LAVORI PUBBLICI
- 073
Consiglio di Stato, sezione V, ordinanza 6 maggio 2002, n. 2406 (rimette
all'Adunanza Plenaria)
Approfondita analisi della problematica relativa alla necessità o meno di
impugnare immediatamente le clausole lesive del bando di gara, distinguendo i
casi nei quali è invece possibile (oppure necessario) impugnarle unitamente al
provvedimento finale. Con una esauriente illustrazione delle diverse casistiche
e dei relativi precedenti giurisprudenziali in materia.
(Risolta con sentenza A.P. 29 gennaio 2003, n. 1)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso in appello n. 3312/1999 proposto dal Comune di Aversa, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocato Antonio Romano ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato E.L., in ...
CONTRO
Z.C. s.p.a., in persona del legale rappresentante, in proprio e quale mandataria dell’Associazione temporanee di imprese con la ditta Ing. D.G. s.p.a., e Ing. D.G. s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi dall’Avv. G.M. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, in ...
E NEI CONFRONTI DI
Impresa di costruzioni Ing. E.M. & C. s.p.a., in proprio e quale mandataria dell’ATI con le imprese I. s.p.a. e Ing. B.& M. B. s.n.c., non costituita in giudizio.
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, Sezione Prima,10 febbraio 1999, n. 340.
Visto il ricorso con i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 26 marzo 2002, il Consigliere Marco Lipari;
Uditi gli Avv. A.R. ed A.A. su delega dell’Avv. G.M.;
Visto il dispositivo di Sentenza n. 185 del 28/03/2002;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La sentenza appellata, accogliendo il ricorso proposto dalla società Z.C. s.p.a., in qualità di capogruppo mandataria dell’A.T.I. formata con la società Ing. D.G. s.p.a., ha annullato:
- la delibera della giunta municipale del comune di Aversa, n. 746 del 27 settembre 1993, recante l’aggiudicazione all’A.T.I. capeggiata dalla società ing. E.M. & C. s.p.a., dell’appalto per l’esecuzione dei lavori di sistemazione dell’emissario “lo Spierto”;
- il bando di gara e la lettera di invito n. 372278 del 7 novembre 1991;
- gli altri atti del procedimento.
Il Comune appellante sostiene l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza del ricorso di primo grado.
La Società Z.C. resiste al gravame, mente le altre parti intimate non si sono costituite in giudizio.
DIRITTO
Con deliberazione n. 206 del 21 marzo 1991, il consiglio comunale di Aversa approvava il progetto dell’opera pubblica concernente la sistemazione dell’emissario delle acque dei comuni di Parete, Lusciano, Aversa-ovest, Trentola-Ducenta e Frignano.
Con il successivo bando di gara, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 14 agosto 1991, l’amministrazione indiceva la gara per l’aggiudicazione dell’appalto, per un valore, a base d’asta, di complessive lire 31.150.000.000, stabilendo le prescrizioni di svolgimento della procedura selettiva.
Con lettera di invito n. 372278 del 7 novembre 1991, venivano dettate le ulteriori prescrizioni della lex specialis di gara, le quali stabilivano, fra l’altro, che:
- l’aggiudicazione sarebbe avvenuta, con esclusione delle offerte in aumento, in favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo conto, in ordine di importanza, dei seguenti elementi:
1) valore tecnico dell’opera (fino a punti 50);
2) prezzo complessivo (punti 33);
3) tempo di esecuzione (punti 17);
- il concorrente, in variante al progetto dell’amministrazione avrebbe potuto redigere un altro progetto contenuto nell’importo a base d’asta;
- “saranno considerate anomale le offerte che presenteranno una percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate dai valori di 7%.”
Alla gara venivano ammesse
quattro imprese. La commissione tecnico amministrativa, dopo aver vagliato i
progetti, procedeva all’esame delle offerte economiche, ai fini della
valutazione di anomalia e dell’assegnazione dei punteggi.
In tale contesto, l’offerta
dell’ATI Z.C., che aveva presentato un ribasso del 14,38 %, veniva giudicata
anormalmente bassa.
Quindi, con delibera della giunta municipale 27 settembre 1993, il comune
approvava definitivamente gli atti di gara, aggiudicando l’appalto all’ATI M.-I.-B.,
classificata al primo posto della graduatoria.
La sentenza impugnata,
disattendendo le eccezioni di improcedibilità (per intervenuta esecuzione dell’opera
oggetto dell’appalto) e di irricevibilità (per tardiva impugnazione del bando
di gara e della lettera di invito), ha accolto il ricorso proposto dall’ATI Z.C.
ed ha annullato “i provvedimenti impugnati”.
Secondo il tribunale, l’esclusione
automatica delle offerte anomale non poteva essere disposta in presenza di sole
quattro offerte valide, in quanto il decreto legge 2 marzo 1989 n. 65,
applicabile ratione temporis alla vicenda in contestazione,
prevedeva tale possibilità, in via transitoria, ma solo in presenza di almeno
quindici offerte valide.
Il comune appellante contesta,
nel merito, la pronuncia del tribunale, sostenendo che, contrariamente a quanto
affermato dai giudici di primo grado, la commissione ha compiuto una effettiva
valutazione dell’anomalia dell’offerta, senza alcun automatismo, e ribadisce
le eccezioni preliminari disattese dalla sentenza.
La Sezione ritiene che entrambe
le censure preliminari, articolate dal comune appellante, concernono questioni
di massima, che rendono opportuno, per motivi diversi, l’intervento dell’Adunanza
Plenaria.
La prima questione riguarda la
rilevanza dell’intervenuta esecuzione dell’opera pubblica, ai fini della
ammissibilità o della procedibilità del ricorso proposto contro l’aggiudicazione
dell’appalto e contro i connessi atti del procedimento.
Il Collegio ritiene preferibile
la tesi secondo cui l'integrale esecuzione di un appalto oggetto di una gara
indetta da una pubblica amministrazione. non determina il venire meno
dell'interesse a ricorrere, in capo al partecipante non aggiudicatario, avverso
gli atti della procedura; e ciò non solo per la persistenza di un interesse
morale all'accertamento della eventuale illegittimità degli stessi, ma anche in
relazione ad un eventuale giudizio risarcitorio diretto a ristorare il
ricorrente dal pregiudizio patito per effetto dell'illegittimità
provvedimentale (Cons. Stato, sez. VI, 20-12-1999, n. 2117).
Tuttavia, in altra occasione, si è affermato che è improcedibile, per sopravvenuta carenza d'interesse, il ricorso proposto contro l'aggiudicazione di un contratto d'appalto di opere pubbliche se, nelle more del giudizio, esse siano state interamente realizzate e non venga provata l'esistenza di alcuno specifico interesse di carattere morale in ordine all'annullamento della impugnata aggiudicazione (C. Stato, sez. IV, 11-12-1998, n. 1627).
Il Collegio ritiene opportuno che il contrasto di giurisprudenza sia risolto dall’Adunanza Plenaria, anche per un'altra ragione, strettamente connessa alla questione, più generale, del rapporto processuale tra l’azione di annullamento e la domanda di risarcimento del danno (“pregiudiziale amministrativa”), già rimessa all’Adunanza Plenaria dal Consiglio della Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana.
Si tratta di stabilire, nel quadro delineato dal decreto legislativo n. 80/1998 e dall’articolo 7 della legge n. 205/2000, se la tempestiva domanda di annullamento del provvedimento amministrativo, che si assume lesivo dell’interessato costituisca, o meno, presupposto di ammissibilità della domanda risarcitoria e se l’accertamento della illegittimità del provvedimento rappresenti un elemento indispensabile dell’eventuale responsabilità dell’amministrazione.
La Sezione aderisce all’opinione secondo cui:
- la tempestiva azione di annullamento costituisce, di regola, requisito di ammissibilità della domanda di risarcimento del danno;
- l’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato (ove occorra accompagnato dalla statuizione di annullamento) resta un presupposto necessario (ancorché non sufficiente) per affermare la responsabilità risarcitoria dell’amministrazione.
In questa prospettiva, ne dovrebbe conseguire che l’esecuzione integrale dell’appalto non rende affatto improcedibile il ricorso proposto contro il provvedimento, perché la decisione sulla dedotta illegittimità dell’atto contestato rappresenta il passaggio obbligato per affermare la responsabilità dell’amministrazione.
Peraltro, si deve segnalare la presenza di un diverso indirizzo interpretativo, diffuso in settori della dottrina e collegato ad alcune affermazioni racchiuse nella sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione, secondo la quale l’azione risarcitoria, pur connessa alla contestazione dell’esercizio di poteri amministrativi, resterebbe autonoma dalla domanda di annullamento, basandosi su presupposti sostanziali di altro contenuto. Ne deriverebbe, fra l’altro, l’assenza di un onere di immediata e tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo, qualora l’interessato intenda avvalersi della sola tutela risarcitoria, senza chiedere anche l’annullamento dell’atto.
Ulteriore conseguenza, poi,
riguarderebbe gli effetti processuali dell’esecuzione integrale dell’appalto
sul ricorso proposto per l’annullamento dell’aggiudicazione.
In tale eventualità, poiché
potrebbe diventare impossibile (od eccessivamente oneroso, in relazione ai
principi dell’art. 2058 del cod. civ.) rimuovere gli effetti giuridici e
materiali del provvedimento illegittimo, il pregiudizio lamentato dall’interessato
potrebbe essere riparato esclusivamente mediante una diversa azione risarcitoria,
con la conseguente improcedibilità del (solo) ricorso di annullamento.
La rilevanza pratica della
questione (e la sua complessità giuridica) rende opportuno l’intervento
chiarificatore dell’Adunanza Plenaria, anche allo scopo di assicurare l’applicazione
di orientamenti interpretativi omogenei.
La seconda questione riguarda l’esatta individuazione dei casi in cui è necessaria, a pena di decadenza, l’immediata impugnazione del bando di gara o di concorso (o della lettera di invito ad una procedura selettiva), senza attendere l’adozione di ulteriori atti applicativi (provvedimenti di esclusione, di aggiudicazione, ecc.), che segnano la conclusione dell’iter o determinano, per la parte interessata, il definitivo arresto procedimentale.
Per impostare correttamente il problema giuridico in esame è necessario svolgere una precisazione di carattere processuale.
Il tribunale ha respinto l’eccezione di omessa tempestiva impugnazione della lex specialis di gara, in base a due argomenti, l’uno di carattere essenzialmente fattuale (attinente all’interpretazione del bando), e l’altro di carattere giuridico (concernente la natura del bando di gara e della lettera di invito, i loro contenuti e l’individuazione dell’interesse al ricorso):
“l’invocata clausola della lex specialis non può neppure definirsi immediatamente applicativa alla gara de qua del principio di esclusione automatica, in quando, essendo tale operatività subordinata alla presenza di un numero minimo di concorrenti, essa ben poteva - come sostiene la ricorrente - reputarsi sospensivamente condizionata alla sussistenza di tale presupposto fattuale.”
“le prescrizioni illegittime non attinenti all’ammissione dei singoli concorrenti manifestano la loro valenza lesiva solo nel momento in cui esse operino negativamente per i partecipanti e non prima: ciò avviene quando si verifica in concreto il pregiudizio e quindi con l’esclusione del concorrente dall’aggiudicazione, che attualizza a quel momento l’interesse all’impugnativa. Fino al momento in cui l’esclusione del soggetto non viene disposta, né emergono elementi che tale effetto rendono certo non si verifica la lesione dell’interesse sostanziale della ditta ritualmente ammessa alla gara, interesse da identificarsi nell’aspirazione all’aggiudicazione dell’appalto - e pertanto non può considerarsi neppure nato l’interesse processuale ad agire in giudizio”.
Il collegio non condivide il primo argomento sviluppato dalla sentenza impugnata, pur rimettendone la definitiva soluzione all’Adunanza Plenaria.
In linea di fatto, la lettera di
invito prevede, senza condizioni o limitazioni particolari, l’esclusione
automatica delle offerte anomale: “saranno
considerate anomale le offerte che presenteranno una percentuale di ribasso
superiore alla media delle percentuali delle offerte ammesse, incrementate dai
valori di 7%."
Non vi è alcun richiamo alla
normativa vigente e la formulazione letterale della clausola induce a ritenere
che essa riguardi tutte le evenienze, indipendentemente dall’effettivo numero
delle offerte ammesse alla gara.
L’affermata prevalenza della
disciplina racchiusa nell’articolo 2 bis, comma 3, del decreto legge 2 marzo
1989, n. 65, convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1989 n. 155, se
ritenuta corretta, comporterebbe non già l’integrazione o la correzione del
bando di gara, ma, piuttosto, il riconoscimento della sua illegittimità.
Infatti, nel caso di specie, non
può trovare applicazione il principio, talvolta affermato dalla giurisprudenza,
in materia di norme autoesecutive, applicabili alle procedure di
gara, anche in mancanza di un esplicito richiamo nel bando.
Tale possibilità potrebbe
ammettersi solo in casi particolari e tassativi. Tra questi si segnala l’ipotesi
in cui le norme di rango legislativo o regolamentare riguardano profili non
contemplati, nemmeno in modo indiretto, dal bando di gara (per esempio in
materia di riserva di posti nei concorsi pubblici).
Si potrebbe considerare, ancora, il caso in cui la norma prevalente sul bando in modo automatico sia costruita con la struttura del divieto, imposto alle amministrazioni, di adottare determinati comportamenti nel corso delle procedure selettive.
Nella presente vicenda, al
contrario, la clausola del bando, disciplinando i criteri di determinazione
delle offerte anomale ed il procedimento di valutazione, non lascia aperte
lacune colmabili dalla disciplina legislativa, ma fa emergere, semmai, l’illegittimità
dell’atto.
Resta aperto, tuttavia, l’ulteriore
problema (meglio illustrato nei numeri seguenti), concernente le conseguenze
derivanti dalla prevalenza del diritto comunitario sugli atti
amministrativi adottati in difformità da tale parametro normativo.
In relazione all’altro
argomento sviluppato dal tribunale, si pone, invece una questione della massima
importanza, sulle quali si sono registrati orientamenti contrastanti.
Si tratta di stabilire l’esatta delimitazione dell’ambito oggettivo dell’onere di immediata impugnazione del bando di gara (o di concorso).
Al riguardo, la tesi tradizionale, ripetutamente affermata dalla giurisprudenza del Consiglio (e ribadita, comunque, anche da decisioni recentissime, fra cui si segnalano, sin d’ora, Cons. Stato, VI, 22 gennaio 2001, n. 192; VI, 18 dicembre 2001 n. 6260; V Sez. 27 giugno 2001, n. 3507), afferma il principio secondo cui il bando di gara (e la lettera di invito) per l'aggiudicazione di un contratto della pubblica amministrazione (così come il bando di concorso a posti di pubblico impiego) è immediatamente impugnabile solo se contiene clausole impeditive dell'ammissione dell’interessato alla selezione, e non anche con riferimento alle clausole che individuano i criteri che saranno adottati per l'aggiudicazione, con la conseguenza che la partecipazione alla gara e la presentazione dell'offerta non costituiscono acquiescenza e non impediscono, quindi, la proposizione di un eventuale gravame (C. Stato, sez. VI, 06-10-1999, n. 1326).
Infatti, secondo questa linea ermeneutica, l'interesse all'impugnazione degli atti relativi alla scelta dell'aggiudicatario sorge soltanto all'esito della procedura di selezione, atteso che l'onere di immediata impugnazione degli atti relativi alla fissazione della lex specialis di gara è ipotizzabile solo quando il bando o la lettera di invito contengono prescrizioni dirette a precludere la stessa partecipazione dell'interessato al procedimento concorsuale (C. Stato, sez. V, 29-01-1999, n. 90).
Peraltro, l'impugnazione del
bando differita al momento dell'impugnazione del provvedimento di esclusione è
ritenuta comunque ammissibile quando la clausola del bando appaia ambigua
e tale da prestarsi a differenti interpretazioni da parte dell'amministrazione
in sede di ammissione degli aspiranti al concorso (C. Stato, sez. VI,
10-08-1999, n. 1020).
Inoltre, il differimento dell’impugnazione
della clausola di esclusione viene affermato quando lo stesso accertamento del
requisito di partecipazione presenti, in fatto, qualche profilo di complessità
tecnica (Cons. Stato, V, 6 marzo 2002, n. 1342).
A fronte di questo indirizzo
interpretativo, consolidato, e definito, per comodità espositiva, “tradizionale”,
si sono sviluppati orientamenti di segno diverso e contraddittorio:
- da una parte si collocano le tesi dirette a ridurre (o addirittura eliminare) l’onere di immediata impugnazione del bando;
- dall’altra parte si situano le opinioni giurisprudenziali che sostengono l’ampliamento dei casi di immediata impugnabilità delle clausole della lex specialis di gara.
Si è prospettato, intanto, un
indirizzo volto a spostare in avanti il termine per l’impugnazione
degli atti applicativi delle clausole del bando, pure nelle eventualità in cui
esse siano assolutamente vincolanti ed a contenuto univoco, e riguardino gli
stessi requisiti di partecipazione alla procedura selettiva (Cons Stato,
IV, ord. 10 aprile 1998, n. 582).
Non solo, ma un indirizzo
affermato da alcuni giudici di primo grado sostiene che in ipotesi di ricorsi
proposti contro i provvedimenti intervenuti nel corso della procedura
concorsuale (di esclusione o di aggiudicazione) esecutivi delle prescrizioni
contenute nella lex specialis di gara, non è più necessaria la
preventiva o la contestuale impugnazione del bando: questo, se illegittimo,
va disapplicato dal giudice amministrativo (T.A.R. Lombardia, III Sez., 5
maggio 1998, n. 922; 2 aprile 1997, n. 354).
La tesi indicata per ultima,
tuttavia, non pare condivisibile: il potere di disapplicazione del giudice
amministrativo va circoscritto solo agli atti amministrativi a contenuto
propriamente normativo; pertanto esso non può operare in relazione al
bando di gara, che è riconducibile a manifestazione di volontà provvedimentale
e non ad atto regolamentare (C. Stato, sez. IV, 27-08-1998, n. 568).
Peraltro, l’Adunanza Plenaria deve valutare anche la questione prospettata da alcuni giudici di primo grado (fra questi T.A.R. Lombardia, III Sez. 8 agosto 2000, n. 234), secondo cui il bando deve essere disapplicato almeno nelle ipotesi in cui l’illegittimità riscontrata derivi dal contrasto con la normativa comunitaria.
Il punto presenta una diretta
rilevanza nella presente fattispecie, in quanto il ricorrente di primo grado ha
prospettato anche il contrasto del bando con le prescrizioni del diritto
comunitario riguardanti il giusto procedimento nella valutazione, in
contraddittorio con l’impresa, dell’anomalia dell’offerta.
La tesi interpretativa che
ritiene doverosa la disapplicazione in questo caso sostiene che l’invalidità
del provvedimento in contrasto con il diritto comunitario rientra nella
categoria della nullità.
Ad analoga conclusione si
perviene affermando che la prevalenza del diritto comunitario sul diritto
interno, anche di rango legislativo, comporta, a maggiore ragione, la diretta ed
immediata operatività della normativa comunitaria, che sostituisce le difformi
prescrizioni del bando.
L’opposta soluzione
interpretativa sostiene invece che la prevalenza del diritto comunitario sul
diritto interno e la sua vincolatività per le amministrazioni e per il giudice
attiene alla individuazione del parametro normativo di valutazione del
provvedimento amministrativo, fermo restando che tale apprezzamento va compiuto
secondo la consueta categoria della illegittimità, definita dal diritto
interno.
Questa impostazione è ora
seguita dal disegno di legge recante modifiche e integrazioni della legge 7
agosto 1990 n. 241, approvato dal Consiglio dei ministri il 7 marzo 2002, il
quale, all’articolo 13-sexies, stabilisce che è annullabile il provvedimento
“viziato da violazione di leggi o regolamenti, di disposizioni di fonte
comunitaria”.
Resta però da verificare se i
principi comunitari in materia di garanzia della tutela giurisdizionale non
rappresentino un utile criterio interpretativo per ridurre l’area delle
ipotesi in cui il bando è soggetto ad immediata impugnazione in un breve
termine decadenziale.
Meritevole di maggiore attenzione
è l’altro orientamento, in forza del quale l’impugnazione del bando è
sempre necessaria, ma può essere generalmente differita all’atto
di proposizione del ricorso contro l’atto applicativo.
Secondo tale indirizzo:
- il bando è un atto generale che, non rivolgendosi a destinatari determinati, non comporta, di per sé solo, alcuna immediata lesione, la quale si concretizza e attualizza solo con l’emanazione degli specifici provvedimenti di esclusione;
- non può escludersi la possibilità per l’amministrazione di non dare applicazione a clausole del bando illegittime, o di dare alle clausole del bando un’interpretazione conforme alla legge;
- l’impugnazione del bando, anche in relazione alle clausole che fissano requisiti di partecipazione, è mera facoltà dell’interessato e non già un onere imposto a pena di decadenza.
Peraltro, l’Adunanza Plenaria,
con ordinanza 4 dicembre 1998, n. 1, ha ribadito l’orientamento più
tradizionale e consolidato, in forza del quale il bando di un pubblico concorso
contenente clausole direttamente lesive dell'interesse dei candidati, che
fissano i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, deve essere
autonomamente ed immediatamente impugnato.
La pronuncia dell’Adunanza
Plenaria esclude, quindi, che il termine per l’impugnazione del bando possa
essere posticipato al momento in cui viene adottato il provvedimento
applicativo. La decisione non prende posizione, invece, sul
problema della individuazione degli ulteriori casi in cui l’interessato ha l’onere
di impugnare immediatamente il bando.
Secondo alcuni più recenti indirizzi della giurisprudenza, volti ad ampliare i casi di immediata impugnabilità della lex specialis di gara (o di concorso), occorre considerare la natura giuridica del bando e la sua funzione, tenendo conto dei seguenti aspetti:
- mediante l’adozione del bando, l’amministrazione consuma il proprio potere discrezionale e la successiva attività procedimentale è vincolata all’attuazione delle prescrizioni inderogabili fissate dalla lex specialis di gara;
- la lesione provocata dal bando di gara alla posizione di interesse dei partecipanti è immediata, perché attiene, direttamente, alla loro stessa condizione di concorrenti alla selezione;
- l’interesse differenziato, che giustifica il ricorso, riguarda la pretesa autonoma alla legittimità delle regole e delle operazioni di gara, ritenuta distinta dall’aspettativa di aggiudicazione del contratto.
Sulla base di queste premesse, si è affermato, a partire dalla decisione della Sez. IV, 11 febbraio 1998, n. 261, il principio secondo cui “in materia di procedure di aggiudicazione di servizi pubblici, i criteri da osservare ai fini della scelta del contraente, una volta inseriti nel bando di gara, vincolano l'amministrazione, che non può esimersi dal rispettarli, dovendo garantire la par condicio di tutti i concorrenti; ne consegue che le eventuali censure non possono essere mosse, attendendo che la gara sia conclusa sfavorevolmente, a carico dei provvedimenti che ne fanno puntuale applicazione, ma unicamente nei confronti dell'atto (bando di gara) immediatamente lesivo, in cui la regola è contenuta, e nel termine decadenziale”.
Il nuovo filone interpretativo
sostiene che resta fermo il tradizionale principio di carattere generale in
forza del quale il bando di gara non è immediatamente lesivo e, quindi, non è
impugnabile se non unitamente ai provvedimenti, concreti, che ne fanno
applicazione. Tuttavia, secondo gli indirizzi in esame, tale regola soffre di
alcune eccezioni, di portata assai ampia ed in costante espansione.
La prima, conforme ad una
consolidata linea ermeneutica, riguarda l’ipotesi delle clausole del bando che
impediscono la partecipazione alla gara, fissando particolari requisiti
soggettivi dei concorrenti; in tale eventualità sussiste l’onere della parte
interessata di impugnare tempestivamente l’atto.
Detta tesi assume, peraltro, una
particolare connotazione di novità, nella parte in cui prende le distanze dall’opposto
indirizzo (illustrato in precedenza), che ritiene insussistente l’onere di
immediata impugnazione delle clausole del bando, anche se esse riguardano i
requisiti di partecipazione alla selezione.
La seconda eccezione, enucleata
dalla giurisprudenza più recente della Sezione, riguarda le ipotesi di clausole
che, fissando i criteri di aggiudicazione dell’appalto, influiscono in
modo diretto sulla stessa determinazione dell’impresa relativa alla
predisposizione della proposta economica o tecnica racchiusa nell’offerta.
Detto indirizzo si è riferito,
in particolare, all’onere di immediata impugnazione di calusole asseritamente irragionevoli,
tali da non consentire la formulazione dell’offerta, dal momento che le
prescrizioni ivi previste rendono effettivamente impossibile quel calcolo di
convenienza tecnica ed economica che ogni impresa deve essere in condizione
di potere effettuare all’atto in cui valuta se partecipare o no ad una gara
pubblica. In detta categoria rientrano tutte le prescrizioni che, producendo effetti
distorsivi della concorrenza, incidono sulla sfera giuridica del soggetto
economico che partecipa alla gara in un momento precedente quello della mancata
aggiudicazione ed indipendentemente da questa.
Pertanto, l'impresa che ritenga
illogica una clausola del bando deve impugnarla prima della presentazione
dell'offerta e non all'esito della gara, ponendosi essa come obiettivo ostacolo
alla formulazione di quest'ultima sulla base di elementi prevedibili, e non
assolutamente aleatori: nella specie, in un concorso di progettazione di opera
pubblica si prevedeva il maggior punteggio al progetto il cui costo si fosse
avvicinato di più alla media aritmetica dell'insieme di tutti i progetti
presentati (C. Stato, sez. V, 11-01-1999, n. 1757/98).
In tale ordine di idee si
inscrive anche la decisione 23 maggio 2000, n. 2990, secondo la quale deve
essere immediatamente impugnato il bando, nella parte in cui fissa i criteri
di determinazione della soglia di anomalia delle offerte anomale (nella
specie: clausola concernente il calcolo della soglia di anomalia dell’offerta
previa considerazione, per la determinazione dello scarto aritmetico, di tutte
le offerte superiori alla media, comprese quelle escluse per la determinazione
della media stessa).
Secondo tale orientamento, nei
pubblici appalti, la lesività delle norme del bando relative ai criteri
di aggiudicazione ed alle modalità di svolgimento della gara non si manifesta
per la prima volta con l'aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale
sono assunte come regole con le quali l'amministrazione autolimita la propria
libertà di apprezzamento, con conseguente onere di tempestiva impugnazione in
capo alle imprese partecipanti (C. Stato, sez. V, 22-03-1999, n. 302).
Nello stesso ambito si inserisce
l’affermazione secondo cui le prescrizioni del bando di gara che incidono
direttamente sulle posizioni dei concorrenti alla gara di appalto sono
immediatamente ed autonomamente lesive per cui devono essere impugnate nei
termini di rito, decorrenti dal momento della loro conoscenza, senza attendere
il conseguente atto di esclusione: nella specie, è stata ritenuta
immediatamente lesiva la clausola del bando che prescriveva l'esclusione
automatica delle offerte anomale (C. Stato, sez. IV, 05-07-1999, n. 1158).
Si tratta, quindi, di fattispecie analoghe a quella oggetto del presente giudizio, nel quale è contestata la prescrizione del bando relativa alla esclusione automatica delle offerte anomale, indipendentemente dal numero delle offerte valide.
Peraltro, all’interno della stessa Quinta Sezione, si manifestano indirizzi di segno contrario: l’interesse ad impugnare le clausole del bando contenenti i criteri di valutazione delle prove è sorto solo in seguito all’esito negativo della procedura selettiva e pertanto non può configurarsi alcun onere di proporre immediatamente ricorso. E’ infatti evidente che i criteri, così come astrattamente posti dal bando, non sono suscettibili di ledere l’interesse dei concorrenti in modo certo ed immediato: la lesione diverrà concreta solo alla fine delle prove (V Sez. n. 2230/2000).
Una terza ipotesi, individuata
dalla giurisprudenza, riguarda le prescrizioni del bando che impongono
determinati oneri formali dell’offerta, a pena di esclusione, alle imprese
partecipanti: in un appalto pubblico, si deve intendere immediatamente
lesiva e, quindi, autonomamente impugnabile quella clausola del bando di gara o
della lettera d'invito che prescriva, a pena d'esclusione, l'esibizione di un
documento o di un attestato (nella specie, il certificato dei carichi
pendenti) che la stazione appaltante potrebbe acquisire d'ufficio, posto che, in
tal caso, l'inutile aggravio del procedimento amministrativo consiste non già
nella mera presentazione di detto certificato - il cui reperimento potrebbe
anche non essere di per sé gravoso - bensì nella gratuita costrizione
dell'impresa a rendere di pubblico dominio vicende private che essa potrebbe
voler non divulgare e nella circostanza che, ove queste ultime vengano rese
note, potrebbero esporla ad un giudizio d'inaffidabilità fondato su vicende
penali in cui essa potrebbe essere stata incolpevolmente coinvolta (C. Stato,
sez. V, 11-05-1998, n. 225).
Lo stesso orientamento si è poi
affermato, talvolta, in relazione alle clausole riguardanti le modalità di
presentazione dell’offerta (Sez. V, 4 aprile 2002, n. 1857).
La decisione si è motivatamente
discostata dall’indirizzo secondo cui che le prescrizioni del bando riferite
non già ai requisiti di ammissione ma alle modalità di presentazione delle
offerte non devono essere impugnate immediatamente, ma solo congiuntamente all’atto
applicativo adottato dall’amministrazione. In tal senso, si è affermato che
la clausola della lettera d'invito circa il luogo e il termine massimo di
presentazione delle domande di partecipazione ad una gara per l'aggiudicazione
di un contratto attiene a formalità che in via di principio non incidono
direttamente e immediatamente sulla sfera giuridica dei concorrenti; pertanto,
tale clausola è impugnabile solo unitamente al provvedimento di esclusione
dalla gara, in quanto solo in quel momento la lesione diviene concreta ed
effettiva (C. Stato, sez. IV, 20-10-1998, n. 888).
In tali eventualità, si
manifesta una maggiore vicinanza con l’indirizzo tradizionale, in quanto le
clausole oggetto di immediata impugnazione riguardano i requisiti di
partecipazione delle imprese concorrenti, considerati, però, non già nella
loro dimensione strettamente soggettiva, ma nel profilo oggettivo, riguardante
le modalità di presentazione della domanda di ammissione.
Una quarta ipotesi (delineata
dalla pronuncia della Quinta Sezione n. 2884/2000) concerne le clausole del
bando relative al “modus operandi” fissato per il funzionamento della
commissione giudicatrice. In particolare, la pronuncia afferma l’onere
di immediata impugnazione della clausola del bando che individua le operazioni
da svolgere, rispettivamente, in seduta pubblica od in riunione segreta. In tali
casi, secondo questa giurisprudenza, la lesione della posizione di interesse
dell’impresa è immediata, afferendo alla stessa condizione di
partecipazione alla gara, ed alla libertà di scelta in ordine alle
determinazioni negoziali assunte dal soggetto economico nell’ambito del
procedimento di individuazione del contraente privato.
Analogamente, si è affermato l’onere
di immediata impugnazione delle clausole del bando concernenti il funzionamento
della commissione giudicatrice di un appalto-concorso comunale con la presenza
della maggioranza e non del plenum dei componenti (Sez. V, 22 marzo 1999, n.
302).
Nello stesso ordine di idee si
colloca la pronuncia della Quinta Sezione, 11 luglio 2001, n. 3852, secondo la
quale anche gli atti intermedi della procedura, correlati alle modalità
operative della commissione, ancorché non riferiti al bando di gara, vanno
tempestivamente contestati, senza attendere l’esito della procedura.
In particolare, secondo la
pronuncia citata, la delibera di nomina della commissione giudicatrice deve
essere immediatamente impugnata, “quanto meno dal momento del ricevimento
della lettera di invito” (se la lex specialis di gara è pubblicata
dopo la nomina del collegio), o comunque dal momento delle prime determinazioni
procedimentali assunte dalla commissione.
Non si deve trascurare, in
analogo ordine di idee, l’affermazione di un indirizzo interpretativo diretto
ad individuare nell’aggiudicazione provvisoria (e non nell’aggiudicazione
definitiva) l’atto lesivo dell’interesse del concorrente: è immediatamente
impugnabile l’atto di aggiudicazione provvisoria di una gara d’appalto,
atteso che se è indubbio che il soggetto dichiarato provvisoriamente
aggiudicatario di un appalto non può vantare alcuna posizione giuridicamente
tutelata al provvedimento di aggiudicazione definitiva (trattandosi di una mera
aspettativa), diversa è la posizione degli altri concorrenti, nei confronti dei
quali la proposta di aggiudicazione provvisoria preclude qualsiasi ulteriore
partecipazione alla gara e determina quindi un effetto autonomo, definitivo ed
immediatamente lesivo che ne legittima l’impugnazione (Cons. Stato, IV Sez. 27
dicembre 2001, n. 6420).
Detto orientamento, pur
discostandosi dall’interpretazione più risalente, sembra, allo stato,
individuare la facoltà (e non l’onere) dell’interessato di impugnare l’aggiudicazione
provvisoria.
Secondo la decisione della Sezione, 24 dicembre 2001, n. 6386, poi, l’effetto lesivo direttamente emergente dai criteri di valutazione delle offerte stabiliti nel bando di gara ha carattere di immediatezza e deve essere fatto valere nel termine di decadenza con l’impugnazione diretta del bando stesso.
Analoga posizione è espressa da
una parte della giurisprudenza dei T.A.R. (T.A.R. Lombardia - Sezione di Brescia
- Sentenza 3 aprile 2001 n. 153), secondo cui le previsioni di un bando di gara,
riguardanti i criteri per l'attribuzione dei punteggi per la scelta della
società aggiudicataria, sono lesive in via immediata ed autonoma e, come tali,
immediatamente impugnabili nel termine decadenziale di legge (nella specie,
licitazione privata ex D.L.gs 157/95 cosi come modificato dal D.L. 65/00, per
l'affidamento del servizio di Tesoreria del Comune, per la quale, pur essendo
stato scelto il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, si
attribuisce al parametro economico dell'offerta, un coefficiente numerico pari
al 30 % della valutazione complessiva a fronte del 70 % attribuito agli aspetti
tecnico-qualitativi).
In relazione a tale particolare
profilo, tuttavia, si è manifestato anche un indirizzo di segno opposto, in
forza del quale, l'interesse ad impugnare le clausole del bando di concorso
contenenti i criteri di valutazione delle prove sorge solo in seguito
all'esito negativo della procedura selettiva, per cui non è configurabile alcun
onere di proporre immediatamente ricorso (C. Stato, sez. V, 14-04-2000, n. 223).
Altra decisione ancora, pur non affermando l’esistenza di un onere di immediata impugnazione, afferma che “l’interesse dell’impresa a veder limitato il numero delle ditte che possono partecipare alla gara per l’aggiudicazione di un appalto ha carattere strumentale ed è di per sé idoneo e sufficiente a legittimare l’immediata impugnativa delle clausole del bando ritenute lesive di tale interesse” (C.G.A.R.S., 3 dicembre 2001, n. 627).
I nuovi indirizzi interpretativi diretti, in varia misura, ad ampliare l’onere di immediata impugnazione delle clausole di bando non risultano ancora consolidati, prospettandosi oscillazioni tra pronunce fedeli all’orientamento “tradizionale”, decisioni che sembrano generalizzare l’onere di immediata impugnazione e sentenze che fissano criteri selettivi più elaborati, idonei a circoscrivere notevolmente la portata dell’orientamento.
Le tesi innovative, che hanno
formato oggetto di articolate critiche da parte di importanti settori della
dottrina, almeno con riferimento ad alcune delle ipotesi indicate, intende
valorizzare l’esigenza di una rapida inoppugnabilità di determinate regole
speciali della gara, in certo senso “accettate” dai partecipanti al
procedimento.
Al tempo stesso, tale indirizzo
pone in luce la sostanziale autonomia dell’interesse dell’impresa alla
preventiva definizione dei parametri di valutazione delle offerte (nella parte
in cui esse risultano direttamente incidenti sull’espressione del loro
contenuto) e delle modalità (estrinseche), o meramente procedimentali, di
svolgimento della gara.
In questo senso, la decisione n.
2990/2000 prospetta, fra l’altro, “l’esigenza di certezza dei rapporti
giuridici, cui si ricollega il regime di impugnazione dei provvedimenti
amministrativi, che sarebbe ingiustificatamente elusa se fosse consentito alle
imprese di partecipare alla gara rimanendo inerti di fronte a prescrizioni
inidonee a garantire il corretto operare delle regole di concorrenza, per poi
impugnare il bando, al quale hanno prestato adesione in modo univoco e
concludente, una volta conosciuto l’esito sfavorevole del procedimento.
Lo specifico rilievo dell’interesse al ricorso è poi sottolineato da quelle
pronunce secondo cui, l’interesse al quale l’ordinamento garantisce la
tutela giudiziaria non è quello di ottenere, comunque, un risultato vantaggioso
a conclusione del procedimento di gara, ma solo quello a che la scelta del
contraente sia effettuata nel rispetto delle norme che impongono all’amministrazione
comportamenti obbligati nel disciplinare, a mezzo del bando, il relativo
procedimento” (Sez. V, 22 marzo 1999, n. 302).
Si afferma, al riguardo, che, “in linea teorica, in casi come quello esaminato non può escludersi l’esistenza di un interesse attuale a ricorrere, identificabile nell’interesse personale del ricorrente a partecipare ad una gara le cui regole siano legittime, costituendo la legittimità della procedura condizione di trasparenza e garanzia di certezza del corretto svolgimento delle operazioni. Si tratta di un interesse che si collega alle scelte dell’impresa,garantita dall’art. 41 Cost., e che si sostanzia nell’utilità che discende dalla salvaguardia della libertà negoziale, in breve, nell’interesse a non vedersi coinvolta nella partecipazione a procedure di gara governate da regole illegittime”; “la censura…è stata fin da principio rivolta alla tutela di un valore meramente procedimentale, connesso alle forme di pubblicità della procedura” (Sez. V, 17 maggio 2000, n. 2884).
La dottrina evidenzia come tale
atteggiamento interpretativo è, in qualche misura, ispirato dall’esigenza di
reagire ad una eccessiva proliferazione dei ricorsi, stigmatizzando le condotte
“poco leali” di determinati concorrenti, i quali partecipano alla
gara, con una sorta di “riserva mentale”, sciolta soltanto nel caso
di esito sfavorevole del procedimento.
L’autonomia dell’interesse
sembra manifestarsi, in particolare, tutte le volte in cui le prescrizioni del
bando fissano regole che segnano un’incidenza, diretta od indiretta (ma sempre
determinante) sulle condotte delle imprese concorrenti, già rilevanti
all’interno dello svolgimento della gara.
La rilevanza diretta si
manifesta in relazione a quelle prescrizioni che impongono ai partecipanti
determinati oneri formali, prescritti a pena di esclusione e contestuali all’offerta,
quali la produzione di documenti o la redazione dell’offerta secondo
specifiche modalità estrinseche.
Il risalto indiretto, ma pure
decisivo (e comportante l’onere di immediata impugnazione della elex
specialis di gara), potrebbe riguardare, invece le clausole del bando che,
stabilendo, in modo puntuale e vincolante, determinati criteri di valutazione
dell’offerta, ne condizionano la stessa composizione interna.
Tuttavia, l’atteggiamento della dottrina nei riguardi di questo percorso motivazionale è tendenzialmente molto critico, rilevandosi che, in tal modo, si elevano al rango di interessi protetti i cosiddetti interessi procedimentali, quelle situazioni, cioè, aventi ad oggetto non beni della vita ma atti del procedimento, frammentando l’unitario interesse protetto del partecipante in un fascio di situazioni soggettive a “protezione anticipata”.
Si è anche prospettato il
rischio che l’anticipata protezione della posizione giuridica dei concorrenti
colleghi l’interesse al ricorso ad una lesione potenziale, anziché effettiva
della posizione giuridica tutelata.
Si afferma, al riguardo, che
oggetto dell’interesse protetto non è la legittimità del comportamento dell’amministrazione
(che sostituisce, semmai, il limite della protezione) ma invece l’assetto di
interessi che il provvedimento amministrativo realizza. L’interesse protetto
è leso non dall’astratto contenuto programmatico del bando - salvo che non
determini un arresto procedimentale - ma dal concreto regolamento di interessi
del provvedimento finale, vale a dire dall’aggiudicazione.
In secondo luogo, si osserva che
se il procedimento di evidenza pubblica è in funzione della legalità e del
buon andamento della scelta del contraente privato, non è dato comprendere come
i partecipanti alla gara possano avere un interesse protetto alla regolarità
del procedimento autonomo da quello all’aggiudicazione, piuttosto che un
interesse all’aggiudicazione protetto dall’ordinamento nei limiti della
legittimità del procedimento di gara.
Né assumerebbe rilievo la
struttura vincolata o discrezionale della clausola: la lesione dell’interesse
protetto non si determina che con l’aggiudicazione e ciò non solo per ragioni
di imputazione formale degli effetti, ma perché, per vincolata che sia la
clausola, ne è possibile la disapplicazione o la diversa interpretazione da
parte dell’amministrazione aggiudicatrice o l’inapplicabilità per
situazioni sopravvenute determinate dal fatto di terzi.
La giurisprudenza richiamata in
precedenza, favorevole ad un ampliamento (più o meno esteso) dell’onere di
impugnativa del bando di tali ipotesi, non afferma sempre la generalizzata anticipazione, ma individua diversi parametri interpretativi, volti a
delimitare (cumulativamente od alternativamente) l’operatività dell’onere.
In particolare, l’onere di
immediata impugnazione del bando è talvolta subordinato ad un’accurata
analisi della singola fattispecie, che metta in luce, fra l’altro, i seguenti
aspetti:
- il contenuto della clausola del bando sospetta di illegittimità;
- il tipo di vizio dedotto dalla parte ricorrente;
- l’interesse concretamente manifestato dall’impresa;
- l’attitudine della partecipazione alla procedura selettiva a manifestare univocamente l’acquiescenza alle regole della gara;
- l’influenza della regola fissata dal bando sui comportamenti dei concorrenti e sulla condotta della stazione appaltante;
- l’incidenza della clausola sullo svolgimento concreto della gara e sui suoi esiti.
La ricerca di adeguati criteri selettivi, pur nell’ottica di un marcato ampliamento delle ipotesi di immediata impugnabilità del bando, deriva anche da un’altra considerazione, puntualmente sottolineata dalla dottrina. Sostenere che tutte le clausole del bando regolanti le modalità procedurali della gara devono essere immediatamente impugnate, perché lesive di un interesse generale alla legittimità dell’azione amministrativa, significherebbe minare la concezione del processo amministrativo come giurisdizione di tipo subiettivo (per la protezione di posizioni sostanziali autonome e differenziate), in favore di una tutela oggettiva dell’interesse pubblico alla legittimità dell’atto amministrativo.
La stessa preoccupazione di
ordine sistematico, che conduce ad una articolata nuova proposizione dell’indirizzo
tradizionale, è compiutamente sviluppata da una recentissima decisione della VI
Sezione (22 gennaio 2001, n. 192/2001), secondo la quale “il ricorso
amministrativo non è rimedio dato nell’esclusivo interesse oggettivo della
giustizia, ma principalmente per tutelare posizioni dei singoli, i quali non
sono tenuti a denunciare l’illegittimità degli atti, della quale, pure,
abbiano conoscenza, se non nei limiti e nel momento in cui tale illegittimità
si traduca concretamente in una lesione ai propri interessi”.
Detta pronuncia, in particolare,
ha ritenuto che non vi è onere di immediata impugnazione della clausola del
bando che prescrive l’inclusione in un’unica busta dell’offerta tecnica e
di quella economica.
La decisione confuta la tesi
secondo cui l’onere di immediata impugnazione deriverebbe anche da un “obbligo
di leale cooperazione” del privato. Tale dovere non opera nei casi in cui
il procedimento sia “condotto unilateralmente dall’amministrazione”,
essendo, “per contro, onere esclusivo di quest’ultima adoperarsi perché
la propria attività si svolga in conformità alla legge”.
Secondo tale pronuncia, poi, l’onere
di immediata impugnazione non svolgerebbe alcuna utile funzione deflattiva del
contenzioso: al contrario “si determinerebbe il proliferare di giudizi
preventivi, instaurati tuzioristicamente dai partecipanti ad una gara, non solo
con il sovvertimento dei principi in tema di concretezza e attualità della
titolarità dell’interesse all’azione, ma anche con grave intralcio all’ordinato
svolgimento dell’attività amministrativa”.
Analoga posizione critica nei confronti dei nuovi indirizzi, e in sostanza più vicina alla tesi tradizionale, è espressa dalla decisione del Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 3 dicembre 2001, n. 635, secondo la quale il bando di gara d’appalto di lavori e la lettera di invito devono essere necessariamente impugnati immediatamente solo qualora il concorrente subisca, per effetto della clausola ritenuta illegittima, un pregiudizio diretto ed attuale, come nella ipotesi in cui vengano introdotti nella procedura limiti e vincoli tali da precludere al concorrente, di per sé, ed ex ante, la possibilità di partecipare o di aggiudicarsi la gara (ad esempio, quando si prescrivono requisiti di ammissione), mentre quando non si verifichi questo pregiudizio immediato la singola clausola ritenuta illegittima va impugnata unitamente al provvedimento che, in attuazione della stessa, determini un pregiudizio attuale e diretto: nella specie non è stata considerata immediatamente lesiva la clausola che imponeva ai concorrenti che avessero voluto, in caso si aggiudicazione, associarsi in ATI, di specificare tale volontà nella delega).
Ciò posto, è necessario analizzare le diverse ipotesi concrete in cui la giurisprudenza più recente ha affermato l’onere di immediata impugnazione del bando di gara. I casi riguardano aspetti particolari della procedura selettiva, idonei ad evidenziare una peculiare rilevanza immediata dell’interesse al ricorso e della correlata lesione della posizione giuridica tutelata.
Si consideri, in primo luogo, il
caso di vizi del bando di gara incidenti sulla stessa possibilità di formulare
una adeguata offerta. In tali eventualità, l’onere di immediata
impugnazione mira ad evitare che il concorrente, solo perché non
aggiudicatario, possa rimettere in discussione l’intero procedimento
contrattuale, al quale ha pure partecipato senza esprimere riserve.
Il pregiudizio lamentato,
attenendo alla libertà di autodeterminazione negoziale, si palesa,
immediatamente, già al momento della formulazione dell’offerta economica. La
mancata aggiudicazione del contratto determina solo l’aggravamento e la
definitiva cristallizzazione della lesione, ma non comporta l’autonoma
insorgenza dell’interesse al gravame.
Ma anche nell’ipotesi in cui il bando evidenzi illegittimità di carattere formale o procedimentale, attinenti alla composizione del seggio di gara, oppure alla disciplina della sua attività (in seduta pubblica o segreta), si afferma che l’interesse all’impugnativa si manifesta immediatamente, perché il ricorso mira a denunciare dei vizi estrinseci del procedimento. In questa prospettiva, il gravame non è condizionato, in modo apprezzabile, dal concreto svolgimento dell’iter, o dalla sua conclusione. In tale eventualità, semmai, il concorrente intende proteggere l’interesse alla trasparente dialettica con il seggio di gara: la posizione differenziata e strumentale al corretto svolgimento della selezione si connette strettamente alla libertà negoziale ed alla tutela del fisiologico confronto concorrenziale con le altre imprese.
Ammettendosi l’impugnazione del
bando differita e contestuale alla proposizione del ricorso contro l’aggiudicazione,
si permetterebbe a tutti i concorrenti, diversi dall’aggiudicatario, di
vanificare in radice l’attività compiuta.
In questo ambito concettuale si
situano alcune pronunce cautelari (V, 20 settembre 2000 e 12 dicembre 2000, n.
6356), che hanno affermato l’onere di immediata impugnazione delle clausole
del bando riguardanti la fissazione della durata delle prove concorsuali:
in detta eventualità appare evidente il carattere meramente strumentale dell’interesse
fatto valere, del tutto insensibile alle vicende conclusive del procedimento.
In tali casi, si afferma che
manca la possibilità di una lesione rinnovata al momento della chiusura
del procedimento ad evidenza pubblica. Infatti, la clausola riguardante le
modalità formali di svolgimento della gara, se non fosse immediatamente lesiva,
non lo sarebbe nemmeno in un momento successivo. Poiché la prescrizione del
bando ha per oggetto la protezione di un mero interesse procedimentale,
non sarebbe neppure configurabile una posizione di interesse legittimo
tutelabile.
Pertanto, la giurisprudenza della Quinta Sezione, pur condividendo, in astratto, l’assunto dell’ampliamento dei casi di immediata impugnazione del bando di gara, ha spesso escluso, in concreto, la sussistenza dell’onere, quando la clausola del bando non incide in modo diretto e definito sull’interesse strumentale del concorrente.
In quest’ordine di idee la Sezione (decisione 15 giugno 2001, n. 3187) ha escluso la sussistenza dell’onere di immediata impugnazione del bando di gara per l’affidamento di un incarico di progettazione, il quale prevedeva lo svolgimento di due distinte fasi selettive, attribuendo un punteggio ad elementi considerati anche quali requisiti di ammissione alla gara. Secondo detta decisione non vi è onere di immediata impugnazione, in quanto
- la dedotta illegittimità del bando non tocca la composizione dell’offerta, nei suoi aspetti economici e tecnici;
- i vizi prospettati non riguardano nemmeno i profili meramente formali ed estrinseci dello sviluppo procedimentale della selezione contrattuale;
- nella vicenda in giudizio, le censure proposte dall’interessato riguardano i contenuti sostanziali della procedura svolta, in relazione alle sue concrete applicazioni.
In altri termini, la pronuncia afferma che l’onere di immediata impugnazione del bando, per quanto dilatato, non può estendersi alle ipotesi in cui l’impugnazione assume ad oggetto una clausola idonea ad incidere sulla concreta valutazione delle offerte e dei requisiti soggettivi dei concorrenti, collegata, dunque, ad una successiva manifestazione di volontà discrezionale (la quale attribuisce rilevanza anche ai vari profili strettamente tecnici, insiti nell’apprezzamento specialistico riservato alla “giuria”), compiutamente espressa solo in sede di attuazione della clausola.
Allo stato, quindi, emergono, in giurisprudenza, diverse posizioni interpretative, sintetizzabili nel seguente modo:
- tesi tradizionale: l’impugnazione immediata del bando è circoscritta alle sole clausole riguardanti i requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura selettiva;
- tesi della lesione necessariamente rinviata alla conclusione della procedura selettiva: il bando è impugnabile insieme all’atto concretamente lesivo (esclusione; aggiudicazione in favore di un altro concorrente);
- tesi della disapplicazione del bando contrastante con norme inderogabili, quanto meno nelle ipotesi in cui esse sono di derivazione comunitaria;
- tesi della necessaria impugnazione immediata di tutte le clausole del bando, in quanto incidenti sulla definizione della lex specialis di gara;
- tesi che estende l’onere di impugnazione alle sole clausole vincolanti per l’amministrazione o per i concorrenti;
- tesi che amplia l’onere dell’immediata impugnazione alle sole clausole che definiscono gli oneri formali ed oggettivi di partecipazione (quali le modalità di presentazione dell’offerta);
- tesi che estende l’onere di impugnazione alle sole prescrizioni del bando che condizionano, anche indirettamente, la formulazione dell’offerta economica (fra cui quelle riguardanti il metodo di gara e la valutazione dell’anomalia);
- tesi che impone l’onere di immediata impugnazione delle clausole riguardanti la composizione, il funzionamento del seggio di gara, in quanto incidenti sull’autonomo interesse del concorrente.
La Sezione ritiene che la
soluzione tradizionale (indicata alla lettera A) ha il pregio di offrire,
tuttora, un criterio certo, uniforme e, normalmente di facile applicazione,
utile ad individuare i casi in cui le parti interessate hanno l’onere di
immediata impugnazione del bando di gara.
Detta conclusione appare, poi, in
maggiore sintonia con i principi che governano il processo amministrativo e
definiscono il requisito dell’interesse al ricorso.
Peraltro, la Sezione è dell’avviso
che gli stessi principi generali possano imporre un parziale ampliamento delle
ipotesi di impugnazione immediata, con particolare (ed esclusivo) riguardo alle
clausole relative alle modalità oggettive di partecipazione alla gara.
Anche in tal caso, le clausole in
questione hanno attitudine a determinare l’immediato arresto procedimentale,
nei confronti dei soggetti che non rispettano le prescrizioni riguardanti le
modalità di presentazione delle offerte, oppure gli oneri strettamente formali
e procedimentali, connessi alla domanda di partecipazione alla procedura
selettiva.
Nelle altre ipotesi, invece, sembra che debba affermarsi la regola dell’impugnazione congiunta all’atto applicativo, ferma restando la facoltà (e non l’onere di proporre ricorso immediato contro il bando di gara).
In definitiva, quindi, costituiscono questioni di massima importanza, e se ne rimette l’esame all’Adunanza Plenaria, quelle se:
- l’intervenuta esecuzione integrale dell’appalto rende inammissibile od improcedibile il ricorso per l’annullamento dell’aggiudicazione, ferma restando la proponibilità e la procedibilità dell’azione risarcitoria;
- le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito, diverse da quelle riguardanti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, debbano essere impugnate entro il termine decorrente dalla loro conoscenza legale o se possano essere impugnate contestualmente all’atto applicativo, che conclude, per l’interessato, la procedura selettiva;
- le clausole dei bandi di gara o di concorso o delle lettere di invito possano essere disapplicate dal giudice in caso di contrasto con il diritto comunitario.
Le statuizioni sulle spese sono riservate alla decisione definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rimette all’Adunanza Plenaria la decisione dell’appello;
ordina che la presente decisione
sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 marzo 2002, con
l'intervento dei signori:
Alfonso Quaranta - Presidente
Corrado Allegretta - Consigliere
Filoreto D’Agostino - Consigliere
Claudio Marchitiello - Consigliere
Marco Lipari - Consigliere Est.