EDILIZIA - 003
Corte Costituzionale, 20 maggio 1999, n. 179
Dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 7, numeri 2, 3,4
e dell'articolo 40 della legge n. 1150 del 1942 nonché dell'articolo 2, primo comma,
della legge n. 1187 del 1968 nella parte in cui consentono alla pubblica amministrazione
la reiterazione senza indennizzo dei vincoli urbanistici (preordinati all'espropriazione o
di inedificabilità assoluta) dopo la scadenza quinquennale.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e dell'art. 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 aprile 1942, n. 1150), promosso con ordinanza emessa il 1° luglio 1996 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dal Comune di Roma contro C.G.R. ed altri, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visti gli atti di costituzione di Cestelli Guidi Riccardo ed altri e del Comune di Roma, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1998 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
uditi gli avvocati Giuseppe Lavitola per Cestelli Guidi Riccardo ed altri, Mauro Mertis per il Comune di Roma, e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso del giudizio di appello promosso avverso la sentenza 14 aprile 1993, n. 600 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I, che aveva definito il giudizio di impugnazione avverso delibera della Giunta municipale di Roma con la quale erano stati reiterati vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza del quinquennio di legge, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a cui il ricorso era stato rimesso dalla IV Sezione dello stesso Consiglio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 aprile 1942, n. 1150), in riferimento agli articoli. 42, terzo comma, 97, 9, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione.
Il giudice rimettente, dopo aver ricostruito
l'iter processuale della vicenda, avente ad oggetto la predetta deliberazione della giunta
municipale di Roma, ha osservato, in via preliminare, che la cognizione della questione
è, per giurisprudenza costante della Corte di cassazione, devoluta al giudice
amministrativo.
In diritto, il giudice a quo richiama i vari interventi normativi e le sentenze della
Corte costituzionale che, in sostanza, hanno creato la disciplina attuale dei vincoli inaedificandi.
Conseguentemente, la legge 19 novembre 1968, n. 1187 ha previsto, all'art. 2, primo comma:
"Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni
determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione od a
vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque
anni dalla data di approvazione del piano regolatore non siano stati approvati i relativi
piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia
dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani
particolareggiati e di lottizzazione".
Il predetto termine di scadenza
dell'efficacia delle indicazioni di piano è stato successivamente prorogato fino
all'entrata in vigore della legge sulla edificabilità dei suoli e delle relative leggi
regionali sull'implicito presupposto che la questione avrebbe trovato definitiva soluzione
in quella sede.
Ciò, in realtà, non è avvenuto, in quanto - come ritenuto dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 5 del 1980 - lo ius aedificandi continua ad inerire al diritto
di proprietà, con il conseguente obbligo di indennizzo anche nel caso di espropriazioni
di valore.
Sulla questione è intervenuta la Corte costituzionale, una prima volta con la sentenza n.
82 del 1982, la quale ha ammesso la legittimità costituzionale delle disposizioni degli
articoli. 1, 2 e 5 della legge n. 1187 del 1968, ritenendo che il legislatore abbia la
facoltà di scelta tra la previsione di un indennizzo e la predeterminazione di un termine
di durata dell'efficacia del vincolo; successivamente, con la sentenza n. 575 del 1989, ha
affermato che la temporaneità e la indennizzabilità dei vincoli urbanistici di natura
espropriativa sono tra loro alternative, per cui l'indeterminatezza temporale comporta il
diritto all'indennizzo.
Ciò posto, il giudice a quo si pone il problema relativo al trattamento della
reiterazione di vincoli temporanei: reiterazione che sarebbe ammissibile senza indennizzo
a condizione di non superare la soglia massima di temporaneità del vincolo, al di là
della quale la reiterazione integrerebbe gli estremi della fattispecie espropriativa e
determinerebbe la corresponsione dell'indennizzo.
Tale problema non troverebbe soluzione nella normativa vigente, la quale non contiene la
previsione di una fattispecie espropriativa "tassativa"; il che, ad avviso del
giudice a quo, può costituire un primo profilo di illegittimità costituzionale
del sistema, in relazione alla riserva di legge di cui all'articolo 42, terzo comma, della Costituzione,
in quanto l'accertamento degli estremi della fattispecie espropriativa sarebbe rimesso
all'apprezzamento discrezionale dell'amministrazione e del giudice, con compromissione
della certezza del diritto in una materia che esige uniformità di soluzioni.
Altro profilo di illegittimità costituzionale, sempre in relazione all'art. 42, terzo
comma, della Costituzione, è ravvisato dal giudice a quo nella mancanza, nella
legge, di criteri di determinazione dell'indennizzo per i casi di espropriazione di
valore, determinazione che sarebbe necessaria sia per la concreta attuabilità del diritto
all'indennizzo che per la copertura della spesa.
Infine, la mancata determinazione con legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli
costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell'indennizzo, appare al giudice
a quo in contrasto con gli articoli 97 della Costituzione, in quanto deviazione dal
modello di buon andamento della pianificazione urbanistica, 9, secondo comma, e 32, primo
comma, della Costituzione in relazione alla tutela del paesaggio e del diritto alla
salute, giacché la mancata determinazione sarebbe di ostacolo al bilanciamento tra
interessi costituzionalmente rilevanti, quali il diritto di proprietà, da un lato, e gli
altri interessi costituzionalmente protetti cui è preordinata l'attività di
pianificazione urbanistica, dall'altro.
2.- Nel giudizio si sono costituiti il Comune di Roma, il quale ha chiesto la reiezione della sollevata questione di legittimità costituzionale, e alcune parti private che hanno chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle disposizioni sottoposte all'esame della Corte.
3.- Nel giudizio è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Ha escluso, in particolare, che la questione proposta possa trovare soluzione con una
pronuncia meramente caducatoria delle norme denunciate.
Peraltro, la stessa ordinanza di rinvio non offrirebbe alcuna indicazione da cui si possa
trarre la convinzione che nel giudizio principale si concretizzi quel "punto di
rottura" prefigurato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 575 del 1989, nel
senso che l'esercizio della potestà di reiterare indefinitamente i vincoli determini
situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà, secondo i principi affermati
dalle sentenze nn. 6 del 1966 e 55 del 1968 della Corte, giacché sembrerebbe che nel
giudizio principale siano in gioco vincoli di prima reiterazione e, come tali, non
collocabili oltre la soglia di tollerabilità.
4.- Nellimminenza della data stabilita
per ludienza pubblica il Comune di Roma ha depositato una memoria, con cui
eccepisce, preliminarmente, la inammissibilità, per difetto di rilevanza e per difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo, delle questioni sottoposte allesame della
Corte, e, nel merito, chiede che le stesse siano dichiarate manifestamente infondate.
Rileva, in particolare - con riferimento alleccezione di inammissibilità - che in
relazione alle posizioni fatte valere vi sarebbe un difetto assoluto di giurisdizione, non
sussistendo né la giurisdizione del giudice ordinario, né quella del giudice
amministrativo, e ciò in quanto la situazione fatta valere non sarebbe configurabile né
come diritto soggettivo, né come interesse legittimo.
Tuttal più, qualora si volesse ritenere la configurabilità di un diritto
soggettivo, la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario.
In relazione al difetto di rilevanza, osserva che la questione di costituzionalità è
stata sollevata in relazione ad ipotesi che possono dar luogo ad indeterminatezza
temporale dei vincoli, mentre, nella specie, si tratta di prima reiterazione.
Nel merito, conclude per la infondatezza della questione sollevata, sullassunto che,
in presenza dei principi nei quali si concreta la disciplina dei vincoli inaedificandi,
dovrebbe escludersi che la reiterazione per la prima volta ovvero successive
reiterazioni possano concretizzare lindeterminatezza temporale censurata.
5.- E stata, altresì, depositata
memoria nellinteresse di alcune parti private, con cui, da un lato, viene
evidenziata la rilevanza della questione di costituzionalità, a nulla valendo che si
tratti di reiterazione plurime di vincoli ovvero di prima reiterazione, e viene confutata
leccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato.
Dallaltro, passando allesame del merito, viene negata la illegittimità
costituzionale delle norme denunciate, con argomentazioni miranti a sostenere la
legittimità del sistema alla stregua della legislazione vigente in base ad una
interpretazione del complesso sistema attuale in senso conforme ai principi
costituzionali, nel senso di ammettere, cioè, lindennizzo nei casi come quello di
specie, anche alla luce della normativa internazionale, di diretta applicazione nel nostro
ordinamento, con particolare riferimento alle norme della convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti delluomo e delle libertà fondamentali e del protocollo
addizionale alla convenzione stessa.
In subordine, qualora non si ritenga che il sistema, nel suo complesso, possa offrire
adeguata tutela al diritto di proprietà, si insiste per la declaratoria di
incostituzionalità delle norme impugnate.
Considerato in diritto
1.- Le questioni sottoposte all'esame della Corte hanno per oggetto gli artt. 7, numeri 2, 3, e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come risultante rispettivamente a seguito degli artt. 1 e 5 della legge 19 novembre 1968, n. 1187) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sotto il profilo della violazione dellart. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto - come si evince dalla interpretazione corrente - consentono allAmministrazione di reiterare il vincolo scaduto indefinitamente nel tempo, ponendo in essere una fattispecie sostanzialmente espropriativa senza la previsione di indennizzo e, comunque, senza la previsione di criteri per la determinazione dello stesso; viene altresì denunciata la violazione dell'art. 97, sotto il profilo della deviazione dal modello del buon andamento della pianificazione urbanistica, dellart. 9, secondo comma, per il contrasto con la tutela del paesaggio, nonché dellart. 32, primo comma, della Costituzione in relazione al diritto alla salute.
2.- Preliminarmente, devono essere esaminate
le eccezioni di inammissibilità proposte dal Presidente del Consiglio e dal Comune di
Roma.
Le eccezioni di inammissibilità, per mancanza di rilevanza e per difetto di
giurisdizione, sono prive di fondamento, in quanto l'ordinanza di rimessione contiene una
motivazione tuttaltro che implausibile sia sulla rilevanza delle questioni, in
relazione ai motivi di appello ritenuti prioritari, sia sulla giurisdizione esercitata in
materia di vincoli. Il ragionamento del giudice rimettente si svolge sulla base della
duplice considerazione di dover fare applicazione delle norme denunciate (di cui è
evidente lincidenza, in quanto il giudizio a quo riguarda limpugnazione
di una delibera comunale di reiterazione di vincoli urbanistici divenuti inefficaci per
scadenza del quinquennio di legge) e di ritenere le questioni medesime, rientranti
nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo sulla base di un indirizzo
interpretativo della Corte di cassazione con argomentazioni anche esse non implausibili e
non palesemente arbitrarie (v. per tutte, le sentenze della Cassazione, sez. un., 28
ottobre 1995, n. 11308, e 15 ottobre 1992, n. 11257).
Ciò è sufficiente per respingere le eccezioni formulate, non potendosi procedere, in
questa sede, ad un sindacato (diverso dal controllo esterno) sul giudizio di rilevanza,
espresso dallordinanza di rimessione in modo non implausibile (v. per tutte,
sentenza n. 286 del 1997) e con motivazione tuttaltro che carente (v. ordinanza n.
62 del 1997).
Allo stesso modo la inammissibilità delle questioni incidentali di legittimità
costituzionale, sotto il profilo della carenza della giurisdizione del giudice a quo,
può verificarsi solo quando il difetto di giurisdizione emerga in modo macroscopico e
manifesto, cioè ictu oculi (sentenza n. 98 del 1997; ordinanza n. 167 del 1997).
3.- Passando allesame delle questioni sollevate, occorre premettere che il problema di un indennizzo a seguito di vincoli urbanistici - come alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dellefficacia del vincolo (sentenza n. 55 del 1968; n. 82 del 1982; n. 344 del 1995) - si può porre sul piano costituzionale quando si tratta di vincoli che:
- siano preordinati allespropriazione,
ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come
effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entità ed incisività, del contenuto della
proprietà stessa, mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo
particolare su beni determinati (sentenza n. 6 del 1966, sviluppata nella successiva n. 55
del 1968, e, tra le più recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n. 186 e
n. 185 del 1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta, qualora non
siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato o delle
Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto speciale, sentenza n. 344 del 1995; n.
82 del 1982; n. 1164 del 1988);
- superino la durata che dal legislatore sia stata determinata come limite, non
irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da parte del
singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo, ove non intervenga
lespropriazione (sentenza n. 186 del 1993), ovvero non si inizi la procedura
attuativa (preordinata allesproprio) attraverso lapprovazione di piani
particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione
fissati dalla legge;
- superino sotto un profilo quantitativo ("per la maggiore o minore incidenza che il
sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto": sentenza n. 6 del 1966) la normale
tollerabilità secondo una concezione della proprietà, che resta regolata dalla legge per
i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art. 42, secondo comma,
della Costituzione).
Nello stesso tempo, occorre sottolineare l'indirizzo secondo cui "è propria della potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare nel tempo i vincoli su beni individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze urbanistiche" (sentenza n. 575 del 1989). Essendo i due requisiti della temporaneità e della indennizzabilità tra loro alternativi, lindeterminatezza temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli nel tempo anche con diversa destinazione o con altri mezzi, "è costituzionalmente legittima a condizione che lesercizio di detta potestà non determini situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà secondo i principi affermati dalle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968" (sentenza n. 575 del 1989).
4.- La giurisprudenza della Corte ha inoltre
affermato che non sono inquadrabili negli schemi dellespropriazione, dei vincoli
indennizzabili e dei termini di durata i beni immobili aventi valore
paesistico-ambientale, "in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione
in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge"
(sentenze n. 417 del 1995; n. 56 del 1968, da interpretarsi in maniera unitaria con la
coeva sentenza n. 55 del 1968, n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n. 648 del
1988; n. 391 del 1989; n. 344 del 1990).
Più in generale si è ritenuto che la legge può non disporre indennizzi quando i modi ed
i limiti imposti - previsti dalla legge direttamente o con il completamento attraverso un
particolare procedimento amministrativo - attengano, con carattere di generalità per
tutti i consociati e quindi in modo obiettivo (sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968),
ad intere categorie di beni, e per ciò interessino la generalità dei soggetti con una
sottoposizione indifferenziata di essi - anche per zone territoriali - ad un particolare
regime secondo le caratteristiche intrinseche del bene stesso. Non si può porre un
problema di indennizzo se il vincolo, previsto in base a legge, abbia riguardo ai modi di
godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni, ovvero quando la legge
stessa regoli la relazione che i beni abbiano rispetto ad altri beni o interessi pubblici
preminenti.
Devono di conseguenza essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale
risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti
edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche,
quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici,
le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di
fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e
simili.
5.- Inoltre è da precisare esplicitamente che sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con lalternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso liniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.
6.- Sulla base delle anzidette premesse può
essere confermato che la reiterazione in via amministrativa degli anzidetti vincoli
decaduti (preordinati all'espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo),
ovvero la proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista
in talune regioni a statuto speciale (v., per questultimo profilo, sentenze n. 344
del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988) non sono fenomeni di per sé inammissibili dal
punto di vista costituzionale. Infatti possono esistere ragioni giustificative accertate
attraverso una valutazione procedimentale (con adeguata motivazione)
dellamministrazione preposta alla gestione del territorio o rispettivamente
apprezzate dalla discrezionalità legislativa entro i limiti della non irragionevolezza e
non arbitrarietà (v. sentenze n. 344 del 1995; nn. 186 e 185 del 1993; n. 1164 del 1988).
Invece, assumono certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione
o una proroga sine die o allinfinito (attraverso la reiterazione di proroghe
a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle altre), o quando il limite
temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non
contenuto in termini di ragionevolezza (sentenza n. 344 del 1995). Ciò ovviamente in
assenza di previsione alternativa dellindennizzo (sentenze n. 344 del 1995; n. 575
del 1989), e fermo, beninteso, che lobbligo dellindennizzo opera una volta
superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia).
Del resto la giurisprudenza amministrativa, a proposito della reiterazione dei vincoli, ha
delineato un diritto vivente (che deve essere tenuto presente per risolvere la questione
di legittimità costituzionale prospettata), secondo cui la reiterazione dei vincoli
urbanistici decaduti per effetto del decorso del termine può ritenersi legittima sul
piano amministrativo se corredata da una congrua e specifica motivazione sulla attualità
della previsione, con nuova ed adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati
coinvolti, e con giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più
dettagliata e concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo.
Da quanto sopra deriva, come ulteriore conseguenza, che deve essere separato e distinto il
profilo della ammissibilità e legittimità delle reiterazioni in via amministrativa dei
vincoli urbanistici c.d. espropriativi, attuate in conformità ai principi ricavabili
dalla giurisprudenza succitata, di modo che la reiterazione può essere ritenuta
giustificata dalle esigenze appositamente valutate e motivate come attuali e persistenti:
ciò non di meno si realizza un obbligo indennitario.
Infatti, per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica (come sopra
delimitati), lobbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il
primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di
regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime transitorio), quale
determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, come indice della normale
sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo, qualora non sia
intervenuta lespropriazione ovvero non siano approvati i piani attuativi.
In altri termini, una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di
franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette
caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via
alternativa allespropriazione (o al serio inizio dellattività preordinata
allespropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla
previsione di un indennizzo.
Il potere della pubblica amministrazione di programmazione urbanistica e di realizzazione
dei progetti relativi alle esigenze generali (richiamate dalla ordinanza
dellAdunanza plenaria del Consiglio di Stato) non si può consumare per il semplice
fatto della scadenza dei termini di durata dei vincoli urbanistici innanzi delimitati, ove
persistano o sopravvengano situazioni che ne impongano la realizzazione anche se per
differenti finalità, per cui deve essere esclusa in radice la denunciata violazione degli
artt. 9, 32 e 97 della Costituzione.
Tuttavia, negli anzidetti casi, la mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in
contrasto con i principi costituzionali ricavabili dallart. 42, terzo comma, della
Costituzione, e di conseguenza ne deve essere dichiarata lillegittimità
costituzionale. Tale dichiarazione non può tradursi in una sentenza caducatoria, posto
che una simile pronuncia colpirebbe nel complesso i poteri di programmazione del
territorio, che devono poter essere esercitati nonostante la intervenuta scadenza dei
vincoli, ferma la necessità di previsione di indennizzo.
8.- Neppure si può ottenere in questa sede
un completo adeguamento alla legalità costituzionale mediante una pronuncia che provveda
a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dellindennizzo
nei casi sopra specificati.
Per la determinazione concreta dellindennizzo in conseguenza della reiterazione di
vincoli urbanistici esistono molteplici variabili, che non possono essere definite in sede
di verifica di legittimità costituzionale con una sentenza additiva, in quanto detto
indennizzo non è, nella quasi totalità dei casi (in ciò sta la netta differenza
rispetto alla diversa - anche per natura - indennità di esproprio), rapportabile a
perdita di proprietà. Né può essere utilizzato un criterio di liquidazione ragguagliato
esclusivamente al valore dellimmobile, in quanto il sacrificio subito consiste,
nella maggior parte dei casi, in una diminuzione di valore di scambio o di
utilizzabilità. Inoltre lindennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro (non
necessariamente integrale o equivalente al sacrificio, ma neppure simbolico) per una serie
di pregiudizi, che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito, e
deve essere commisurato o al mancato uso normale del bene, ovvero alla riduzione di
utilizzazione, ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato (locativo o di scambio)
rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il
vincolo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la illegittimità
costituzionale non dellintero complesso normativo che consente la reiterazione dei
vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo in tutti i casi di
permanenza del vincolo urbanistico (preordinato allespropriazione o comportante
lassoluta inedificabilità) oltre i limiti di durata fissati dal legislatore (quali
indici di ordinaria sopportabilità da parte dei singoli), ove non risulti in modo
inequivocabile linizio della procedura espropriativa. Con la conseguenza che la
reiterazione del vincolo deve comportare la previsione di indennizzo nei sensi suindicati,
restando al legislatore ogni possibilità di intervento, anche attraverso procedure
semplificate, per la concreta liquidazione dellindennizzo stesso.
Naturalmente - occorre di nuovo sottolineare - non da qualsiasi reiterazione di vincolo
urbanistico discende un pregiudizio al soggetto titolare del bene e un correlativo obbligo
a carico dellamministrazione di corrispondere un indennizzo. Nellambito del
modello indennitario si possono presentare una pluralità di soluzioni astrattamente
ipotizzabili, idonee ad assicurare un serio ristoro a favore del soggetto che subisce il
vincolo, in armonia con i principi costituzionali, tra le quali il legislatore può
operare una scelta.
Il necessario intervento legislativo dovrà precisare le modalità di attuazione del
principio dellindennizzabilità dei vincoli a contenuto espropriativo nei sensi
sopra indicati, delimitando le utilità economiche suscettibili di ristoro patrimoniale
nei confronti della pubblica amministrazione, e potrà esercitare scelte tra misure
risarcitorie, indennitarie, e anche, in taluni casi, tra misure alternative riparatorie
anche in forma specifica (v. ordinanza n. 165 del 1998), mediante offerta ed assegnazione
di altre aree idonee alle esigenze del soggetto che ha diritto ad un ristoro (v., come
esempio di misura sostitutiva di indennità, art.
30, primo e secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47), ovvero mediante altri
sistemi compensativi che non penalizzano i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche
che incidono su beni determinati.
9.- Lesigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell'indennizzo non esclude che - anche in caso di persistente mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e parametri per la liquidazione delle indennità - il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall'ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.
10.- In conclusione restano al di fuori
dell'ambito dell'indennizzabilità i vincoli incidenti con carattere di generalità e in
modo obiettivo su intere categorie di beni - ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici
-, i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione
urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche
attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non
superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità e i vincoli non eccedenti
la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile.
Pertanto deve essere dichiarata lillegittimità costituzionale del combinato
disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge
urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed
integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consente
allAmministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati
allespropriazione o che comportino linedificabilità, senza la previsione di
indennizzo secondo modalità legislativamente previste ed in conformità ai principi sopra
richiamati.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara lillegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consente allAmministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati allespropriazione o che comportino linedificabilità, senza la previsione di indennizzo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1999.
Renato GRANATA , Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 20 maggio 1999.