MINISTERO
DELL'INTERNO - COMITATO DI COORDINAMENTO PER L'ALTA SORVEGLIANZA DELLE GRANDI
OPERE
Comunicato del 19 dicembre 2012
Linee Guida concernenti la
comunicazione alla stazione appaltante degli accertamenti effettuati ai sensi
dell'art.
1-septies del D.L. 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726
(G.U. n. 17
del 21 gennaio 2013)
1. Considerazioni generali
1.1. Il
d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218, pubblicato nella
G.U.R.I. del 13 dicembre 2012, ha recato una serie di disposizioni
correttive e integrative della disciplina della documentazione
antimafia, contenuta nel
Libro II del d.lgs. 6 settembre 2011,
n. 159 (nel
prosieguo anche «Codice antimafia»), stabilendone l'entrata
in vigore
a decorrere dal 12 febbraio 2013 (cfr. il novellato
art. 119, comma
1, del d.lgs. n. 159/2011) e sancendo, a decorrere dallo stesso
termine, l'abrogazione del
d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490,
nonché del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.
Tra le altre novità introdotte, il citato decreto «correttivo»
ha espunto dalle norme destinate ad essere soppresse anche l'art.
1-septies del
d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726. Si
tratta di una
disposizione che, come è noto, dopo la cessazione dell'Alto
Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza
mafiosa (1), attribuisce al Ministro dell'Interno, che ne ha
delegato l'esercizio ai Prefetti (2) , il potere di
comunicare, alle
altre Amministrazioni, elementi di fatto e altre indicazioni
utili ai
fini della valutazione, nei limiti della discrezionalità ammessa
dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il
rilascio o il
rinnovo di licenze ed altri atti ampliativi in alcuni settori
considerati «sensibili» (armi ed esplosivi, albi e pubblici registri
ivi compresi quelli per l'autotrasporto ecc.).
La «ratio legis» sottesa alla disposizione in commento va
riportata, naturalmente, al contesto storico in cui essa nacque. La
violenza mafiosa, culminata nella uccisione di Carlo Alberto Dalla
Chiesa, all'epoca prefetto di Palermo, postulava, infatti, la
necessità di organizzare una reazione a tutto campo delle forze
dello Stato, capace di svolgere, accanto a quella repressiva,
un'azione altrettanto incisiva ed efficace di prevenzione attraverso
la figura dell'Alto commissario antimafia. Non a caso, la stessa
legge istitutiva di tale organismo (articolo 1, nono comma)
stabiliva
che l'Alto commissario disponesse delle «strutture e dei mezzi»
dell'allora SISDE (oggi AISI) e fosse destinatario di comunicazioni
provenienti sia dallo stesso SISDE che dal SISMI (oggi AISE);
sicché
veniva a delinearsi, con forte anticipazione rispetto ai successivi
sviluppi ordinamentali, una figura di funzionario civile (l'Alto
commissario veniva scelto, infatti, tra i prefetti)
depositaria di un
patrimonio informativo anche riservato che ne denotava la vocazione
ad assolvere un ruolo di «intelligence». Tale ruolo veniva
ad essere
dispiegato nei settori economico-finanziari, con riguardo sia alle
attività produttive più esposte agli appetiti criminali, sia al
circuito del credito.
Sebbene l'articolo 1-septies esprima, in coerenza con i suoi
originari scopi, una attitudine prevenzionistica, nel senso classico
di rappresentare una forma di anticipazione della soglia di difesa,
è ora possibile coglierne, in maniera più evidente e in
una logica
di interpretazione evolutiva,
un profilo più
marcatamente
collaborativo. In altri termini, la disposizione in
questione sembra
innestarsi, sia pure in una maniera tutta originale, in quel filone
di interventi che hanno valorizzato l'interscambio informativo tra
operatori del mercato e pubblica amministrazione a fini
di
prevenzione e contrasto dell'uso
strumentale delle attività
economiche per finalità illecite. Filone che si sarebbe sviluppato
in particolare con il recepimento delle direttive in materia di
riciclaggio, imperniate su misure di collaborazione attiva
(quali le
segnalazioni di operazioni sospette) capaci di intercettare
insidiosi
fenomeni di criminalità economica.
1.2. Così ricostruita la genesi della norma, va anche detto che
essa era stata «importata» nel sistema della documentazione
antimafia
dall'art. 10, comma 9, del citato
d.P.R. n. 252/1998,
consentendo ai
Prefetti di comunicare alle
stazioni appaltanti situazioni
suscettibili di valutazione discrezionale, anche in quei
casi in cui
non siano stati accertati tentativi di infiltrazione
mafiosa.
Tali comunicazioni si sono sostanziate in quel tertium genus
costituito dalle cd. «informazioni atipiche» o «supplementari»,
strumento al quale si è fatto un crescente ricorso. Ciò è
accaduto
anche in virtù della valorizzazione che di questo strumento hanno
fatto i protocolli di legalità stipulati per attivare sistemi di
prevenzione dei fenomeni di illegalità (non soltanto di matrice
mafiosa) nel processo di realizzazione di opere pubbliche
di rilevante entità, a cominciare da quelle inserite nel Piano
Infrastrutture Strategiche (PIS) oggetto di monitoraggio da
parte di
questo Comitato. Tali intese collaborative contengono, infatti,
clausole, destinate ad essere riprodotte nei contratti di appalto
e
nei discendenti sub-contratti, che
consentono alle stazioni
appaltanti di risolvere i negozi stipulati con imprese nei cui
confronti la Prefettura abbia adottato informazioni atipiche,
all'esito di una valutazione circa la rilevanza degli elementi
partecipati ai fini della prosecuzione del rapporto.
Va anche, tuttavia, preso atto, come nel tempo si sia fatto un
uso ridondante o improprio delle informazioni atipiche. Infatti, da
un lato si è ricorso a tale strumento per segnalare situazioni che
non avevano una significatività precisa riguardo al profilo del
soggetto imprenditoriale, e che fossero in grado, quindi, di farne
apprezzare la sua possibile inaffidabilità (mettendo in
guardia, per così dire, la pubblica amministrazione
destinataria
dell'informazione), limitandosi, invece, a partecipare elementi
conoscitivi scarsamente rilevanti o poco influenti;
dall'altro, l'uso
delle «atipiche» ha corrisposto ad
un criterio fin troppo
prudenziale, laddove gli elementi avrebbero potuto, soprattutto se
corroborati da ulteriori approfondimenti e riscontri, giustificare
l'adozione di un
informazione tipica, cioè direttamente
interdittiva. E' anche da dire che questa linea comportamentale
è
stata indotta da una certa preoccupazione di non tralasciare la
veicolazione di elementi che venivano, per una qualche ragione,
considerati comunque significativi e che sarebbero andati «dispersi»
con l'adozione di una mera «liberatoria»; sicché si può convenire
sul fatto che le «atipiche» abbiano rappresentato, in determinate
situazioni, una sorta di «protesi» a cui si è ricorso soprattutto
quando ci si è imbattuti nella cosiddetta area grigia. Non è
estraneo a questa
dinamica l'andamento oscillante della
giurisprudenza amministrativa, che, specie in materia di legami
familiari e di frequentazioni a rischio, non sempre ha ritenuto che
tali circostanze o situazioni, sia pure consolidate e documentate,
fossero sintomatiche ex se del
tentativo di infiltrazione,
determinando, conseguentemente, una «fuga» verso le
«atipiche».
1.3. Il recupero nel sistema antimafia
dell'articolo 1-septies
non corrisponde, per quanto si è detto e per quanto si verrà
a
chiarire, al mantenimento tout court delle informazioni «atipiche».
Infatti, il codice antimafia, come anche il nuovo «correttivo», non
vengono meno all'impostazione secondo cui l'esito degli accertamenti
antimafia riconducibili alla disciplina delle informazioni
non può
che avere un esito binario, nel senso che si potrà
concludere o con
il rilascio di una liberatoria ovvero con un'interdittiva,
riportando
a maggiore certezza il sistema stesso nel suo esito
saliente. Ciò
che si è detto sarà tanto più evidente quando il rilascio delle
informazioni avverrà attraverso il collegamento alla banca dati
unica nazionale (il cui funzionamento, non a caso, ha trovato nel
«correttivo» opportune precisazioni: si vedano, in particolare, gli
articoli 4 e 5 del citato d.lgs. n. 218/2012), concepita, appunto,
come strumento deputato a indicare, in tempo reale, se sussistano
o
meno ostatività, a carico di uno dei soggetti censiti in
banca dati,
al rilascio di una liberatoria.
Occorre adesso chiarire, dunque, quale scopo sottenda la scelta
di far sopravvivere l'articolo
1-septies sottraendolo alla
caducazione. Escluso che tale opzione possa surrettiziamente
favorire
il mantenimento delle informazioni «atipiche» come tertium genus
della documentazione antimafia, ne discende che le evenienze dubbie,
per le quali cioè non è possibile esprimere un giudizio
prognostico
sfavorevole, non potranno dare adito all'adozione di un'informazione
«atipica». Piuttosto la sequenza corretta sarà quella di
avviare una
fase di approfondimento ulteriore che potrà confluire nell'adozione
di un'informazione interdittiva eventualmente anche per la
ricorrenza
delle circostanze di cui all'articolo 91, comma 6, del codice.
Quest'ultima disposizione, infatti, dà
la massima evidenza,
attraendole senz'altro nell'orbita delle informazioni
interdittive, a
quelle situazioni tipiche dell'area grigia, rafforzando, a ben
guardare, le finalità prevenzionistiche dell'istituto. Saranno
infatti pienamente riconducibili alla sfera dell'ostatività pura
e
semplice situazioni border line,
come dimostrano le
stesse
espressioni lessicali utilizzate dalla norma per definire il
grado di
compromissione dell'impresa e il suo contributo agevolativo ad
attività criminose (peraltro, la disposizione in commento appare
fortemente orientata a recepire e positivizzare alcune pronunce
giurisprudenziali più rigorose).
Nel nuovo panorama che si va delineando, l'articolo 1-septies
può allora considerarsi restituito alla sua originaria dimensione
collaborativa, nella quale le esigenze di documentazione antimafia,
con i relativi corollari, restano escluse in favore di una corretta
veicolazione da parte del prefetto di quegli elementi informativi
rilevanti ai soli fini
della prosecuzione di
un'attività
imprenditoriale soggetta a controllo pubblico. In tal senso la
disposizione appare una chiara declinazione del principio di leale
collaborazione istituzionale che,
secondo anche l'autorevole
indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale (si vedano,
ex aliis,
le sentenze 18 luglio 1997, n. 242 e 23 gennaio 2006, n. 31),
rappresenta un principio generale informatore dell'azione dei
pubblici poteri, garantendo il perseguimento in concreto dei canoni
di buon andamento e imparzialità sanciti dall'articolo 97 della
Carta fondamentale.
Inoltre, nella cennata prospettiva il procedimento di emissione
della documentazione antimafia diventa uno dei possibili «luoghi»
dell'azione del prefetto in cui
possono emergere situazioni
meritevoli di segnalazione alle autorità competenti, con la
differenza che, a breve, esse saranno esclusivamente
coincidenti con
quelle a cui vengono affidate funzioni di controllo su
attività
economico-produttive, e non più con le amministrazioni pubbliche
aggiudicatrici o affidatarie di contratti pubblici (cioè con le
stazioni appaltanti).
1.4. Questo cambiamento di prospettiva
è di rilievo
naturalmente
sul piano generale del funzionamento del sistema di prevenzione
amministrativa delle ingerenze mafiose nel mondo dei contratti
pubblici, ma anche, e in termini più accentuati, per l'assetto dei
più stringenti controlli attuato sulla base delle Linee Guida
diramate dal Comitato, sia in virtù delle previsioni contenute nel
D.M. 14 marzo 2003, sia in virtù di specifiche norme di rango
primario.
Ciò si spiega con il fatto che il modello di prevenzione
apprestato dalle Linee Guida, pur con le diversità da contesto
a contesto, trova uno dei suoi tratti più qualificanti nel diffuso
ricorso all'istituto delle informazioni antimafia che rappresenta,
nel sottosistema CCASGO, l'unico strumento di verifica. Tale
è
infatti la conseguenza che deriva dall'articolo 180, comma 2, del
codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile
2006, n.
163) secondo cui i controlli antimafia disposti da questo Comitato
sono diretti «alla prevenzione e repressione di tentativi di
infiltrazione mafiosa»; ed è noto come lo strumento deputato
all'accertamento di tali
situazioni, fin dall'introduzione
dell'istituto (articolo 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n.
490), siano soltanto le informazioni antimafia.
E' dunque per questo motivo che tale forma di controllo viene
attuata nei confronti di tutte le imprese della filiera impegnate
nell'esecuzione degli interventi
sottoposti a monitoraggio
(indipendentemente dalla
natura ed importo del
contratto/subcontratto), sia per
l'iscrizione degli operatori
economici nelle white list, nuova tipologia di albi
già da tempo
attuata per alcune realizzazioni di medio-lungo periodo («Emergenza
Abruzzo», EXPO 2015 di Milano, «Piano carceri» e
ricostruzione delle località dell'Italia settentrionale colpite dal sisma del maggio
2012).
L'intrinseca ampiezza del ventaglio di situazioni da verificare
per l'emissione di questo tipo di provvedimento rende
inevitabilmente più frequente la possibilità che si presentino situazioni di non
accertata infiltrazione mafiosa
suscettibili, nondimeno, di
comunicazione alle Amministrazioni competenti, come si è detto,
a
svolgere funzioni settoriali di controllo.
1.5. Per agevolare, dunque, le Prefetture e gli altri Organi, anche di polizia, componenti della rete di monitoraggio ex D.M. 14 marzo 2003, nel trapasso dalla «vecchia» alla «nuova» normativa, il Comitato ravvisa l'opportunità di fornire con il presente atto di indirizzo alcune indicazioni applicative al fine anche di individuare criteri uniformi di utilizzazione del potere ex articolo 1-septies del d.l. n. 629/1982.
2. Informazioni atipiche.
2.1. Come si è detto, lo strumento delle informazioni atipiche
è destinato a venire meno a decorrere dal 12 febbraio 2013, data
che, con l'integrale entrata in vigore del Libro II del Codice
Antimafia, segnerà l'uscita di scena dell'articolo 10,
comma 9, del
d.P.R. n. 252/1998, il quale, come precisato, attraeva nel sistema
della certificazione antimafia il ricordato
articolo 1-septies.
In questo periodo di residua vigenza del citato
d.P.R. n.
252/1998, il potere di adottare tali provvedimenti è
soggetto, mano
a mano che si avvicina il predetto termine, ad un processo di
graduale «affievolimento».
Senza voler introdurre forme non consentite di anticipata
entrata
in vigore della «nuova» disciplina, si segnala all'attenzione dei
Sigg. Prefetti, tuttavia, l'opportunità
che le informazioni
«atipiche» vengano considerate, in questo lasso di tempo,
come ormai
recessive in ragione del loro rapido superamento.
2.2. Si ravvisa l'utilità di sottolineare in questa fase transitoria come l'adozione delle informazioni atipiche resti ancorata ai rigorosi canoni giurisprudenziali, secondo i quali (Cons. Stato, sezione IV 1° marzo 2001, n. 1148, nello stesso senso, Cons. Stato, sezione VI, 17 aprile 2009, n. 2336) i provvedimenti in questione sono prioritariamente rivolti a portare all'attenzione della stazione appaltante situazioni che inducono a ritenere un pericolo di condizionamento della criminalità organizzata, pur se nelle informative stesse si affermi o si dia atto che gli elementi acquisiti non consentono, allo stato, una valutazione certa con riguardo al giudizio probabilistico circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.
2.3. Si possono considerare come rientranti nella casistica
corretta, quelle evenienze in cui gli elementi emersi non denotano
con sufficiente evidenza indiziaria l'esistenza di un tentativo di
infiltrazione mafiosa, e, pur tuttavia, rappresentano un sintomo
negativo di affidabilità dell'impresa alla luce di una serie di
considerazioni basate comunque su elementi di fatto (Cons. Stato,
sezione V, 31 dicembre 2007, n. 6902) e non su mere congetture
o
semplici sospetti. A mero titolo di esempio, sono per costante
giurisprudenza riconducibili a tale stregua situazioni in cui non
è possibile ragionevolmente fugare il rischio
dell'esistenza di una permeabilità dell'operatore economico o di sue cointeressenze,
societarie o gestionali, con esponenti della criminalità o con
persone con essa colluse (vedasi TAR Campania Napoli, sezione I 23
gennaio 2007, n. 596 e 9 luglio 2007, n. 6591).
(1) Avvenuta per effetto del D.L. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 345.
(2) Con D.M. 1. Gennaio 1993.