LAVORI PUBBLICI -
102
Consiglio di Stato, sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1716
Obbligo di qualificazione e divieto di subappalto per le categorie
superspecializzate ex art. 72, comma
4, d.P.R. n. 554 del 1999 e criteri applicativi dell'art.
13, comma 7 della legge n. 109 del 1994.
Le modifiche introdotte con la legge n. 166 del 2002 hanno natura interpretativa
e non innovativa ne consegue che sin dall'origine, così come attualmente,
l'obbligo di qualificazione e il divieto di subappalto riguarda le sole
categorie superspecializzate che eccedono il 15% del totale a prescindere dalla
presenza di altre categorie superspecializzate di importo inferiore.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
- sul ricorso in appello n. 6016/02, proposto da:
A.C. s.r.l. in proprio e quale mandataria dell'Associazione temporanea di imprese (A.T.I.) A.C. s.r.l. - E. S.p.A. - in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, rappresentate e difese dagli avv. A.M., M.Z. e A.C., ed elettivamente domiciliate presso ...
contro
ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (I.N.A.I.L.) - DIREZIONE CENTRALE PATRIMONIO, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. E.T. e V.P., ed elettivamente domiciliato presso gli stessi in ...
e nei confronti
dell’Impresa di costruzioni G.E., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. A.M. e F.L., ed elettivamente domiciliata presso ...
e
- sul ricorso in appello n. 10806/02, proposto da:
A.C. s.r.l. in proprio e quale mandataria dell'Associazione temporanea di imprese (A.T.I.) A.C. s.r.l. - E. S.p.A. - in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata;
contro
I.N.A.I.L., in persona del legale rappresentante in carica, non costituito in giudizio;
e nei confronti
dell’Impresa di costruzioni G.E., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
del dispositivo 12 giugno 2002, n. 33 e della sentenza 7 agosto 2002, n. 7050 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III (nel ricorso in appello n. 6016/02), nonché della sentenza dello stesso Tribunale, medesima sezione, 13 novembre 2002, n. 9941 (nel ricorso in appello n. 10806/02);
visti i ricorsi in appello, ed i motivi successivamente
notificati nel ricorso n. 6016/02, con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio dell’I.N.A.I.L.
e dell’impresa di costruzioni G.E. (nel ricorso in appello n.
6016/02);
viste le memorie prodotte dalle società appellanti (in
entrambi ricorsi) e dall’I.N.A.I.L. (nel ricorso in appello n. 6016/02) a
sostegno delle rispettive difese;
visti tutti gli atti delle cause;
relatore all’udienza pubblica del 18 febbraio 2003 il
consigliere Carmine Volpe, e uditi altresì l’avv. A.M. le società
appellanti e l’avv. G.L.. in delega dell’avv. E.T., per l’I.N.A.I.L.;
ritenuto e considerato quanto segue.
FATTO
1. L’A.C. s.r.l., in proprio e quale mandataria dell’associazione temporanea di imprese (A.T.I.) A.C. s.r.l. – E. S.p.A., con ricorso notificato il 9 aprile 2002, impugnavano, innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il provvedimento dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (I.N.A.I.L.) – Direzione centrale del patrimonio, con cui veniva aggiudicata (in via definitiva l’8 aprile 2002), all’impresa di costruzioni G.E., la gara di licitazione privata relativa a lavori di manutenzione straordinaria per l’istituzione di un Centro protesico riabilitativo in Lamezia Terme. Impugnavano, altresì, ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso a quello suindicato, compresi per quanto occorra il bando ed i relativi allegati, e chiedevano di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.
2. La sezione III del detto Tribunale, con sentenza 7 agosto 2002, n. 7050, preceduta dal dispositivo 12 giugno 2002, n. 33, ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile, per irricevibilità del gravame nei confronti del bando di gara, e per il resto ha ordinato all’I.N.A.I.L. di depositare documentazione inerente la verifica della supposta anomalia dell’offerta dell’impresa aggiudicataria, in merito alla quale le società ricorrenti si erano riservate la facoltà di produrre motivi aggiunti; fissando per il prosieguo l’udienza del 6 novembre 2002.
Il primo giudice ha ritenuto che le società ricorrenti, le quali sostenevano che l’aggiudicataria non sarebbe stata adeguatamente qualificata per la categoria OS 30, avrebbero dovuto impugnare immediatamente il punto 3, lett. b), del bando, nel quale si indica un’unica categoria prevalente riferita alla OG 1 - cl. V, cui si affiancano, come categorie scorporabili e subappaltabili, altre cinque, fra le quali la OS 30 - cl. IV. La volontà dell’amministrazione, secondo il primo giudice, era stata chiaramente quella di richiedere ai partecipanti la qualificazione per la sola categoria prevalente, consentendo l’affidamento in subappalto delle lavorazioni attinenti alle altre categorie. La lesività della clausola è stata comunque conosciuta dalla Arcadia costruzioni s.r.l. sin dalla propria nota in data 7 febbraio 2002 inviata all’I.N.A.I.L., con la quale la stessa aveva chiesto l’accesso alla documentazione prodotta dall’impresa aggiudicataria e, in particolare, alla qualificazione relativa le categorie OS 28 e OS 30.
3. La sezione III del detto Tribunale, con sentenza 13 novembre 2002, n. 9941, ha dichiarato poi il ricorso inammissibile, vista la propria precedente sentenza n. 7050/02 e dato che, a fronte della documentazione depositata dall’I.N.A.I.L., le società ricorrenti, pur essendosi riservate, non avevano notificato alcun motivo di impugnazione. Ha condannato anche al pagamento delle spese di giudizio.
4. L’A.C. s.r.l., in proprio e nella detta qualità, e l’E. S.p.A., con un primo ricorso di appello (n. 6016/02), impugnano il citato dispositivo n. 33/2002. A seguito della pubblicazione della sentenza n. 7050/02, le società ricorrenti, ai sensi dell’art. 23-bis, comma 7, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, hanno notificato in data 25 ottobre 2002 i motivi di appello, precisando ulteriormente quelli già svolti in ambito di impugnazione del dispositivo.
I motivi sono i seguenti:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della l. 11
febbraio 1994, n. 109, e degli artt. 1 e seguenti del d.P.R. 25 gennaio 2000, n.
34; violazione e falsa applicazione dell’art.
13, comma 7 della legge n. 109 del 1994, degli artt. 72 e 74 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, dell’art.
30 del d.P.R. n. 34/2000 e della lex specialis della gara (art. 10 ed
allegato 1 del bando); eccesso di potere per travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto.
Si sostiene che l’impresa aggiudicataria si sarebbe dovuta
escludere, anche secondo il bando, poiché, pur se qualificata nella categoria
prevalente OG 1, non era qualificata per la categoria OS 30 (superspecializzata
a qualificazione obbligatoria); categoria che non era subappaltabile, superando
il 15 per cento del totale dei lavori, ai sensi dell’art. 13, comma 7, della
l. n. 109/1994. Così che l’appalto si sarebbe dovuto aggiudicare alle
ricorrenti;
2) illegittimità della lex specialis per
violazione
degli articoli 72 e 74 del d.P.R. n. 554 del 1999, e dell’art.
13, comma 7 della legge n. 109 del 1994; violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della l. n. 109/1994, e
degli artt. 1 e seguenti del d.P.R. n.
34/2000; eccesso di potere per
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
Si sostiene che il bando di gara non avrebbe contenuto alcuna
disposizione che consentiva il subappalto delle lavorazioni rientranti nella
categoria OS 30;
3) erroneità della pronuncia di inammissibilità del
ricorso.
Si sostiene che il bando di gara non si sarebbe dovuto
impugnare immediatamente, poiché:
a) non era univoco nel consentire la subappaltabilità delle opere rientranti nella categoria OS 30, dovendosi sempre rispettare il limite del 15 per cento di cui all’art. 13, comma 7 della legge n. 109 del 1994;
b) non era possibile conoscere la lesività della clausola, di per sé non univoca, se non nel momento della sua applicazione con l’aggiudicazione definitiva;
c) dalla lettera in data 7 febbraio 2002, trattandosi di semplice istanza di accesso, non si poteva dedurre la conoscibilità della portata lesiva della clausola del bando.
Si deduce, infine, che la presenza di un soggetto delegato dall’Arcadia costruzioni s.r.l. alla seduta del 2 ottobre 2002 sarebbe stata irrilevante, dato che lo stesso non aveva il potere di rappresentare l’impresa.
Con atto notificato il 17 dicembre 2002, le società ricorrenti hanno poi presentato un ulteriore motivo di appello, del seguente tenore:
1) violazione degli artt. 3 e 24 della costituzione;
irragionevolezza; disparità di trattamento; erronea applicazione del combinato
disposto degli artt. 149 del c.p.c. e 4, comma 3, della l. 20 novembre 1982, n.
890 (sentenza della Corte costituzionale 26 novembre 2002, n. 477).
Si sostiene che la notificazione del ricorso al
controinteressato, essendo avvenuta con il servizio postale, si sarebbe
perfezionata - secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 477/2002 - con
la consegna del plico all’ufficiale giudiziario (effettuata il 6 aprile 2002).
Ne consegue che, anche contando come dies a quo quello della citata nota
in data 7 febbraio 2002, la notificazione del ricorso non sarebbe stata tardiva.
Le appellanti chiedono, oltre l’annullamento del
dispositivo e della sentenza, nonché dei provvedimenti impugnati in primo
grado, di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il
risarcimento del danno; da commisurarsi nel 10 per cento dell’importo offerto
in gara dalle stesse, oltre al 10 per cento dell’importo non soggetto a
ribasso, esclusi gli oneri di sicurezza, ed alle spese di partecipazione alla
gara quantificabili in 3.000,00 euro.
5. L’Arcadia costruzioni s.r.l., in proprio e nella detta qualità, e l’Eleca s.p.a., con un secondo ricorso di appello (n. 10806/02), impugnano la citata sentenza n. 9941/2002 per gli stessi motivi svolti a fondamento del precedente ricorso in appello. Contestano in più la disposta condanna alle spese del giudizio.
6. Si sono costituiti, nel giudizio relativo al ricorso n. 6016/02, l’I.N.A.I.L. e l’impresa di costruzioni G.E. resistendo all’appello.
Le società appellanti (in entrambi ricorsi) e l’I.N.A.I.L. (nel ricorso in appello n. 6016/02) hanno depositato successive memorie illustrando ulteriormente le rispettive difese. Le società appellanti, in particolare, hanno insistito per la reintegrazione in forma specifica e per il risarcimento del danno.
DIRITTO
1. I ricorsi in appello, preliminarmente, devono essere riuniti per evidenti ragioni di connessione.
2. Il bando della gara di appalto di cui trattasi prevedeva, al punto 3, lett. b), dal titolo “natura ed entità dei lavori”, un importo complessivo di euro 9.047.168,01, così distinto:
categoria prevalente: OG 1 – cl. V – euro 5.332.417,48;
Categorie scorporabili e subappaltabili a qualificazione obbligatoria:
OS3 – cl. II – euro 531.434, 15;
OS 4 – cl. I – euro 197.802, 99;
OS 21 – cl. I – euro 230.339, 78;
OS 28 – cl. III – euro 1.190.949,61;
OS 30 – cl. IV – euro 1.358.798,10.
Ai sensi dell’articolo 74, comma 1, del d.P.R. n. 554 del 1999, “le imprese aggiudicatarie, in possesso della qualificazione nella categoria di opere generali ovvero nella categoria di opere specializzate indicate nel bando di gara come categoria prevalente possono, fatto salvo quanto previsto al comma 2, eseguire direttamente tutte le lavorazioni di cui si compone l'opera o il lavoro, anche se non sono in possesso delle relative qualificazioni, oppure subappaltare dette lavorazioni specializzate esclusivamente ad imprese in possesso delle relative qualificazioni”.
Il successivo comma 2 prescrive poi che “le lavorazioni relative a opere generali, e a strutture, impianti ed opere speciali di cui all'articolo 72, comma 4, indicate nel bando di gara, non possono essere eseguite direttamente dalle imprese qualificate per la sola categoria prevalente, se prive delle relative adeguate qualificazioni; esse, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 13, comma 7, della Legge, sono comunque subappaltabili ad imprese in possesso delle relative qualificazioni. Le medesime lavorazioni sono altresì scorporabili e sono indicate nei bandi di gara ai fini della costituzione di associazioni temporanee di tipo verticale”.
L’impresa aggiudicataria era qualificata nella categoria prevalente OG 1 (edifici civili e industriali) ma non nella categoria OS 30 (impianti interni elettrici, telefonici, radiotelefonici, e televisivi); categoria, quest’ultima, di “opere specializzate”, considerate “strutture, impianti e opere speciali”, dall’articolo 72, comma 4, lettera e), del d.P.R. n. 554 del 1999, se di importo superiore a quelli indicati dal successivo art. 73, comma 3 (come nel caso di specie: singolarmente superiore al 10 per cento dell’importo complessivo dell’opera o di importo superiore a 150.000 euro). L’allegato A al d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 elenca la categoria OS 30 tra quelle di opere specializzate e specifica, all’ultimo capoverso delle premesse, che “le lavorazioni di cui alle categorie generali nonché alle categorie specializzate per le quali nell'allegata tabella «corrispondenze nuove e vecchie categorie» è prescritta la qualificazione obbligatoria, qualora siano indicate nei bandi di gara come parti dell'intervento da realizzare, non possono essere eseguite dalle imprese aggiudicatarie se prive delle relative adeguate qualificazioni”.
Il bando, quindi, considerava correttamente la categoria OS 30 a qualificazione obbligatoria in quanto “altamente specializzata” (in tal senso, espressamente, si veda la determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici 20 dicembre 2001, n. 25).
L’impresa aggiudicataria, come appreso nel corso del giudizio di primo grado, aveva dichiarato di volere subappaltare le relative lavorazioni. Ma tali lavori speciali - che, tra l’altro, anche sulla base del chiaro tenore della detta clausola del bando, non possono essere assorbiti nella declaratoria della categoria prevalente generale - non erano subappaltabili poiché hanno valore superiore al 15 per cento dell’importo complessivo dei lavori.
Ai sensi dell’art. 13, comma 7 della legge n. 109 del 1994, “qualora nell'oggetto dell'appalto o della concessione rientrino, oltre ai lavori prevalenti, opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti ed opere speciali, e qualora ciascuna di tali opere superi altresì in valore il 15 per cento dell'importo totale dei lavori, esse non possono essere affidate in subappalto e sono eseguite esclusivamente dai soggetti affidatari. In tali casi, i soggetti che non siano in grado di realizzare le predette componenti sono tenuti a costituire, ai sensi del presente articolo, associazioni temporanee di tipo verticale, disciplinate dal regolamento che definisce altresì l'elenco delle opere di cui al presente comma”.
3. La sezione ritiene che quanto previsto dal punto 3, lett.
b), del bando non possa interpretarsi univocamente nel senso di escludere la
necessità della qualificazione dei concorrenti nella categoria OS 30 e di
ammettere, comunque e anche al di fuori dei limiti consentiti dalla legge (art.
13, comma 7, della l. n. 109/1984), il subappalto delle lavorazioni rientranti
nella medesima categoria. Il bando, al punto 10, prevedeva, inoltre, che i
concorrenti dovevano possedere l’attestazione rilasciata da società di
attestazione (SOA) di cui al d.P.R. n. 34/2000, e che le categorie e le
classifiche per le quali l’impresa è qualificata dovevano essere adeguate
alle categorie ed importi relativi ai lavori da appaltare.
Comunque, la clausola di cui al punto 3, lett. b), del bando
non si sarebbe dovuta impugnare immediatamente, prima dell’aggiudicazione, da
parte delle società ricorrenti, che avevano partecipato alla gara di cui
trattasi in associazione tra loro. E’, invece, dal momento dell’aggiudicazione
che è diventata attuale la lesione dell’interesse delle stesse.
I bandi di gara vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato. Il partecipante alla procedura concorsuale, a fronte della clausola illegittima del bando di gara, non è titolare di un interesse attuale all’impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della partecipazione alla procedura concorsuale; e, quindi, in un’effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare.
Il bando di gara, normalmente impugnabile con l’atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale, deve essere considerato immediatamente impugnabile solo allorché contenga clausole impeditive dell’ammissione dell’interessato alla selezione; con la conseguenza che la partecipazione alla gara e la presentazione della domanda non costituiscono acquiescenza e non impediscono la proposizione di un eventuale gravame (Cons. Stato, ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1).
Nella fattispecie per cui è causa, la lesione della situazione soggettiva delle società ricorrenti si è prodotta solo con l’aggiudicazione all’impresa controinteressata. Sulla base del bando non era possibile conoscere né le altre imprese concorrenti né il possesso o meno, in capo alle stesse, dei requisiti richiesti dal bando; nella specie, anche con riguardo al successivo momento dell’ammissione alla gara, le società ricorrenti non erano in grado di sapere se l’impresa controinteressata fosse stata o meno qualificata anche per la categoria OS 30. Fino al momento dell’aggiudicazione, che costituisce l’atto conclusivo del relativo procedimento, non era certo che l’istituto appellato avrebbe scelto l’offerta della società controinteressata; la quale, anzi, si sarebbe pure potuta escludere dalla gara (a seguito della disposta verifica dell’anomalia dell’offerta).
4. Il primo giudice non ha pronunciato correttamente anche
quando ha ritenuto che il termine per impugnare decorresse dall’istanza di
accesso agli atti, presentata dall’A.C. s.r.l. con raccomandata
in data 7 febbraio 2002.
L’istanza non provava certo l’avvenuta piena conoscenza
dei vizi della procedura. Essa era presentata al fine di visionare la
documentazione di gara dell’impresa eventualmente aggiudicataria ed in
particolare la qualificazione alle categorie OS 28 e OS 30; e veniva riscontrata
dall’istituto appellato con nota in data 29 marzo 2002, in cui si comunicava
unicamente da chi, dove e come l’accesso poteva essere effettuato.
Solo con la propria nota in data 20 febbraio 2002 l’A.C. s.r.l. manifestava la conoscenza della mancata qualificazione, da parte dell’impresa di costruzioni G.E. nella categoria OS 30. Ma, a decorrere da questo momento, il ricorso di primo grado, notificato (all’impresa controinteressata) il 9 aprile 2002, doveva considerarsi tempestivo.
5. Non è nemmeno decisiva, ai fini della decorrenza del
termine per impugnare, la presenza del rappresentante dell’A.C.
s.r.l. (ing. A.R.) alla seduta del 2 ottobre 2001.
La seduta, infatti, si concludeva con la proposta di
sottoporre a verifica di anomalia le offerte presentate dall’impresa poi
divenuta aggiudicataria e dalle società ricorrenti. L’aggiudicazione non era,
quindi, ancora intervenuta; così che quanto deciso nella detta seduta non
aveva, per le società ricorrenti, contenuto lesivo. E comunque l’avvenuta
conoscenza, in questa sede, dell’ammissione dell’impresa controinteressata
non ha comportato anche la conoscenza della mancata qualificazione della stessa
nella categoria OS 30.
6. Nel merito la tesi svolta dalle società ricorrenti è fondata.
L’amministrazione e l’impresa controinteressata sostengono che, in presenza di più opere speciali, come nella fattispecie per cui è causa, il divieto dell’affidamento in subappalto, previsto dall’art. 13, comma 7, della l. n. 109/1994, scatterebbe solo se le categorie altamente specializzate, singolarmente considerate, siano tutte di importo superiore al 15 per cento del totale dei lavori. Nella specie, invece, solo i lavori della categoria OS 30 superavano il detto importo e non quelli delle altre opere specializzate.
La sezione ritiene che la tesi, anche se fatta propria dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (determinazione 20 dicembre 2001, n. 25), secondo un’interpretazione della norma esclusivamente terminologica, non possa essere accolta, sulla base di principi di coerenza, logicità e ragionevolezza; principi che, pur nell’ambito di un’interpretazione letterale conforme all’art. 12, comma 1, delle disposizioni preliminari al c.c., non possono non essere seguiti se si vuole attribuire un senso alla norma.
Seguendo la tesi degli appellati, la subappaltabilità di un’opera altamente specializzata non prevalente di importo superiore al 15 per cento dei lavori complessivi dipenderebbe dalla presenza o meno di altre lavorazioni e dalla circostanza che anche tutte queste superino la detta percentuale del 15 per cento. In tal modo non si ammetterebbe il subappalto se l’opera altamente specializzata è una sola e supera di per sé il 15 per cento dell’importo totale dei lavori; lo si ammetterebbe, invece, nel medesimo caso se però vi è un’altra o vi sono altre opere altamente specializzate, quando anche solo una di queste altre non supera il detto limite. Il subappalto, così, non sarebbe ammesso solo nella prima ipotesi, anche se l’appalto è molto meno complesso rispetto alla seconda. Il che appare contrario alla logica sottostante l’art. 13, comma 7 della legge n. 109 del 1994, che è quella di imporre a chi assume l’appalto il possesso della qualificazione specifica per talune categorie di opere rilevanti sia qualitativamente, poiché complesse tecnicamente (altamente specializzate), sia quantitativamente, in quanto di per sé superiori al 15 per cento del totale dell’appalto. Ciò che interessa al sistema (art. 8 della l. n. 109/1994 e art. 1 e seguenti del d.P.R. n. 34/2000) è che l’opera sia eseguita direttamente, anche attraverso la costituzione di un’associazione temporanea di tipo verticale, da un soggetto idoneo, il quale sia adeguatamente qualificato, non solo per la categoria prevalente, ma anche per quelle lavorazioni che sono di elevato contenuto tecnico e di notevole rilevanza economica rispetto all’importo totale dei lavori.
Il termine ”ciascuna”, di cui all’art.
13, comma 7 della legge n. 109 del 1994, deve essere inteso nel senso che il divieto di subappalto
si applica alle sole opere altamente specializzate (indicate nel bando come
scorporabili) le quali hanno singolarmente valore superiore al 15 per cento dell’importo
totale dei lavori; senza bisogno che, qualora vi siano altre categorie altamente
specializzate, anche le altre, singolarmente considerate, siano tutte di importo
superiore al 15 per cento del valore complessivo dell’intervento.
Nel medesimo senso di quanto ritenuto dalla sezione è anche
la modifica apportata, al comma 7
dell'articolo 13 della legge n. 109 del 1994, dall’art.
7 della legge 1 agosto 2002, n. 166, che ha sostituito “una o più” a “ciascuna”.
La nuova norma, emanata successivamente alla presentazione del ricorso di primo
grado, ha carattere interpretativo e non innovativo. Essa, infatti, ha inteso
unicamente chiarire il significato di una disposizione che già in precedenza,
malgrado la sua non perspicua formulazione, andava così interpretata.
Ne consegue l’illegittimità dell’aggiudicazione all’impresa controinteressata, la quale non era qualificata per la categoria OS 30 né la poteva subappaltare. La gara, quindi, si sarebbe dovuta aggiudicare alle società ricorrenti, che si erano classificate al secondo posto.
7. Le appellanti chiedono il risarcimento in forma specifica, ossia l’aggiudicazione in proprio favore, sulla base della conseguente nullità del contratto, e il risarcimento per equivalente per la perdita relativa alla quota di lavori già realizzata; o, in via subordinata, il solo risarcimento per equivalente.
Ora, al fine di stabilire se il comportamento dell’amministrazione sia tale da comportare il risarcimento del danno ad esso conseguente, è necessario procedere alla positiva verifica di tutti requisiti previsti dalla legge; quali la sussistenza della lesione di una situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (il danno ingiusto), la colpa o il dolo dell’amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale, ed il nesso di causalità tra l’illecito e il danno subito (questa sezione 15 febbraio 2002, n. 924 e Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500).
Tuttavia, ai fini dell’individuazione della colpa in sede di domanda di risarcimento per danno ingiusto, se la violazione delle regole da parte della pubblica amministrazione è l’effetto di un errore scusabile, non è possibile configurare il requisito della colpa; se, invece, la violazione appare grave e matura in un contesto nel quale all’indirizzo dell’amministrazione sono formulati addebiti ragionevoli, specie sul piano della diligenza e della perizia, il requisito della colpa può dirsi sussistente (questa sezione, 4 novembre 2002, n. 6000).
Ciò premesso, la sezione ritiene che nella specie non sia sussistente l’elemento soggettivo. La violazione, da parte dell’amministrazione, di quanto disposto dall’art. 13, comma 7 della legge n. 109 del 1994, in tema di divieto di subappalto, è effetto di un errore scusabile della stessa, data l’oscurità della norma e le conseguenti difficoltà interpretative. Tanto che l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici si era determinata in un senso che avrebbe comportato la legittimità dell’impugnato provvedimento di aggiudicazione, ma in modo errato secondo l’interpretazione seguita dalla sezione con la presente decisione; ed è dovuta intervenire anche una successiva disposizione a chiarificazione ed interpretazione della norma (art. 7 della l. n. 166/2002).
Ne consegue che la domanda risarcitoria deve essere respinta, con riguardo sia alla reintegrazione in forma specifica che al risarcimento per equivalente.
Le società appellanti identificano la reintegrazione in
forma specifica nell’aggiudicazione da ordinare in proprio favore, sulla base
della conseguente nullità del contratto; il cui stato di esecuzione non è dato
conoscere sulla base degli atti di causa e la cui risoluzione, a seguito dell’annullamento
del presupposto provvedimento di aggiudicazione, non può essere messa in dubbio
(al proposito è indicativo quanto disposto, anche se in ambito di
infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, dall’art. 14,
comma 2, del d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190).
La sezione ritiene che la reintegrazione in forma specifica
del danno ingiusto - ai sensi dell’art. 35, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 80, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. c), della l. 21 luglio
2000, n. 205 - debba essere considerata alla stregua di un’alternativa
risarcitoria, potendo quest’ultima intervenire anche per equivalente ai sensi
dell’art. 2058 del c.c.. Essa rimane un rimedio risarcitorio (o comunque
riparatorio), ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del danneggiato
mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto
obbligatorio; e non va confusa né con l’azione di adempimento (con la quale
si chiede la condanna del debitore all’adempimento dell’obbligazione), né
con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica, quale strumento per
l’attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle
conseguenze pregiudizievoli.
La forma specifica non è né una forma eccezionale né una forma sussidiaria di responsabilità, ma uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito; la cui scelta spetta al creditore, salva l’ipotesi di eccessiva onerosità (art. 2058, comma 2, del c.c.) o di oggettiva impossibilità.
L’adozione, da parte dell’amministrazione, di un determinato provvedimento attiene a profili di adempimento e di esecuzione e non a quelli risarcitori; in presenza di accertata spettanza del provvedimento amministrativo preteso, come nel caso di specie, l’emanazione dello stesso non costituisce una misura risarcitoria, ma rappresenta la doverosa esecuzione di un obbligo che grava sull’amministrazione. Ciò a prescindere dall’esistenza dei requisiti previsti dalla legge per il risarcimento del danno (extracontrattuale o contrattuale che sia), quali, in particolare, un danno patrimonialmente apprezzabile e l’elemento soggettivo dell’illecito. Riportare tale fase nell’ambito della reintegrazione in forma specifica e, quindi, della tutela risarcitoria significa estendere a tale fase anche tutti i limiti di siffatta tutela, che sono più rigorosi rispetto a quelli previsti per l’esecuzione. Inoltre, mentre la reintegrazione in forma specifica richiede una verifica in termini di onerosità, ai sensi dell’art. 2058, comma 2, del c.c., tale verifica non è richiesta in relazione alle forme di esecuzione in forma specifica della prestazione originariamente dovuta, per le quali rileva la sola sopravvenuta impossibilità; unico limite a cui è assoggettato l’obbligo conformativo dell’amministrazione.
Ne consegue che non è ammissibile una domanda tesa nella sostanza ad ordinare all’amministrazione l’emanazione di provvedimenti amministrativi, anche se di carattere vincolato, o ad accertare un obbligo in tal senso (questa sezione, 18 giugno 2002, n. 3338, dalla quale non vi è motivo per discostarsi).
8. La fondatezza parziale del ricorso in appello n. 6016/02 comporta che non vi è luogo a pronunciare sul motivo di appello notificato dalle società ricorrenti il 17 dicembre 2002, che può essere assorbito; comporta anche che deve essere accolto in parte il ricorso n. 10806/02.
9. In conclusione, i ricorsi in appello, previa riunione, devono essere accolti in parte, con reiezione della domanda risarcitoria. In riforma delle sentenze appellate, deve essere accolto in parte il ricorso di primo grado e va annullato l’impugnato provvedimento di aggiudicazione in favore dell’impresa di costruzioni G.E.
Le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensati.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta:
a) riunisce i ricorsi in appello e li accoglie in parte, respingendo la domanda risarcitoria;
b) annulla le sentenze appellate;
c) accoglie in parte il ricorso di primo grado ed annulla l’impugnato provvedimento di aggiudicazione in favore dell’impresa di costruzioni G.E.;
d) compensa tra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio;
e) ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 18 febbraio 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:
Mario Egidio SCHINAIA, Presidente
Sergio SANTORO, Consigliere
Luigi MARUOTTI, Consigliere
Carmine VOLPE, Consigliere, Est.
Rosanna DE NICTOLIS, Consigliere