Presidenza
del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica
Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Segretario generale 1. Premessa. La
pubblica amministrazione è stata, negli ultimi anni, protagonista di un
processo di assimilazione all'impresa privata, pur nel riconoscimento della
sostanziale differenza delle finalità perseguite, dal punto di vista delle
logiche organizzative. Il mutamento della visione organizzativa
dell'amministrazione ha comportato, da un lato, la contrattualizzazione del
rapporto di lavoro dei propri dipendenti e, dall'altro, l'attribuzione alla
dirigenza di un ruolo diverso, con la conseguente assunzione dei poteri del
privato datore di lavoro nella gestione delle risorse umane, per giungere,
anche, all'esercizio di tali poteri nell'ambito organizzativo vero e proprio.
Da ciò derivano il potere e l'onere attribuiti ai dirigenti di attendere
all'organizzazione dei propri uffici e delle risorse loro attribuite, secondo
la previsione dell'art. 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il
quale prevede, al comma 2, che «Nell'ambito delle leggi e degli atti
organizzativi di cui all'art. 2, comma 1, le determinazioni per
l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti
di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità ed
i poteri del privato datore di lavoro». In questo contesto, si è sviluppato
il ricorso alle tipologie lavorative cosiddette «flessibili» ed alle
collaborazioni esterne ex art. 2222 del codice civile, come previste dall'art.
7, comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001 «Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»
e, per le amministrazioni locali, dall'art. 110, comma 6, del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali», anche al fine di rispondere agilmente a bisogni
qualificati e temporanei senza per questo dover aumentare il numero del
personale stabilmente in servizio. L'attivazione di tali contratti non sempre
è stata in linea con i principi dell'ordinamento e, in particolare, con
quanto più volte dichiarato dalla giustizia contabile. La crescita del
fenomeno e l'utilizzo improprio delle collaborazioni portano questa
amministrazione ad intervenire con la presente direttiva, posto che già il
legislatore in sede di legge finanziaria, art. 34 della legge 27 dicembre
2002, n. 289 e art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, è intervenuto con
disposizioni restrittive ai fini del contenimento della spesa (90% del
triennio 1999-2001). Per quanto concerne i rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa, si pongono all'attenzione delle amministrazioni
diversi problemi relativi, in primo luogo, all'individuazione dei presupposti
che legittimano il ricorso alla collaborazione, poi alla valutazione di
eventuali tutele non previste dall'ordinamento che, però, possono essere
introdotte nei singoli contratti in virtù dell'autonomia contrattuale
attribuita ai contraenti e, in ultimo, alla corretta gestione degli
adempimenti fiscali e previdenziali. In relazione a quest'ultimo aspetto, è
necessario ricordare come l'avvenuta assimilazione dei rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa al lavoro dipendente per gli aspetti
fiscali, operata dall'art. 34 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che ha
modificato il testo unico delle imposte sui redditi, e che si riverbera anche
sugli aspetti previdenziali, non incide sulla qualificazione giuridica del
rapporto. Infine, è opportuno in tale sede richiamare la recente riforma del
mercato del lavoro, attuata dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276,
che ha introdotto la figura del lavoro a progetto con la finalità di
arginare, nel settore privato, l'abuso delle attuali collaborazioni coordinate
e continuative che per questa ragione andranno ricondotte alla modalità «a
progetto» in ragione della autonomia del collaboratore. Occorre, però,
chiarire già adesso che il decreto legislativo citato, come già disposto
dalla legge delega 14 febbraio 2003, n. 30, ha sancito espressamente l'inapplicabilità
delle disposizioni ivi contenute alle pubbliche amministrazioni ed al loro
personale e, nell'art. 86, comma 8, ha, inoltre, previsto che il Ministro per
la funzione pubblica convochi le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i
profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore del decreto
legislativo, anche ai fini della eventuale predisposizione di provvedimenti
legislativi nella materia. Si rappresenta con l'occasione che lo scorso 5
marzo si è dato corso all'avvio del processo di armonizzazione con un atto di
indirizzo all'ARAN per la stipula di un contratto collettivo nazionale quadro. 2. Presupposti. La ricognizione sulla necessità che le amministrazioni
verifichino l'esistenza dei presupposti che legittimano il ricorso ai rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa scaturisce dalla considerazione
che il ricorso a tali tipologie contrattuali è sensibilmente aumentato. Da
elaborazioni effettuate dall'ARAN (1) sui dati Si. Co. del Ministero
dell'economia e delle finanze, relativamente all'utilizzo degli istituti di
lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni, per il biennio 2000-2001,
sono emerse indicazioni significative sull'andamento del fenomeno, che è
caratterizzato da una sensibile crescita della spesa nel 2002, rispetto a
quella già alta registrata nel 2001. L'ampiezza della variazione può essere
solo parzialmente giustificata dalla specificità del settore e delle funzioni
esercitate, mentre deve sollecitare tutte le amministrazioni ad una attenta
riflessione sulle scelte organizzative finora poste in essere. Dalla lettura
delle disposizioni di cui all'art. 7, comma 6, del decreto legislativo n.
165/2001 e all'art. 110, comma 6, del decreto legislativo n. 267/2000, si
evidenzia la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione solo per
prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata
autonomia nel loro svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di
lavoro autonomo. Come ricordato in alcuni precedenti pareri (2) dell'ufficio
per il personale delle pubbliche amministrazioni, l'elemento dell'autonomia
dovrà risultare prevalente, poiché in caso contrario sarebbero aggirate e
violate le norme sull'accesso alla pubblica amministrazione tramite concorso
pubblico, in contrasto con i principi costituzionali (articoli 51 e 97
Costituzione), principi ribaditi dalla Corte costituzionale in diverse
decisioni, nonché il principio, anch'esso costituzionale, di buon andamento
ed imparzialità dell'azione amministrativa (art. 97 Costituzione). Tale
connotazione del rapporto di collaborazione è stata ravvisata, in più
occasioni, anche dalla Corte dei conti, sezione controllo enti, che già nella
deliberazione n. 33 del 22 luglio 1994, aveva rappresentato la necessità di
evitare che l'affidamento di incarichi a terzi si traducesse in forme atipiche
di assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento e
delle norme in materia di contenimento della spesa. L'affidamento
dell'incarico a terzi potrà dunque avvenire nell'ipotesi in cui
l'amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e
temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al
suo interno. Al riguardo, soccorre nuovamente la consolidata giurisprudenza
della Corte dei conti, la quale ha ribadito l'impossibilita' di affidare,
mediante rapporti di collaborazione, i medesimi compiti che sono svolti dai
dipendenti dell'amministrazione, proprio al fine di evitare una duplicazione
delle funzioni ed un aggravio di costi. I principi guida elaborati dalla Corte
e, da ultimo, espressamente richiamati dalla sezione giurisdizionale per il
Veneto (3), relativamente alla eventualità di un danno erariale per
affidamento di consulenze e delle correlate responsabilità, possono essere
così riassunti quali condizioni necessarie per il conferimento degli
incarichi: rispondenza dell'incarico agli obiettivi dell'amministrazione
conferente; impossibilità per l'amministrazione conferente di procurarsi
all'interno della propria organizzazione le figure professionali idonee allo
svolgimento delle prestazioni oggetto dell'incarico, da verificare attraverso
una reale ricognizione; specifica indicazione delle modalità e dei criteri di
svolgimento dell'incarico; temporaneità dell'incarico; proporzione fra
compensi erogati all'incaricato e le utilità conseguite dall'amministrazione.
Inoltre, deve ritenersi che tali condizioni debbano tutte ricorrere perché
l'incarico possa essere considerato conferito lecitamente e senza incorrere
nell'ipotesi del danno erariale. Tale necessità, oltre a rispondere alla
ratio delle norme prima richiamate, è stata affermata esplicitamente dalla
stessa Corte (4). Gli
elementi individuati dalla Corte dovranno risultare dal contratto, infatti, in
ossequio alla regola generale in virtù della quale i contratti stipulati con
la pubblica amministrazione debbono essere stipulati per iscritto,
l'attribuzione di un incarico di collaborazione risulterà da atto scritto,
nel quale saranno indicati l'oggetto della prestazione e la durata della
collaborazione. Questa dovrà essere commisurata all'oggetto della prestazione
e potrà essere determinata con precisione o per relationem. E' ammissibile
una proroga del contratto quando sia funzionale al raggiungimento dello scopo
per il quale il contratto era stato posto in essere. Al riguardo, si ricorda
che non si tratta di una proroga ai sensi del decreto legislativo 6 settembre
2001, n. 368, in quanto la fattispecie rientra nell'ambito del lavoro autonomo
e non subordinato. Al contrario, una successione indiscriminata e non
giustificata di proroghe o di rinnovi sarebbe evidentemente illegittima. La necessità di ricorrere ad un incarico di collaborazione esterna, e nello
specifico di collaborazione coordinata e continuativa, deve costituire,
dunque, un rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari per le
quali l'amministrazione necessita dell'apporto di apposite competenze
professionali. Infatti, diversamente, l'ordinamento ha fornito alle
amministrazioni gli strumenti con i quali far fronte ad esigenze organizzative
che esulino da tale eccezionalità e costituiscano, invece, delle necessità
costanti. Infatti, queste sono obbligate ad individuare i fabbisogni duraturi
o frequenti nell'ambito di provvedimenti di analisi e programmazione triennale
dei fabbisogni, nonché tramite l'aggiornamento periodico dei profili
professionali in relazione ai mutamenti istituzionali e ai nuovi fabbisogni
quando vengano ad assumere un carattere permanente. Tale necessità emerge
anche dalle indicazioni della Corte dei conti che ha avuto modo di
sottolineare come la proroga del rapporto di incarico a personale esterno
debba essere considerata una fattispecie assolutamente eccezionale
(5). Può
essere utile, infine, nell'ambito della ricognizione delle professionalità
esistenti all'interno dell'amministrazione, verificare la possibilità e la
convenienza di formare o aggiornare personale interno sottoutilizzato o da
riconvertire, in attuazione del principio guida che discende dalle finalità
indicate dall'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001 e, in
particolare, per «realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane».
Pertanto, le procedure previste dai processi di progressione economica
orizzontale e le procedure concorsuali attinenti le progressioni verticali
dovranno tenere conto dei nuovi fabbisogni di professionalità che assumano le
caratteristiche della permanenza e necessità. 3. Oggetto dell'incarico. Una particolare
attenzione debbono porre le amministrazioni nell'individuare l'oggetto
dell'incarico di collaborazione, ossia il contenuto della prestazione.
Pertanto, volendo con più precisione cercare di circoscrivere il campo delle
attività che possono essere affidate ad esterni, si deve partire dall'art. 7,
comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001, il quale si riferisce «ad
esperti di provata competenza», per giungere alla considerazione che deve
trattarsi di prestazioni di elevata professionalità, quindi di prestazioni
d'opera intellettuale da affidarsi, ad esempio, ma non solo, a coloro che
esercitano un'attività' per la quale è richiesta una abilitazione
all'esercizio della professione e l'iscrizione in appositi albi, oppure di
prestazioni di altro tipo non reperibili nel settore pubblico. Deve, poi,
sottolinearsi come il rapporto di collaborazione, caratterizzandosi per
l'assenza di un vincolo di subordinazione fra committente e prestatore d'opera
e, quindi, nel senso dell'autonomia, impedisce che con tale strumento siano
affidati i compiti di gestione e di rappresentanza, che costituiscono le
attribuzioni tipiche dei funzionari e dei dirigenti della pubblica
amministrazione, i quali sono, invece, in rapporto di subordinazione con il
datore di lavoro-amministrazione e, pertanto, agiscono secondo gli indirizzi
impartiti e gli obiettivi assegnati, rispondendo del loro operato «secondo le
leggi penali, civili e amministrative» (art. 28 Costituzione), laddove nel
caso dell'inadempienza contrattuale del collaboratore la sola conseguenza
possibile sarà il recesso del committente secondo le norme generali (articoli
1453, 2227 e 2237 del codice civile). Ad esempio, poiché il collaboratore
coordinato e continuativo difetta del requisito indispensabile dell'incardinazione,
in mancanza di una eventuale ed espressa procura, non potrà mai agire per
conto dell'amministrazione. Infatti, l'art. 417-bis del codice di procedura
civile conferisce la rappresentanza in giudizio ex lege delle pubbliche
amministrazioni nelle controversie di pubblico impiego ai soli «dipendenti»
delle amministrazioni e, cioè, a tutti coloro legati da un vincolo di
subordinazione ed incardinati nell'amministrazione da difendere. Pertanto, il
soggetto esterno all'amministrazione agirebbe quale falsus procurator (per
quanto riguarda la disciplina civilistica, cfr. articoli 1398 e 1399 del
codice civile). Occorre ricordare, inoltre, come l'attribuzione di un incarico
di collaborazione, al di fuori delle condizioni indicate dalla Corte dei conti
e delle fattispecie ora ricordate, comporti una serie di conseguenze a carico
del dirigente che ne è responsabile. Infatti, costui potrebbe essere chiamato
a rispondere, oltre che per l'eventuale responsabilità per danno erariale,
anche per i profili attinenti alla responsabilità amministrativa, nonché in
sede civile qualora l'incarico abbia dissimulato un rapporto di lavoro
dipendente, poiché l'ordinamento prevede la tutela risarcitoria nei limiti di
cui all'art. 2126 del codice civile. 4. Elementi caratteristici del rapporto. Come noto, il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa non trova
una definizione specifica nel codice civile. La principale fonte normativa che
soccorre in materia di collaborazioni coordinate e continuative è l'art. 409,
comma 3, del codice di procedura civile, il quale ha esteso la disciplina
delle controversie individuali di lavoro ai rapporti di agenzia, di
rappresentanza commerciale, nonché ad altri rapporti di collaborazione «che
si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata e
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato ...». Da tale
norma ha preso spunto il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul c.d.
lavoro parasubordinato e sulla sua definizione come categoria dotata di una
propria autonomia concettuale rispetto alla classica dicotomia lavoro
autonomo/lavoro subordinato. La stessa espressione «parasubordinazione»
utilizzata dal legislatore, infatti, implica senza dubbio una affinità con il
lavoro subordinato dal punto di vista socio-economico (sostanziale dipendenza
dal datore di lavoro). Peraltro, una lettura sistematica delle fonti normative
citate non può che ricondurre anche i rapporti di c.d. parasubordinazione al
campo del lavoro autonomo, pur con tutte le peculiarità via via espressamente
enucleate dallo stesso legislatore (6). Ed invero, l'art. 409, comma 3, del
codice di procedura civile colloca i rapporti di «collaborazione» nettamente
al di fuori dello schema tipico del lavoro subordinato ex art. 2094 del codice
civile, tant'è che la giurisprudenza di legittimità è orientata ad
attribuire rilevanza meramente processuale alla categoria della
parasubordinazione, nel senso della esclusiva automatica applicabilità delle
sole norme dettate per il lavoro subordinato in materia di competenza e di
rito (ivi, ovviamente, compreso l'art. 429, comma 3, del codice di procedura
civile), e con esclusione delle norme sostanziali che disciplinano il rapporto
di lavoro subordinato (si veda Cass. n. 2426/95, n. 1459/97 e, da ultimo,
Cass. n. 5941/2004, in tema di inapplicabilità dell'art. 2126 del codice
civile alle prestazioni svolte in situazioni di autonomia, sia pure aventi le
caratteristiche della parasubordinazione, potendo il lavoratore autonomo
avvalersi unicamente dell'azione per indebito arricchimento). Venendo all'esame degli
elementi caratteristici del rapporto, l'art. 409, comma 3, del codice di
procedura civile individua i tre aspetti peculiari che caratterizzano il
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa che, in sintesi, possono
così evidenziarsi: continuità, in contrapposizione alla occasionalità,
quale prestazione che si protrae nel tempo e la cui durata deve essere
definita in sede negoziale; coordinazione, che, secondo la giurisprudenza
della Corte di cassazione, è costituita dal vincolo funzionale tra l'opera
del collaboratore e l'attività del committente e comporta una stretta
connessione con le finalità di quest'ultimo; prestazione prevalentemente
personale, in virtù della quale il ricorso a propri collaboratori risulta
decisamente limitato. Ai fini della presente nota, rileva anche la definizione
normativa contenuta nell'art. 50, lettera c-bis, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, quando indica la prestazione di
collaborazione coordinata e continuativa, nella specie: «A favore di un
determinato soggetto, nel quadro di un rapporto unitario, con retribuzione
periodica prestabilita». Il vero criterio distintivo del rapporto di lavoro in
esame può essere individuato nella mancanza del vincolo di subordinazione,
come risulta invece disciplinato negli articoli 2094, 2086 e 2104 del codice
civile. In tali disposizioni, la dipendenza del lavoratore subordinato dal
proprio datore di lavoro ed il potere direttivo di questi assumono un ruolo
primario. Le norme fanno espresso riferimento ad una subordinazione gerarchica
che, per sua natura, rappresenta un vincolo strettamente personale che si
riflette, nella normalità dei casi, in una limitazione della sfera di azione
del lavoratore. Si tratta, quindi, di una limitazione al potere decisionale,
organizzativo, di scelta, etc., del lavoratore subordinato in ordine all'attività
dallo stesso svolta nell'ambito della realtà operativa in cui è inserito,
che si manifesta attraverso le imposizioni fissate nell'esercizio del proprio
potere direttivo dal datore di lavoro che riguardano diversi aspetti della
prestazione lavorativa: determinazione dell'orario di lavoro, modalità di
esecuzione della prestazione, controllo del rispetto delle regole impartite,
comminazione di sanzioni disciplinari, etc., individuando concretamente i
compiti e rendendoli, pertanto, esigibili. In assenza di tali dirimenti
criteri, si sarà in presenza di una prestazione lavorativa il cui titolare
presta la propria opera senza vincolo di subordinazione. Ciò significa che il
collaboratore non deve essere in alcun modo limitato nel proprio potere
decisionale in ordine alla esecuzione del servizio prestato, sebbene il
committente non possa essere totalmente estromesso da qualsiasi scelta che
riguardi l'esecuzione dell'opera o del servizio pattuito potendo, invece,
verificare e controllare le modalità di esecuzione delle attività affidate,
al solo fine di valutare la rispondenza del risultato con quanto richiesto e
la sua funzionalità rispetto agli obiettivi prefissati. Tale attività non
deve essere trascurata perché attiene alla verifica dei risultati che debbono
essere conseguiti ed alla valutazione sull'utilità della collaborazione. Sulla natura dei rapporti, se di lavoro autonomo o subordinato, soccorre anche
la giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale, partendo dalla
considerazione che il solo nomen iuris, quale esplicazione del principio
dell'affidamento delle parti, non consente di identificare completamente la
natura della prestazione, è giunta a fornire indicazioni concrete per
l'individuazione della natura subordinata della prestazione. (7) A ciò
occorre, inoltre, aggiungere il fatto che il potere di coordinazione può
variare di intensità, non potendo essere il medesimo per prestazioni diverse,
al punto da doverne chiarire, di volta in volta, il contenuto. Per quanto
concerne, infine, la distinzione fra collaborazione coordinata e continuativa
e prestazione occasionale è opportuno dare un'interpretazione sistematica
dell'art. 61 del predetto decreto legislativo n. 276/2003, al fine di
individuare con precisione quest'ultima fattispecie. La circolare del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali (n. 1 dell'8 gennaio 2004)
conferma come l'art. 61 del decreto legislativo n. 276/2003 non è intervenuto
sulla disciplina dettata dagli articoli 2222 e seguenti del codice civile, né
«sostituisce e/o modifica l'art. 409, n. 3, del codice di procedura civile,
bensì individua, per l'ambito di applicazione del decreto, e nello specifico,
della medesima disposizione, le modalità di svolgimento della prestazione del
collaboratore, utile ai fini della qualificazione della fattispecie nel senso
della autonomia o della subordinazione». Pertanto, il lavoro a progetto si
caratterizza come un rapporto di lavoro peculiare rispetto allo schema tipico
del lavoro autonomo, caratterizzato dal potere di coordinamento del
committente, pur rimanendo al di fuori della cornice dell'art. 2094 del codice
civile. L'art. 61, inoltre, limita la propria disciplina alla fattispecie
individuata dall'art. 409, comma 3 del codice di procedura civile, stabilendo
che questi rapporti dovranno essere ricondotti alle diverse ipotesi del lavoro
subordinato o del lavoro a progetto, salvo il caso in cui non ci si trovi
nella fattispecie della prestazione meramente occasionale introducendo un dato
quantitativo di identificazione relativo al numero di giornate lavorative
presso lo stesso committente e all'entità' del compenso percepito nell'anno. Tale disposizione produce, dunque, effetti sotto il profilo probatorio,
poiché superati tali limiti il datore di lavoro dovrà, eventualmente,
dimostrare che la prestazione resa era riconducibile alla categoria del lavoro
autonomo in quanto mancavano i requisiti della continuità o personalità o
inserimento funzionale ecc. In altri termini, qualora un prestatore d'opera
superi i limiti individuati al comma 2 del citato art. 61 non necessariamente
vedrà inquadrato il proprio rapporto di lavoro quale lavoro a progetto, o, in
assenza degli elementi essenziali di tale schema contrattuale, quale lavoro
subordinato, poiché invece potrebbe avere reso una o più prestazioni d'opera
ai sensi dell'art. 2222 del codice civile e seguenti, oppure una prestazione
di lavoro occasionale, la quale, pur rientrando nella categoria del lavoro
autonomo (art. 2222 e seguenti del codice civile) costituisce fattispecie
diversa dalla prestazione professionale o dall'esercizio di un'arte o dalla
collaborazione coordinata e continuativa. Essa si caratterizza per la occasionalità e saltuarietà, tali che il compenso che ne deriva non
può
essere considerato la forma principale di reddito. Infatti, il testo unico
delle imposte sul reddito (art. 81, lettera l, d.P.R. n. 917/1986) definisce i redditi occasionali quali quelli
«derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente». La
prestazione non viene effettuata, dunque, in maniera continuativa e l'attività
del prestatore non si coordina con i fini del committente. Pertanto, gli unici
elementi in comune con la collaborazione coordinata e continuativa possono
essere considerati l'assenza del vincolo di subordinazione e la libertà di
organizzare la prestazione fuori da vincoli di orario. Sempre in relazione
all'art. 61 ed alla fattispecie del lavoro a progetto, vale la riflessione che
il legislatore ha voluto sottolineare come l'utilizzo di tali tipologie di
prestazione debba essere agganciato al contesto organizzativo tipico delle
aziende, in quanto la collaborazione deve inserirsi in specifici progetti,
coincidere con essi o svolgersi al loro interno. Deve però aggiungersi che
anche le pubbliche amministrazioni sono profondamente orientate da logiche
programmatorie, finalizzate al controllo delle attività ed alla valutazione
dei risultati, pertanto l'utilizzo delle collaborazioni esterne dovrebbe già
naturalmente inserirsi nell'ambito di attività oggetto dell'indirizzo
politico-amministrativo che trovano logica attuazione attraverso la
definizione di obiettivi strategici ed obiettivi operativi. Pertanto, anche
alla luce dei principi contenuti nel decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
286, in materia di controllo, la motivazione che sottende l'attivazione della
collaborazione dovrebbe far riferimento a programmi, progetti o fasi di essi. Infine, anche per gli altri aspetti disciplinati nel citato art. 61, va
comunque ricordato come tali disposizioni non si applichino alle pubbliche
amministrazioni ed al personale da esse dipendente, stante l'espressa e
puntuale esclusione operata dall'art. 1, comma 2, del decreto n. 276/2003. 5.
Connotazione particolare rispetto al lavoro subordinato. Rispetto alla
distinzione fra rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e
rapporto di lavoro subordinato, oltre agli elementi già richiamati
dell'assenza del vincolo di subordinazione e dell'autonomia nell'eseguire la
prestazione, e opportuno ricordare come non sia possibile applicare
automaticamente gli istituti tipici del lavoro subordinato. In primo luogo,
non è possibile considerare un obbligo di prestazione oraria e il relativo
controllo delle presenze. Se è pur vero che potrebbe essere necessario un
inserimento del collaboratore nell'organizzazione del committente, poiché
debbono essere garantiti uno o più risultati continuativi che si integrino in
tale organizzazione, ciò dovrà comunque avvenire in presenza di una gestione
autonoma del tempo di lavoro da parte del collaboratore. In altri termini, l'attività
del collaboratore può anche svolgersi in un luogo diverso da quello nel quale
opera l'organizzazione che fa capo al committente, venendo questi in contatto
con l'organizzazione solo nei tempi utili allo svolgimento della sua
collaborazione. Da ciò deriva che al collaboratore non può essere richiesta
alcuna attestazione della propria presenza nei luoghi nei quali si svolge l'attività
del committente. Infatti, il collaboratore non entra a far parte
dell'organizzazione del committente e, nel caso in cui il committente sia una
pubblica amministrazione, questi non può in alcun modo essere considerato un
suo dipendente. Dalle considerazioni appena svolte deriva, quindi,
l'impossibilità di attribuire giorni di ferie, trattandosi di un istituto tipicizzato nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato. Emerge, da ciò,
anche l'impossibilità, per il committente, di scegliere o programmare il
periodo di riposo in maniera unilaterale, sebbene, a tal riguardo, nella
convenzione di collaborazione potrebbe essere inserita la possibilità di
sospendere la prestazione per un determinato periodo di tempo, soprattutto
laddove il collaboratore utilizzi, per lo svolgimento della propria attività,
le strutture, gli impianti e gli strumenti del committente, tanto nel rispetto
del vincolo di non subordinazione, quanto nell'osservanza del principio di
coordinamento con l'attività, gli obiettivi e l'organizzazione del
committente. Anche per quanto concerne l'attribuzione dei buoni pasto, le
considerazioni già svolte debbono indurre ad una esclusione dei collaboratori
coordinati e continuativi dalla titolarità di tale diritto. Come noto,
l'erogazione di buoni pasto spetta al personale contrattualizzato dipendente
della pubblica amministrazione a fronte di un orario di lavoro articolato sui
cinque giorni lavorativi ed in assenza di un servizio mensa o altro servizio
sostitutivo presso la sede lavorativa (si veda l'art. 2, comma 11, della legge
28 dicembre 1995, n. 550, legge finanziaria 1996). Potrà, invece, essere
previsto nel contratto un apposito rimborso spese, in quanto istituto tipico
nei rapporti di lavoro autonomo, qualora ne ricorrano i presupposti. Per
quanto concerne le trasferte, l'assimilazione del collaboratore coordinato e
continuativo operata dal testo unico delle imposte sui redditi (sulla non
estensione di tali effetti rispetto agli istituti tipici del lavoro
subordinato si rinvia al paragrafo n. 7 della presente circolare relativo al
trattamento fiscale) al lavoratore dipendente determina l'applicazione, a
decorrere dal 1° gennaio 2001, delle regole sui rimborsi analitici valide per
la generalità dei lavoratori dipendenti. La circolare ministeriale n. 207 del
16 novembre 2000 del Ministero delle finanze, dispone che «sarà applicabile
anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa la disciplina
delle trasferte contenuta nell'art. 51, comma 5 del TUIR, in ordine ai limiti
oltre i quali le indennità di trasferta concorrono a formare reddito
imponibile ...». Riguardo l'ambito territoriale della trasferta, dal 1°
gennaio 2001, si fa riferimento alla sede di lavoro del committente, se questa
è chiaramente identificabile dal contratto, o al domicilio fiscale del
collaboratore, se non è possibile individuare in modo chiaro la sede di
lavoro. Tale posizione è confermata anche dalla circolare dell'Agenzia delle
entrate n. 58/E del 18 giugno 2001, laddove si afferma che: «La sede di lavoro
è quella che risulta dal contratto. Di norma la sede di lavoro coincide con
una delle sedi del datore di lavoro ... nei casi in cui non è possibile
individuare puntualmente la sede di lavoro né identificare tale sede con
quella della società (committente) è possibile far riferimento, ai fini
dell'applicazione del comma 5 dell'art. 51 del TUIR, al domicilio fiscale del
collaboratore». Dall'analisi dell'art. 51, comma 5, del testo unico delle
imposte sui redditi, le principali regole per la gestione dell'istituto della
trasferta e dei rimborsi spese possono essere così riassunte: 1) trasferta
fuori dal territorio del comune: l'indennità erogata in modo forfetario non
concorre a formare il reddito nella misura massima giornaliera di Euro 46,48
(o Euro 77,47 in caso di trasferta all'estero), cosiddetto rimborso spese con
il metodo forfetario; il limite di esenzione di cui sopra è ridotto di un
terzo nel caso in cui sono rimborsate: le spese di vitto o le spese di
alloggio oppure il vitto o l'alloggio siano forniti gratuitamente; se le spese
di vitto e alloggio sono rimborsate entrambe, allora il limite di esenzione si
riduce di 2/3; nessuna riduzione deve essere operata nel caso in cui manchi il
pernottamento per il fatto che la trasferta sia inferiore alle 24 ore. Rimane
naturalmente l'obbligo di ridurre di 1/3 la quota di esenzione nel caso in cui
il vitto sia fornito gratuitamente o rimborsato (metodo rimborso misto); il
rimborso delle spese documentate per vitto, alloggio, viaggio e trasporto, non
concorrono a formare il reddito indipendentemente dall'ammontare (metodo
rimborso a piè di lista o analitico); in alternativa, le altre spese
rimborsate, anche non documentabili, non concorrono alla formazione del
reddito, nel limite di Euro 15,49 al giorno (Euro 25,82 per le trasferte
all'estero); 2) trasferta nell'ambito del comune: le indennità o i rimborsi
per le trasferte nell'ambito del comune concorrono a formare il reddito
(fiscale e previdenziale), ad eccezione dei rimborsi spese di trasporto
comprovabili con idonea documentazione proveniente dal vettore (biglietti
dell'autobus, ricevuta fax, ecc.). E' interamente assoggettato a tassazione
l'eventuale rimborso delle spese di trasporto effettuato attraverso la
corresponsione di un'indennità chilometrica, in quanto manca la
documentazione proveniente dal vettore. 6. Autonomia contrattuale. La non applicabilità alle «co.co.co.» nel settore pubblico della riforma del lavoro,
di cui al decreto legislativo n. 276/2003, pone due interrogativi di fondo:
che tipo di tutela hanno oggi i titolari di rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa con la pubblica amministrazione e quale sia il
percorso giuridico attuabile per giungere a quella «armonizzazione» degli
istituti necessaria e conseguente alla riforma del lavoro di cui al decreto
legislativo citato (art. 86, comma 8). Con riferimento al primo punto, va
ribadito in questa sede che, anche con riferimento ai c.d. «co.co.co.», la
norma generale di cui al secondo comma dell'art. 36 del decreto legislativo n.
165/2001 impedisce a priori (indipendentemente dall'applicabilità senz'altro
da escludersi del decreto legislativo n. 276/2003 alla pubblica
amministrazione) l'operatività di qualsivoglia meccanismo di automatica
conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, come invece stabilito per il settore privato dall'art. 69,
decreto legislativo n. 276/2003. L'art. 36 citato, infatti, stabilisce che la
violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di
lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la
costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime
pubbliche amministrazioni. Ogni dubbio di incostituzionalità di detta
disciplina che potrebbe sorgere sotto il profilo della violazione degli
articoli 3 e 97 della Costituzione (disuguaglianza tra lavoratori privati e
pubblici e violazione del principio di buon andamento della pubblica
amministrazione) è stato definitivamente superato dalla Corte costituzionale
che, giudicando sulla costituzionalità dell'art. 36 cit. con riferimento alla
analoga disciplina dei contratti a termine e della possibilità della loro
conversione, in caso di stipulazione al di fuori dei presupposti e limiti di
legge, in contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ha ritenuto
infondata la questione ritenendo che, anche dopo l'intervenuta privatizzazione
del rapporto di impiego dei pubblici dipendenti, permangono differenze tra il
rapporto di pubblico impiego e quello di lavoro privato; in primis in materia
di instaurazione del rapporto di lavoro pubblico, la cui disciplina è
improntata al principio fondamentale, totalmente estraneo al rapporto di
lavoro privato, dell'accesso mediante concorso, enunciato dall'art. 97, comma
3, Costituzione, principio posto a presidio delle esigenze di imparzialità e
buon andamento dell'amministrazione (cfr. Corte costituzionale, sentenza 27
marzo 2003, n. 89). Pertanto, anche con riferimento alla disciplina dei
contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la scelta del
legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti
l'assunzione dei lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni (quale
sarebbe l'automatica conversione del rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato)
conseguenze diverse rispetto a quelle operanti nel settore privato risulta
pienamente giustificata dalla disomogeneità delle situazioni lavorative
dedotte. In conclusione, la tutela attualmente accordabile al collaboratore
delle amministrazioni pubbliche, nel caso di stipulazione del contratto al di
fuori dei presupposti di legge, non potrà mai determinarsi la conversione in
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma potrà estrinsecarsi
esclusivamente in forma risarcitoria e cioè nei limiti di cui all'art. 2126
del codice civile (e solo qualora il contratto di collaborazione abbia la
sostanza del rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto del
lavoratore a tutte le differenze retributive e alla ricostruzione della
posizione contributiva e previdenziale). In tal caso, si potrebbe certamente
configurare una responsabilità amministrativa del dirigente che ha stipulato
il contratto di co.co.co. illegittimo, con addebito del danno erariale
verificatosi. Sulla configurabilità in concreto di una siffatta
responsabilità si rileva che: per quanto riguarda la condotta del dirigente,
è principio ormai consolidato che l'attribuzione ad esterni di incarichi
rientranti nell'ordinaria attività dell'ente e senza la preventiva
individuazione delle specifiche (e temporanee) finalità da perseguire
costituisca comportamento perseguibile ai fini della sussistenza della
responsabilità amministrativa (cfr., ex plurimis, Corte conti sez. Puglia n.
244 del 21 marzo 2003); con riferimento al dolo o alla colpa grave (art. 1,
legge 14 gennaio 1994, n. 20), la consolidata giurisprudenza della Corte dei
conti (come già richiamata all'inizio) pone un limite netto e preciso alla
utilizzabilità di incarichi di consulenza e collaborazione esterna, per cui
non potrà certamente parlarsi di «errore professionale scusabile» (si veda
Corte conti, sez. Terza n. 24 del 28 gennaio 2003, che ritiene la sussistenza
di colpa di rilevante gravità da parte degli amministratori quando si tratta
di incarichi concernenti l'assolvimento di normali compiti amministrativi; si
veda, inoltre, Corte conti sez. Lazio n. 2137 del 21 ottobre 2003, che limita
l'ammissibilità del ricorso ad incarichi esterni in caso di «necessità
straordinarie che esulano dalle ordinarie conoscenze dell'ufficio» e di
«manifesta insufficienza delle risorse interne a soddisfare la specifica
esigenza»); maggiori problemi sorgono con riferimento alla sussistenza o meno
del danno erariale ed alla sua quantificazione, dal momento che, utilizzando
parametri prettamente civilistici, si potrebbe sostenere che, comunque, le
somme dovute al collaboratore ex art. 2126 del codice civile (e cioè a fronte
della provata illegittimità del contratto di co.co.co. perché si sostanzia,
nei fatti, in un rapporto di lavoro subordinato vero e proprio) sono il
corrispettivo di una attività lavorativa prestata in favore dell'ente, il
quale se ne è comunque avvantaggiato. L'art. 1-bis della legge 14 gennaio
1994, n. 20, infatti, stabilisce che nel giudizio di responsabilità, oltre al
potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti
dall'amministrazione. Va però detto come la Corte dei conti abbia sempre
affermato che nei rapporti pubblicistici il parametro di valutazione della
c.d. «utilità gestoria» non può essere automaticamente equiparato a quello
meramente civilistico, ma deve tenere conto dei parametri fissati dalla legge
a tutela dei preminenti interessi pubblici (8); conseguentemente non
è
configurabile un arricchimento dell'ente - da opporre in compensazione - in
relazione a prestazioni lavorative effettuate in posizioni di status contra
legem (cfr. Corte conti sez. II 5 luglio 2002, nn. 225 e 226; Corte conti sez.
Abruzzo 3 aprile 2003, nn. 162; si veda anche Corte conti sez. Toscana 5
dicembre 2002 n. 929/rel, in cui viene ritenuta la non perseguibilità - ai
fini della responsabilità amministrativa - dell'affidamento di un incarico di
co.co.co. di comandante di corpo di polizia municipale a soggetto sprovvisto
del titolo di studio per accedere a tale qualifica, sulla base della
sinallagmaticità delle prestazioni erogate dall'amministrazione, dal momento
che la specifica e prolungata esperienza del lavoratore andava a supplire la
carenza del titolo di studio). Anche in tale caso (in cui c'è un apparente
contrasto con le massime prima riportate), dunque, la Corte non ha valutato
tout court il vantaggio economico dell'attività lavorativa svolta, ma lo ha
fatto solo in quanto ha «salvato» a monte il contratto di co.co.co.,
ritenendo, come si è visto, superabile il profilo di illegittimità della
carenza del titolo di studio. In
conclusione, la posizione dei collaboratori coordinati e continuativi delle
amministrazioni pubbliche è senz'altro più debole rispetto al settore
privato, dove il decreto legislativo n. 276/2003 impone oggi condizioni di
stipulazione assai più rigorose (prima fra tutte, la necessità di un
progetto connesso all'incarico) e prevede il meccanismo (anche sanzionatorio
per il datore di lavoro) della conversione automatica in rapporto subordinato
a tempo determinato sin dalla data della stipulazione del contratto L'amministrazione, tuttavia, sia in virtù della propria funzione volta alla
realizzazione di interessi pubblici, sia in virtù dell'espresso richiamo del
legislatore (che nell'art. 86, comma 8, decreto legislativo n. 276/2003,
demanda al Ministro per la funzione pubblica il compito di esaminare a livello
collettivo le modalità di attuazione - «armonizzazione» - delle novità della
riforma con riferimento alla pubblica amministrazione) appare comunque tenuta,
anche con riferimento alla disciplina dei rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa, ad adottare criteri che impediscano un uso elusivo
e distorto di tale forma contrattuale. Senz'altro utile potrà essere una
specifica ed analitica indicazione dei criteri da seguire anche in coerenza
con quanto previsto dal decreto legislativo n. 276/2003 e delle linee guida
che emergono dalla copiosa giurisprudenza della Corte dei conti in materia
dalle Amministrazioni che vogliano utilizzare contratti di collaborazione
coordinata e continuativa. Non potrà, invece, l'autonomia collettiva
prevedere in linea di principio meccanismi di automatica conversione a
sanatoria di situazioni pregresse o comunque verificabili, vigendo i limiti
costituzionali nell'accesso per pubblico concorso, l'imparzialità' e il buon
andamento della pubblica amministrazione sopra enunciati. Una clausola
contrattuale di questo tenore sarebbe, infatti, nulla per violazione di norme
imperative di legge ex art. 1418 del codice civile nonché per quanto previsto
all'art. 36, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001. 7. Adempimenti
conseguenti alla stipula di contratti di collaborazione coordinata e
continuativa. Le pubbliche amministrazioni che conferiscono incarichi di
lavoro autonomo da svolgersi in forma coordinata e continuativa sono tenute,
al pari dei committenti privati, agli adempimenti di natura fiscale,
previdenziale ed assicurativi previsti dalle rispettive discipline di settore.
Sono tenute, inoltre, in caso di instaurazione di rapporti di lavoro autonomo
in forma coordinata e continuativa, a dare comunicazione contestuale al centro
territoriale competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di
lavoro. In tale comunicazione sono indicati i dati anagrafici del lavoratore,
la data di stipula e di cessazione del contratto, la tipologia contrattuale,
nonché il trattamento economico e normativo, secondo le disposizioni
contenute nel comma 2 del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito
dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, come sostituito dall'art. 6, comma 2,
del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297. Riguardo alle richiamate
modalità della comunicazione, si dovrà fare riferimento alle indicazioni che
saranno a tal fine fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
7.1. Trattamento fiscale. Come noto, l'art. 34 della legge 21 novembre 2000,
n. 342, collegato fiscale alla legge finanziaria per l'anno 2000, ha aggiunto
all'art. 47 del testo unico delle imposte sui redditi, decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, la lettera c-bis, operando così la
trasformazione dei redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata
e continuativa da redditi da lavoro autonomo a redditi assimilati a quelli da
lavoro dipendente. Attualmente, a seguito del riordino del testo operato dal
decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, la disciplina dei redditi
assimilati a quelli da lavoro dipendente è rinvenibile all'art. 50 del testo
unico delle imposte sui redditi. Riguardo al nuovo regime, occorre, in primo
luogo, ricordare come le modifiche riguardino il solo profilo fiscale senza
incidere sulla disciplina del rapporto contrattuale. La nuova qualificazione
fiscale comporta, da un lato, la cessazione della ritenuta fissa del 20% a
titolo d'acconto dell'IRPEF e, dall'altro, il calcolo di una ritenuta operato
sulla base delle aliquote progressive per scaglioni di reddito, contenute
nell'art. 11 del testo unico delle imposte sui redditi, all'atto del pagamento
del compenso. Ne discende, in sede di determinazione dell'imponibile fiscale,
la non concorrenza dei contributi previdenziali (comma 2, art. 51 del TUIR) e
l'abbandono della deduzione forfetaria del 5 o 6 per cento; mentre, in sede di
tassazione del reddito, si avrà l'applicazione degli scaglioni e delle
aliquote IRPEF valide per i redditi di lavoro dipendente e l'applicazione
delle detrazioni previste dagli articoli 13 e 14 del testo unico delle imposte
sui redditi, nonché delle deduzioni previste, dalla legge finanziaria per
l'anno 2003, all'art. 10-bis (ora art. 11). Sempre relativamente all'aspetto
fiscale, occorre ricordare come non si possano considerare rientranti nella
fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa le prestazioni
tipiche di lavoro dipendente o quelle relative all'esercizio di una
professione. Infatti, in quest'ultimo caso, laddove la prestazione sia
riconducibile ad attività per le quali necessitano conoscenze
tecnico-giuridiche che le facciano rientrare nell'esercizio di attività di
lavoro autonomo esercitata abitualmente, i compensi così percepiti saranno
soggetti alla disciplina fiscale relativa ai redditi da lavoro autonomo. 7.2.
Tutela previdenziale. La legge di riforma del sistema pensionistico
obbligatorio e complementare, di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, ha
disposto, all'art. 2, comma 26, l'iscrizione in una apposita gestione separata
presso l'I.N.P.S. dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa con la finalità di estendere, fra gli altri, anche a tali
soggetti l'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i
superstiti. Il contributo, inizialmente dovuto nella misura stabilita dal
comma 29 dell'art. 2 della legge n. 335/1995, è stato successivamente
rideterminato come indicato dall'art. 51 della legge 23 dicembre 1999, n. 448,
che ha modificato il comma 16 dell'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n.
449. Il contributo continua, invece, ad essere determinato nella misura del
10% per coloro che siano iscritti ad altra gestione pensionistica obbligatoria
o che siano pensionati. Attualmente, con la circolare I.N.P.S. n. 56/2004,
l'aliquota contributiva per l'anno 2004, appunto, è stabilita in 17,80% sino
al limite di Euro 37.883,00 e al 18,80% per la quota eccedente sino al
massimale di Euro 82.401,00. L'aliquota prevista e quella aggiuntiva seguono
sempre la ripartizione tra committente e collaboratore di 2/3 e 1/3, così
come previsto dall'art. 1, comma 2, del decreto Ministeriale n. 281/1996,
«Regolamento recante modalità e termini per il versamento del contributo
previsto dall'art. 2, comma 30, della legge 8 agosto 1995, n. 335». Il
committente è tenuto a versare il contributo dovuto anche per la parte che
resta a carico del collaboratore, attraverso i modelli e le scadenze previste.
Sempre per effetto delle disposizioni del comma 29, il contributo si applica
sul reddito delle attività determinato con i medesimi criteri utilizzati ai
fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e, pertanto, il contributo
previdenziale viene calcolato sul valore lordo del compenso, al fine di far
coincidere la base imponibile previdenziale con la base imponibile IRPEF
(circolare INPS n. 32 del 7 febbraio 2001). L'INPS, con la circolare n. 16 del
2001, ha inoltre disposto che i committenti procedano ad un'unica denuncia
annuale da presentarsi entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello di
effettuazione della collaborazione, anche per le collaborazioni cessate nel
corso dell'anno. La denuncia, da effettuarsi tramite i modelli predisposti
dall'ente, dovrà contenere i dati identificativi del committente, il
riepilogo dei versamenti effettuati durante l'anno, nonché i dati relativi al
collaboratore ed ai contributi dovuti in relazione ai mesi per i quali è
stato corrisposto il compenso. L'assimilazione dei redditi derivanti dalle
collaborazioni coordinate e continuative ai redditi da lavoro dipendente si
riverbera anche negli adempimenti previdenziali, infatti per effetto del
mutamento di regime operato dall'art. 34 della legge 21 novembre 2000, n. 342,
tutti i riferimenti contenuti nelle disposizioni emanate anteriormente
dovranno riferirsi ora all'art. 50 del d.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917. Il decreto del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale del 4 aprile 2002, che ha abrogato il precedente decreto
ministeriale del 27 maggio 1998, ha disegnato una nuova disciplina che, ai
sensi dell'art. 80, comma 12, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, adegua,
per i lavoratori iscritti alla gestione separata dell'INPS, la tutela relativa
alla maternità ed agli assegni al nucleo familiare alle forme ed alle
modalità previste per il lavoro dipendente. L'assegno di maternità viene
corrisposto alle lavoratrici, che possono far valere i seguenti requisiti: non
essere iscritte a nessuna altra gestione previdenziale obbligatoria né essere
pensionate; essere iscritte alla gestione separata, con il pagamento del
contributo previdenziale addizionale dello 0,50% previsto per il finanziamento
delle prestazioni per la maternità e dell'assegno per il nucleo familiare;
vantare almeno tre mensilità contributive, accreditate nei dodici mesi
precedenti i due mesi anteriori alla data del parto. Inoltre, l'indennità di
maternità: è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia;
spetta anche in caso di adozione o affidamento, per i tre mesi successivi
all'ingresso nella famiglia del bambino che, al momento dell'affidamento o
dell'adozione, non abbia superato i sei anni di età; spetta anche nei casi di
adozione o affidamento preadottivo internazionale, per i tre mesi successivi
all'ingresso del minore nella famiglia, anche se, quest'ultimo, abbia superato
i sei anni di età e fino al compimento della maggiore età. E', inoltre,
prevista anche l'indennità di paternità, sempre a partire dal 1° gennaio
1998, in favore del padre iscritto alla gestione separata INPS, in possesso
dei requisiti previsti di cui sopra, per i tre mesi successivi alla data
effettiva del parto o per il periodo residuo che sarebbe spettato alla madre,
in caso di morte o grave infermità o di abbandono, nonché in caso di
affidamento esclusivo del bambino al padre. L'indennità di malattia per i
periodi di degenza ospedaliera, prevista dalla legge n. 488/1999 per gli
iscritti alla gestione separata che versano il contributo aggiuntivo dello
0,50%, a partire dal 1° gennaio 2000, è stata disciplinata dal decreto del
Ministero del lavoro del 12 gennaio 2001. Con tale decreto si stabilisce,
appunto, sempre nel rispetto delle condizioni contributive previste per
l'assegno di parto, la misura dell'indennità di malattia che va commisurata
alle mensilità contributive accreditate. L'indennità spetta per ogni giorno
di degenza presso strutture ospedaliere pubbliche e private accreditate dal
Servizio sanitario nazionale ovvero presso strutture estere se autorizzate dal
Servizio sanitario nazionale stesso; essa spetta, inoltre, fino ad un massimo
di 180 giorni nell'anno solare. L'assegno per il nucleo familiare è previsto
dall'art. 4 del decreto ministeriale del 28 gennaio 1998, ai soggetti iscritti
alla gestione separata INPS. L'assegno spetta in misura proporzionale al
numero e al reddito dei componenti il nucleo. Il reddito familiare da
considerare è costituito dalla somma dei redditi di ciascun componente il
nucleo, con esclusione dei redditi prodotti dai figli maggiorenni e del
coniuge legalmente separato. Non devono, inoltre, essere considerate le
rendite INAIL, le pensioni di guerra e l'indennità di accompagnamento degli
invalidi civili. L'importo dell'assegno viene erogato in misura decrescente in
rapporto agli scaglioni crescenti di reddito che annualmente vengono
rivalutati. Pertanto, sono state disposte delle tabelle in base alle quali è
possibile stabilire l'importo dell'assegno per varie tipologie familiari.
L'assegno viene erogato per i mesi dell'anno che risultano coperti da
contribuzione. Tutte le indennità previste dall'INPS sono erogate, a
richiesta del soggetto che ne ha diritto, inoltrando apposita domanda presso
le competenti sedi INPS. 7.3. Tutela assicurativa. Le pubbliche
amministrazioni che abbiano stipulato rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa debbono tener conto che tali collaboratori sono soggetti agli
obblighi assicurativi qualora svolgano una delle attività previste dall'art.
1 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, testo
unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
e le malattie professionali, secondo quanto disposto dall'art. 5 del decreto
legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, pertanto sono tenute a tutti gli
adempimenti posti a carico dei datori di lavoro dal citato testo unico. In
pratica, si tratta delle attività già indicate nell'art. 4 del testo unico,
integrate dalle attività nelle quali vi sia utilizzo non occasionale di
veicoli a motore per l'esercizio delle mansioni affidate. Il committente è
tenuto alla denuncia di esercizio nella quale, oltre ad essere riportati tutti
gli elementi utili alla valutazione del rischio, debbono essere indicati i
nominativi dei collaboratori, la misura dei compensi e la durata del rapporto
di collaborazione. Inoltre, provvederà al pagamento periodico del premio alle
scadenze previste, alla eventuale denuncia di infortunio o malattia
professionale, nonché alla denuncia di cessazione del rapporto di lavoro. Il
premio assicurativo è ripartito fra i contraenti nella misura di un terzo a
carico del lavoratore e di due terzi a carico del committente ed è calcolato
sull'ammontare dei compensi effettivamente percepiti. Poiché, come già
richiamato in precedenza, l'art. 34 della legge n. 342/2000 ha fatto
transitare nella sfera dei redditi di lavoro dipendente i redditi derivanti
dalle collaborazioni coordinate e continuative, la base imponibile ai fini
assicurativi si è adeguata al nuovo inquadramento normativo riferendosi,
attualmente, alle disposizioni contenute nell'art. 52 del testo unico delle
imposte sui redditi relative ai redditi assimilati a quelli da lavoro
dipendente: «... è costituito da tutte le somme ed i valori in genere, a
qualunque titolo percepite nel periodo di imposta, anche sotto forma di
erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro». Ai fini
dell'individuazione del tasso applicabile all'attività svolta dal lavoratore,
si deve fare riferimento «a quello dell'azienda, qualora l'attività' stessa
sia inserita nel ciclo produttivo; in caso contrario, a quello dell'attività
effettivamente svolta». In altre parole: qualora l'attività del collaboratore
sia riferibile ad una delle posizioni assicurative già denunciate dal
committente, si applicherà il tasso in vigore per detta posizione; in caso
contrario, si applicherà il tasso medio previsto per la corrispondente voce
tariffaria prevista dalle tabelle INAIL. Stante la formulazione della
disposizione di cui all'art. 5 del citato decreto legislativo n. 38/2000, deve
ritenersi che i committenti siano tenuti all'obbligo di registrazione sui
libri matricola e paga anche per i collaboratori coordinati e continuativi. In
tal senso, si è espresso anche il Ministero del lavoro e della previdenza
sociale, con nota del 2 gennaio 2001, nella quale è indicata la possibilità
di semplificare la tenuta dei libri paga e matricola per tali lavoratori,
considerata la particolarità della prestazione non riconducibile a quella del
lavoro dipendente. La presente direttiva è inviata all'Ispettorato per la
funzione pubblica, al quale è demandata dall'ordinamento vigente l'attività
di vigilanza e verifica della conformità dell'azione amministrativa ai
principi di imparzialità e buon andamento, nonché dell'osservanza delle
disposizioni vigenti sul controllo dei costi, dei rendimenti e dei risultati,
ai sensi dell'art. 13, comma 1, del decreto ministeriale 30 dicembre 2002,
recante: «Organizzazione interna del Dipartimento della funzione pubblica». Roma, 15 luglio 2004 Il Ministro per la funzione pubblica Mazzella Registrato
alla Corte dei conti il 4 agosto 2004 Ministeri istituzionali, Presidenza del
Consiglio dei Ministri, registro n. 9, foglio n. 18 (1) Si veda il sito www.aranagenzia.it «Gli istituti di lavoro flessibile nella pubblica
amministrazione e nelle autonomie locali. Indagine quantitativa sul biennio
2000-2001» a cura di D. Di Cocco - P. Mastrogi - S. Tomasini.
CIRCOLARE 15 luglio 2004, n. 4
Collaborazioni coordinate e
continuative. Presupposti e limiti alla stipula dei contratti. Regime fiscale
e previdenziale. Autonomia contrattuale
(G.U. n. 203 del 30 agosto 2004)
Alle
amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo
Al Consiglio di
Stato - Ufficio del segretario generale
Alla Corte dei conti - Ufficio del
segretario generale
All'Avvocatura generale dello Stato - Ufficio del
segretario generale
Alle Agenzie
All'ARAN
Alla Scuola superiore della pubblica
amministrazione
Agli enti pubblici non economici (tramite i Ministeri
vigilanti)
Agli enti pubblici (ex art. 70 del decreto legislativo n. 165/2001)
Agli enti di ricerca (tramite il Ministero dell'istruzione, dell'università e
della ricerca)
Alle istituzioni universitarie (tramite il Ministero
dell'istruzione, dell'università e della ricerca)
e, per conoscenza: Alla
Conferenza dei presidenti delle regioni All'ANCI All'UPI
(2) Si veda il sito www.funzionepubblica.it alla voce
lavoro pubblico.
(3) Si veda Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il
Veneto, 3 novembre 2003, n. 1124/2003 su Giornale di diritto amministrativo n.
1/2004. Sui medesimi principi si rinvia, inoltre, a: Corte dei conti, sez. I, 18
gennaio 1994, n. 7; sez. I 7 marzo 1994, n. 56; sezioni riunite, 12 giugno 1988,
n. 27; sez. II 22 aprile 2002, n. 137; sez. controllo enti, 22 luglio 1994, n.
33.
(4) Corte dei conti, sezioni unite, 12 giugno 1988, n. 27.
(5) Corte dei conti, sez. contr. enti, 28 aprile 1992, n.
19.
(6) Per i richiami normativi sui rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa via via susseguitisi, si vedano principalmente: legge
n. 335/1995 (c.d. Riforma Dini del sistema previdenziale), che ha incluso tale categoria di
lavoratori tra quelli tenuti ad iscriversi (in mancanza di altra copertura
previdenziale) alla gestione separata di cui all'art. 2 (c.d. quarta gestione
INPS: art. 3, comma 26), prevedendo un'aliquota previdenziale inferiore a
quella vigente per i rapporti di lavoro subordinato (10% iniziale poi
destinata a crescere fino al 20%, mentre quella normale oscilla intorno al
33%); legge n. 449/1997 (art. 59, comma 16), che ha esteso ai collaboratori
autonomi iscritti alla gestione separata di cui sopra anche le prestazioni
dell'assegno per maternità e dell'assegno per il nucleo familiare legge n.
448/1999 (prestazioni anche in caso di malattia con degenza ospedaliera);
decreto legislativo n. 38/2000 (art. 5: obbligo per i datori di lavoro di
denunciare i lavoratori parasubordinati all'INAIL, per estendere anche a loro
la tutela dell'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro); legge
n. 342/2000, che ha previsto l'assimilazione dal 1° gennaio 2001 dal punto di
vista fiscale dei redditi parasubordinati a quelli da lavoro dipendente, con
la possibilità di beneficiare delle detrazioni e delle esclusioni dalla
formazione della base imponibile previste per i dipendenti nonché la
valutazione omogenea anche dei compensi in natura.
(7) Si veda Cassazione Sez. unite civili, sent. n. 61 del
13 febbraio 1999.
(8) cfr. Corte conti, sez. riun. 18 dicembre
1996 n. 80/a su Rivista Corte conti 1997, fasc. 1. 67, Foro amm. 1997, 1834.