EDILIZIA - 002 - ABUSI EDILIZI
Traslazione di edificio – Accertamento di conformità –
Favorevole – Oblazione applicabile – Criteri di calcolo
QUESITO
Un cittadino, munito di regolare permesso di costruire per un nuovo capannone, di circa 1.600 mq, su un lotto libero, ha commesso un abuso edilizio realizzando la costruzione autorizzata ubicata in modo diverso sullo stesso lotto di area, cioè sensibilmente spostata con il risultato che la superficie coperta, solo per 700 mq ricade nel perimetro della superficie coperta autorizzata, mentre il resto (circa il 56%) si trova all’esterno di esso.
Si deve dire che per ogni altro aspetto la costruzione realizzata è perfettamente identica a quella autorizzata, in termini di superficie, volume, sagoma, prospetti, destinazione d’uso, numero delle unità immobiliari e distribuzione interna.
L’edificio, anche nella nuova posizione, non contrasta con le norme dello strumento urbanistico in materia di distanze dai confini e dagli edifici preesistenti, pertanto può essere sanato ai sensi dell’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001. Tanto che il proprietario ha presentato, dopo il rilievo dell’abuso, apposita domanda di permesso di costruire in sanatoria (accertamento di conformità) il quale, superata l’istruttoria in senso favorevole, è praticamente pronto per essere rilasciato.
Si è posto però il problema della misura dell’oblazione che, come noto, ai sensi della norma citata, è pari al doppio del contributo di costruzione dovuto in via ordinaria.
Pur essendo pacifico il calcolo del contributo sulla costruzione nel suo insieme, si vorrebbe sapere, nel caso specifico come si debba procedere al calcolo dell’oblazione, stante che la costruzione non pare totalmente difforme (quanto meno perché una parte della superficie coperta realizzata coincide con una parte della superficie coperta autorizzata).
L’abuso edilizio in parola è esemplificato nello schema allegato.
Porzione concessa e non realizzata |
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Porzione
sovrapposta tra quanto concesso e quanto realizzato |
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Porzione
realizzata esternamente a quanto concesso |
RISPOSTA
Pur non essendo essenziale ai fini
del calcolo dell’oblazione, è opportuno inquadrare in
qualche modo la tipologia dell’abuso. Scontato che non si
tratta di costruzione in assenza di permesso di costruire (esistendo un titolo
abilitativo originario connesso al manufatto), va esaminata
l’ipotesi di difformità totale, (che è poi trattata dalla
legge alla stessa stregua dell’assenza di permesso).
La
totale difformità si verifica con la realizzazione di un
organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche
tipologiche, planimetriche o di utilizzazione da quello oggetto
del permesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi
oltre quanto autorizzato tali da costituire un organismo edilizio
o parte di esso con specifica rilevanza e autonomamente
utilizzabile (articolo
31,
comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Esclusa la seconda parte della descrizione relativa
all’eccesso di volumi in quanto non ne ricorrono le
condizioni che, sia detto per inciso, devono ricorrere
contemporaneamente sotto il profilo della rilevanza specifica e
dell’autonoma utilizzabilità (cfr. Corte di Cassazione,
Sez. III penale, 26 febbraio 1990). Immutate le caratteristiche
tipologiche o di utilizzazione potrebbe rilevarsi la modifica
delle caratteristiche planimetriche. Anche questo aspetto però
non pare del tutto conferente: a parte che la diversità delle
caratteristiche planimetriche pare riferita più
all’edificio in quanto tale (al pari delle altre condizioni)
e non alla collocazione sul lotto e l’edificio in oggetto è
identico a quello autorizzato anche dal punto di vista planimetrico
(inteso come ingombro o come perimetro), ma se pure il concetto
di caratteristica planimetrica fosse esteso alla collocazione sul
lotto non si avrebbe quella "integrale" diversità,
sintomo della "totale" difformità, richiesta dalla
norma, posto che almeno una parte dell’edificio realizzato
(700 mq su 1.600 mq) coincide con quello autorizzato, togliendo
spazio all’applicabilità delle due locuzioni
"integralmente diverso" e "difformità
totale" che non possono essere interpretate se non alla
lettera.
La terza ipotesi è quella delle variazioni essenziali di cui all’articolo 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, dove la lettera c) parla di "modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull'area di pertinenza". E’ indubbio che, pur essendo discutibile la modifica sostanziale di parametri urbanistico-edilizi (che dovrebbero comunque essersi verificati, almeno per quanto riguarda la rilevante modifica alle distanze dai confini) vi è una modifica rilevante della localizzazione dell’edificio sul lotto (visto che esso è per il 56% realizzato all’esterno del perimetro autorizzato). Al momento non è rilevante che tutti i parametri (compreso quello delle distanze) siano conformi alle norme dello strumento urbanistico, in quanto le variazioni essenziali sono definite con riferimento al progetto approvato; la loro conformità o meno allo strumento urbanistico è rilevante solo in relazione alla possibilità o meno di sanatoria.
Sul punto però sorge un altro dubbio e riguarda le leggi regionali emanate in attuazione del predetto articolo 32. In particolare la regione Lombardia, con l'articolo 54 della legge regionale n. 12 del 2005, ha determinato le variazioni essenziali in attuazione della norma quadro nazionale, ma proprio in relazione alla lettera c) non ha in alcun modo disciplinato la traslazione dell’edificio (cioè la sostanziale modifica della localizzazione). La norma regionale lombarda, sul punto, è carente dove non prevede una fattispecie penalmente rilevante per il legislatore nazionale (cioè quella particolare forma di variazione essenziale che consiste nella sostanziale modifica della localizzazione).
Non ha caso il T.A.R. Lombardia, Sez. II, 16 maggio 1989, n. 192, ha affermato che "La realizzazione di un edificio traslato rispetto al progetto approvato di circa il 70% integra, ai sensi dell'articolo 8, lettera c), legge n. 47 del 1985 (ora articolo 32 del d.P.R. n. 380 del 2001), un'ipotesi di variazione essenziale, legittimamente sanzionata con l'emissione di un'ordinanza di demolizione assunta ex articolo 7 legge citata"..
Secondo una interpretazione rigorosamente letterale della predetta norma regionale lombarda, l’abuso quindi non rientra nell’ipotesi di "variazione essenziale" in quanto non ricorrono le condizioni della legge regionale attuativa dell’articolo 32 del d.P.R. n. 380 del 2001. In tal caso non ci si potrebbe sottrarre all’unica ipotesi rimasta da valutare, cioè la difformità parziale ex articolo 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 (la quale comporta sia l’obbligo di denuncia penale, sia la sanzione della demolizione, a determinate condizioni, sia la possibilità di accertamento di conformità, positivo stando a quanto affermato nel quesito, di cui all’articolo 36 del d.P.R. n. 380 del 2001).
Prescindendo dalla legge regionale lombarda e argomentando sulla base della norma statale, l’abuso è da considerare come variazione essenziale, limitatamente alla fattispecie di cui al comma 1, lettera c), della relativa norma, sotto il profilo della modifica sostanziale della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza.
E’ invece escluso, per contro, che l’abuso possa rientrate nelle ipotesi di varianti minori di cui all’articolo 22, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 (denuncia di inizio attività postuma), ipotesi depenalizzata sin dal 1985.
Pur non avendo risolto definitivamente il problema dell’inquadramento giuridico della fattispecie abusiva, in quanto essa potrebbe essere sia variazione essenziale ex articolo 32, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 sia difformità parziale ex articolo 34 stesso d.P.R., si vedrà che, se sul piano amministrativo le due fattispecie sono trattate in modo diverso (la prima soggetta alla sola demolizione e, in mancanza, all’acquisizione al patrimonio comunale; la seconda alla demolizione ma con l’alternativa, a determinate condizioni, della sanzione pecuniaria), esse sono trattate allo stesso modo sul piano penale, ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera a) (in assenza di vincoli particolari di tutela).
In ogni caso l’abuso è suscettibile di sanatoria e quindi di accertamento di conformità, con il successivo rilascio del permesso di costruire postumo.
Resta quindi il problema della quantificazione dell’oblazione ex articolo 36, che poi è l'oggetto ultimo del quesito, con la ricerca del criterio di calcolo del contributo di costruzione sulla parte abusiva (da raddoppiare ai fini dell’oblazione). Per ragioni di comprensione poniamo che il contributo unitario sia pari ad 1 euro al mq, in modo che contributo e superfici coincidano. Dato per scontato che in sede di permesso di costruire originario sia stato corrisposto un contributo pari a 1.600 euro e che medio tempore le tariffe non siano mutate si possono formulare i seguenti scenari:
- ipotesi 1 (punitiva): si applica il contributo dovuto alla costruzione realizzata (1.600), si raddoppia (ottenendo 3.200); indubbiamente si deve restituire (o accreditare a titolo di oblazione) quanto pagato in origine (sempre 1.600) per il permesso di costruire praticamente non utilizzato; il risultato totale è sempre 3.200, pari a quanto avrebbe pagato a titolo di oblazione colui che avesse edificato le medesime opere senza premunirsi di alcun permesso; mentre nel nostro caso un permesso non solo esiste, ma la nuova costruzione non è totalmente difforme (fattispecie che avrebbe reso ragionevole e conforme alla legge equiparare la misura dell’oblazione a quella dovuta da una costruzione senza titolo);
- ipotesi 2 (intermedia): il contributo da raddoppiare si calcola solo sulla parte che non coincide planimetricamente con quanto autorizzato (dal quesito il 56%, cioè mq 900 su 1.600), in tal caso l’oblazione sarebbe pari a 900 x 2 = 1.800 euro; andrebbe restituito quanto pagato in origine e non realizzato? Senz’altro si, altrimenti il versamento totale salirebbe a 3.400 euro e sarebbe superiore a quello dell’ipotesi 1, oggettivamente più grave; quindi 1.800, più 1.600 già versati in origine, meno 900 attinenti alla parte autorizzata e non realizzata, risultato finale pari a 2.500 euro; ipotesi interessante in ordine alla ragionevolezza;
- ipotesi 3 (favorevole): se non c’è difformità totale né variazione essenziale (con i dubbi posti all’inizio), non vi sono parti difformi quindi non vi è "la quantità" alla quale riferire il contributo da raddoppiare a titolo di oblazione; in questa ipotesi però sarebbe conseguita la sanatoria senza alcuna oblazione (rimanendo in essere il solo versamento del contributo iniziale già effettuato); dovendo dubitare della possibilità di estinzione del reato senza oblazione e dell’assenza di sanzione amministrativa di fronte ad un’attività antigiuridica perseguibile, questa ipotesi, seppure assistita dal principio del favor rei (peraltro principio assoluto solo in sede penale), suscita notevoli perplessità.
Si noti che la detrazione del contributo versato per spazi non realizzati è dovuta, altrimenti chi ha costruito in difformità dal titolo (totale o parziale adesso non importa) pagherebbe molto di più da chi ha costruito senza titolo alcuno.
E’ pur vero che l’articolo
36, comma 3, ultimo periodo, del d.P.R. n. 380 del 2001, riserva il
calcolo dell’oblazione alla sola parte di opera difforme
dal permesso di costruire ai casi di parziale difformità (quindi a
quelli di cui all’articolo
34) e non alle variazioni essenziali, tuttavia, più per intuito che per
dimostrazione, seppure con la coscienza dello scarso fascino della conclusione,
si propende per la seconda soluzione; essa sembra più conforme ai principi
generali dell’ordinamento. Nessuna disposizione nel coacervo di norme attinenti
gli abusi formali sanabili ci autorizza a credere che debba per forza esserci un
trattamento identico, sul piano della sanzione amministrativa, tra chi ha
costruito in assenza di titolo o in totale difformità da questo e chi a
costruito con variazioni essenziali. Sul piano della rilevanza penale, sono
applicate le norme specifiche e, in assenza di sanatoria, il diverso trattamento
(nel senso della gravità delle sanzioni proporzionato alla gravità dell’attività
antigiuridica) pare assicurato ed è comunque rimesso alle scelte del
legislatore; tanto che le prime sono punite dall’articolo
44, comma 1, lettera b), mentre le variazioni essenziali sono
punite dall’articolo
44, comma 1, lettera a), in modo molto meno grave. Sul piano
amministrativo, laddove tale proporzionalità è prevista dalla
legge, anche in considerazione di diverse alternative,
trova una sua espressione automatica nell’applicazione del
contributo di costruzione alle sole parti abusive, mentre laddove
tale proporzionalità non è prevista, si impone
all’interprete un’applicazione conforme ai principi
dell’ordinamento. Cioè il calcolo del contributo sarà
riferito a quegli spazi non previsti nel permesso di costruire originario
senza essere esteso a quelli che, se realizzati a sé stanti,
sarebbero stati intrinsecamente legittimi (o, al massimo, oggetto
di una variante "riduttiva").
Che poi possa verificarsi
l’ipotesi nella quale chi ha costruito completamente fuori
dal perimetro del fabbricato previsto dalla concessione debba
corrispondere un’oblazione identica a colui che non era
munito di permesso di costruire non pare irragionevole; abbiamo
detto che sul piano penale operano le relative norme di stretta
interpretazione e le due fattispecie non sono considerate in
maniera diversa, e sul piano amministrativo i due abusi sono
sostanzialmente identici (urbanisticamente il secondo era senza
titolo ma il primo ha disatteso totalmente un titolo rilasciato,
cosa che non accade per le variazioni essenziali).
La soluzione prospettata ha il pregio di sfruttare il principio consolidato del diverso ambito in cui si collocano i due procedimenti, l’uno del rilascio del permesso di costruire e l’altro del calcolo del relativo contributo. Il fatto che poi il contributo, raddoppiato, assuma il carattere di oblazione estintiva del reato, attiene alla discrezionalità riconosciuta al legislatore e sfugge alle nostre considerazioni di opportunità.