I maggiori costi che si verifichino nella esecuzione di opere e lavori pubblici possono concretare fattispecie di danno erariale e la legge assegna all'Autorità il compito di accertare che dall'esecuzione dei lavori non sia derivato danno erariale, il che, volto in positivo, sta a dire che occorre disporre accertamento nei casi di danno.
Ciò al fine della trasmissione degli atti ai soggetti interessati ed alla Procura generale della Corte dei conti.
Una prima precisazione da fare sul tema è nel senso che non è previsto, ancorché nel 1994 e negli anni successivi in cui sono intervenute modifiche alla legge sui lavori pubblici esistessero già le Procure regionali della Corte dei conti, un rapporto diretto dell'Autorità con questi organi decentrati.
Una seconda precisazione è che le fattispecie di danno erariale se comportano diseconomicità della gestione dei lavori pubblici, devono essere oggetto di cognizione da parte dell'Autorità ai fini dell'esercizio della sua funzione di vigilanza e quindi vanno segnalate dalle amministrazioni all'Autorità stessa, anche se ne sia contemporaneamente investita la Procura regionale competente.
Inoltre, la previsione che gli atti e i rilievi devono essere trasmessi, oltre che alla Procura generale, ai "soggetti interessati", nel caso di pregiudizio per il pubblico erario, assegna all'Autorità la funzione di rendere consapevoli e gli autori dei fatti e le autorità competenti dell'amministrazione o ente che ha subito il danno del prevedibile intervento dell'organo giudiziario con l'esercizio dell'azione di responsabilità a ristoro del danno.
Questo avviso (previa delibera dell'Autorità e con nota del Presidente) può incentivare l'adozione, con effetti immediati, di provvedimenti intesi a conseguire in sede amministrativa la reintegrazione del danno arrecato, ad evitare il perdurare di situazioni lesive per la finanza pubblica.
Il Presidente
DETERMINAZIONE n. 3 del 2
agosto 1999
Dsiscordanza nell'offerta del prezzo in cifre e quello in lettere
(G.U. n. 107 del 10 maggio 2000, s.o. n. 71)
Il Comune di C.V. ha posto il quesito della individuazione dell'offerta valida nel caso di discordanza tra i valori espressi in cifre e quelli espressi in lettere nell'ambito di una licitazione tenuta con il criterio della media di cui all'art. 21, comma 1-bis, legge n. 109 del 1994.
Nella specie, con il bando era indetto un pubblico incanto, con il criterio di aggiudicazione del massimo ribasso sull'importo delle opere a corpo posto a base di gara e con il criterio delle offerte anomale, per l'effettuazione di lavori di copertura e rinaturazione di un canale di bonifica.
Dopo l'individuazione delle due migliori offerte secondo il criterio di calcolo della soglia di anomalia, una impresa esclusa allegava che la percentuale di ribasso scritta in cifre sulla propria offerta, tenuta in considerazione in sede di gara, era discordante da quella scritta in lettere, che invece la rendeva aggiudicataria provvisoria dell'appalto, in quanto titolare della seconda migliore offerta.
Secondo l'art. 72, comma 2, del R.D. 23 maggio 1924, n. 827 (Regolamento sulla contabilità di Stato), «Quando in una offerta all'asta vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicalo in cifre, è valida l'indicazione più vantaggiosa per l'amministrazione». Detta norma risolve dunque il caso di discordanza tra lettere e cifre considerando non già le forme in cui la volontà viene espressa, ma il vantaggio derivante all'Amministrazione dalla scelta dell'una o dell'altra.
In altri termini, è esclusa un'indagine sulla volontà del partecipante alla gara, in presenza di una norma pubblicistica - l'art. 72, appunto - posta a presidio della realizzazione del pubblico interesse, e pertanto prevalente sulle norme di diritto comune applicabili alla interpretazione della volontà nei contratti.
Questa constatazione è idonea a far ritenere applicabile il citato art. 72 anche ai casi di aggiudicazione con il sistema della media, in quanto tale disposizione è espressione di una soluzione normativa per le ipotesi di dubbia interpretazione della volontà di parte nella formulazione dell'offerta.
La interpretazione così fissata trova riscontro nella prevalente giurisprudenza amministrativa, secondo cui sono giuridicamente irrilevanti sia l'equivocità che può derivare dalla discordanza tra un'offerta in cifre ed una in lettere, sia la causa di tale equivocità, in presenza «del tassativo criterio normativo che conferisce validità giuridica alla dichiarazione più favorevole per l'Amministrazione».
Il Presidente