatto con la massima tempestività dall’amministrazione procedente allorché l’obbligazione sia stata perfezionata.

Conseguentemente, i competenti Uffici della Corte potranno formulare osservazioni alle Amministrazioni controllate, qualora emergano ingiustificati ritardi o disfunzioni ricorrenti nell’inoltro delle comunicazioni medesime, tali da integrare violazioni del principio del buon andamento dei pubblici uffici, sancito dall’art. 97, comma primo, della Costituzione.