LAVORI PUBBLICI - 113
Consiglio di Stato, sezione VI, 19 agosto 2003, n. 4671
L'abilitazione impianti ex legge n. 46 del 1990 non può essere richiesta in gara ma solo in fase esecutiva. La categoria OG11, ove scorporabile, non rientra necessariamente nel divieto di subappalto e obbligo di A.T.I. ex articolo 13, comma 7, legge n. 109 del 1994; deve invece verificarsi se una o più d'una delle categorie specializzate che si intendono assorbite nella OG11 (OS3, OS5, OS28, OS30) superino o meno la soglia del 15%.

(per l'incidenza delle categorie si veda anche: Consiglio di Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6760)
(per i requisiti ulteriori si veda anche:
Consiglio di Stato, sez. VI, 7 gennaio 2005, n. 8292/2004)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da E.S.A. s.r.l., in persona del legale rappresentante E.S., rappresentato e difeso dagli avvocati L.A. ed A.B. ed elettivamente domiciliato in ...

contro

l’Università degli Studi di Salerno, in persona del Rettore pro-tempore, rappresentata e difesa dal prof. avv. A.P. e domiciliata ex lege in Roma, Via Cesi n.21 presso lo studio dell’Avv. V.G.; 

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Salerno, Sezione I - n.632 del 2002;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;

Alla camera di consiglio del 13 maggio 2003 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro.
Uditi, altresì, l’Avv. D.L. per delega dell’Avv. A. e l’Avv. P.;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con la delibera del 21/6/2001 il Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Salerno ha approvato il progetto dei lavori di adeguamento alla normativa vigente delle aule delle stecche 1 e 3 – sede universitaria di Fisciano – autorizzando, nel contempo, l’espletamento di apposita gara. Il bando di gara, dell’importo di euro 914.128,27 prevedeva, tra l’altro, che i partecipanti dovessero essere in possesso delle abilitazioni di cui alla legge n. 46 del 1990 alle lettere a), c), f), g). Alla gara hanno partecipato n. 48 concorrenti.

Al termine della procedura concorsuale è risultata aggiudicataria la società appellante con il ribasso del 27,121% sull’elenco prezzi posto a base di gara, in favore della quale la Commissione ha proceduto a dichiarare l’aggiudicazione provvisoria, con il verbale di gara n. 2 del 13/2/2002.

Inopinatamente, il Rettore dell’Università di Salerno, col decreto n. 623 del 19/2/2002, ha revocato (per l’appellante annullato) gli atti di gara e l’aggiudicazione provvisoria formulata a favore della società appellante, sull’assunto erroneo che sette concorrenti erano stati illegittimamente esclusi per avere dichiarato di voler subappaltare le abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 lett. a), c), f), g); ciò in quanto il bando di gara richiedeva il possesso delle suddette abilitazioni in capo ai partecipanti, quale requisito necessario per partecipare alla gara, mentre gli articoli 73, comma 2, e 74, comma 1, del d.p.r. n. 544 del 1999 consentirebbero il subappalto delle lavorazioni specializzate.

Per tali ragioni il Rettore, ritenendo che il bando di gara sarebbe in parte qua illegittimo, avendo limitato la partecipazione dei concorrenti, ha altresì stabilito, nel provvedimento di revoca, di indire nuova gara, il cui bando richiami gli articoli 73 e 74 del d.P.R. citati.

La società aggiudicataria ha, dunque, impugnato il decreto rettorale viziato da violazione e falsa applicazione degli articoli 73 e 74 del d.P.R. n. 554 del 1999 e del d.p.c.m. 10/1/1991, n. 55 e della legge n. 46/1990, da violazione dell’articolo 13, comma 7, della legge n. 109/1994, eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore nei presupposti, nonché illogicità e contraddittorietà, dato che le abilitazioni richieste ex lege n. 46/1990 in quanto connesse alla categoria scorporabile specialistica OG11, non potevano non essere in possesso dei partecipanti alla gara d’appalto, giusta il comma 7 dell’art. 13 della legge n. 109/1994.

Si costituiva l’amministrazione appaltante, per resistere al ricorso.

Il T.A.R. Campania ha rigettato il ricorso con sentenza succintamente motivata.

L’appello è articolato in quattro motivi:

1) Motivazione illogica perplessa e contraddittoria, violazione falsa applicazione degli artt. 73 e 74 del d.p.r. n. 544/1999, del d.p.c.m. 10 gennaio 1991, n. 55 e della legge n. 46/1990. Violazione dell’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti e di motivazione.

Il decreto rettorale impugnato con il ricorso di primo grado fonda l’annullamento degli atti di gara e dell’aggiudicazione provvisoria sull’assunto che il bando di gara sarebbe illegittimo perché non prevederebbe il subappalto delle abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 lett. a), c), f), g) ad imprese in possesso delle relative qualificazioni, in tal modo violando gli artt. 73, comma 2, e 74, comma 1, del d.P.R. n. 544/1999.
Il bando di gara tuttavia, secondo l’appellante, non ha escluso il subappalto, né lo ha vietato, né la Commissione di gara ha assunto il contrario, avendo la stessa escluso sette concorrenti per non avere il possesso delle abilitazioni, che volevano subappaltare in deroga ad un divieto di legge.
Il bando infatti prevede che i partecipanti alla gara debbano essere in possesso dei requisiti ivi indicati, tra cui le abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 lett. a), c,), f), g). 
Né il contrario affermano gli artt. 73, comma 2, e 74, comma 1, del d.P.R. n. 554/1999, norme poste a base del disposto annullamento.

Si vuol dire che una cosa è il possesso del requisito indispensabile per partecipare alla gara, una cosa è la subappaltabilità dei lavori.
Le sette imprese di cui si parla nel decreto n. 623/2002 sono state escluse dalla gara per difetto del possesso dei requisiti, che volevano subappaltare, non perché volevano subappaltare i relativi lavori.
Il decreto rettorale si fonda, quindi, su un’erronea interpretazione delle norme in esso citate.

Conferma di ciò si trae dal comma 2 dell’art. 74 del d.P.R. n. 554/1999, il quale stabilisce che la normativa in esso recata fa comunque salvo quanto previsto dall’art. 13, comma 7, della legge (109/1994). 
Tale norma stabilisce che nel caso di lavori scorporabili – fattispecie ricorrente nel caso specifico, sia perché sono impianti ed opere speciali quelle cui si riferiscono le abilitazioni de quibus, sia perché espressamente il bando prevede lavori scorporabili per lavori quasi pari a quelli prevalenti – “esse non possono essere affidate in subappalto”.
Quanto sopra non sarebbe – a tenor dell’appello – smentito dalla sentenza impugnata.che afferma che ai sensi del combinato disposto degli artt. 72 e 73 del d.P.R. n. 544/1999, contenente il regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, il concorrente in possesso della qualificazione relativa alla categoria prevalente, e cioè quella di importo più elevato fra le categorie costituenti l’intervento (art. 73), può eseguire direttamente tutte le lavorazioni di cui si compone l’opera, anche se non in possesso delle relative qualificazioni, oppure può subappaltare dette lavorazioni esclusivamente ad imprese in possesso delle relative qualificazioni (art. 74) tranne che non si tratti di opere specializzate.
Lo stesso giudice di primo grado sostiene quindi che non si possono eseguire opere specializzate da parte di chi non è in possesso delle relative qualificazioni, il che è quanto affermato dall’appellante nel ricorso di primo grado.
Il giudice di primo grado avrebbe così posto delle corrette premesse ermeneutiche fraintendendo la fattispecie concreta.
Ma anche ove si volessero ritenere subappaltabili tali lavorazioni la conclusione non cambierebbe perché altro è il possesso dell’iscrizione agli albi per l’esecuzione delle lavorazioni, altro è il requisito di cui all’art. 1 della legge n. 46/1990. Questo è un requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, attenendo all’idoneità tecnica del concorrente, e non essendo, quindi, per sua natura subappaltabile.
Tale lettura del bando è chiarissima per cui non può sostenersi che esso sia stato interpretato in modo restrittivo dalla stessa Commissione di gara.
A ciò può aggiungersi che le stazioni appaltanti possono richiedere requisiti ulteriori rispetto a quelli minimi prescritti, sicché ove ciò avvenga, non può per ciò solo disporsi poi l’annullamento della gara.
Né può assumersi la necessità di una maggiore partecipazione alla gara, risultando ben 48 le imprese partecipanti, numero di concorrenti difficilmente raggiungibile, e superabile rispetto all’indizione di una nuova gara, in conseguenza della nuova normativa sulla qualificazione delle imprese (S.O.A.) della cui certificazione solo pochissime imprese sono in possesso.

A tal proposito si cita la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato che, su un caso analogo, ha ritenuto che il profilo della motivazione di un atto di secondo grado, con il quale si affermava di voler tutelare l’esigenza della più ampia concorrenza, si rilevava falsato alla luce del numero di imprese a suo tempo ammesse in gara (C.d.S., VI, 14 gennaio 2000, n. 244).
Inoltre l’amministrazione non avrebbe valutato il rilevante ribasso con il quale la società ricorrente si è aggiudicata la gara. 
In definitiva non è dato riscontrare l’indefettibile presupposto dell’interesse pubblico che sempre deve essere posto a base dei provvedimenti adottati in via di autotutela. 
Tale profilo di illegittimità del provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado non è stato affatto valutato dal giudice di prime cure, con evidente vizio di infrapetizione.
In definitiva l’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994, norma non smentita dagli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 554 del 1999 che espressamente lo fanno salvo – stabilisce che, quando si è in presenza, come nella specie, di lavori specialistici di importo superiore al 15% del totale dei lavori a base d’asta, queste lavorazioni devono “essere eseguite esclusivamente dai soggetti affidatari. In tali casi i soggetti che non siano in grado di realizzare le predette componenti sono tenuti a costituire, ai sensi del presente articolo, associazioni temporanee di tipo verticale, disciplinate dal regolamento che definisce altresì l’elenco delle opere di cui al presente comma”.

La sostanza dei lavori inerenti specificamente la gara in esame è stata trascurata dal giudice poiché, questi, riferendosi alla categoria scorporabile OG11, la cui disciplina è dettata dall’art. 74, comma 2, del d.P.R. n. 554/99 e non dal comma 1, in quanto le opere de quibus erano opere speciali e di valore pari al 40,5% circa dell’importo complessivo dei lavori.
Le abilitazioni ex lege n. 46/1990 dunque sono connesse alla categoria OG11 che come è noto agli operatori del settore dei lavori pubblici, assorbe le categorie specializzate OS3, OS5, OS28, OS30, tutte previste nell’art. 72, comma 4, del regolamento generale.
Inoltre, nel caso de quo, i suddetti impianti tecnologici a cui le abilitazioni legge 46/1990 sono connesse, superano il 40% dell’importo totale dei lavori e sono pari quasi all’importo dei lavori prevalenti.

Ne consegue l’obbligo di qualificazione nella categoria e l’obbligo del possesso dei requisiti richiesti, con divieto di subappalto, residuando le possibilità, per le imprese prive del possesso dei requisiti, di costituire un’A.T.I. verticale.
Ove così non fosse, e si dovessero ritenere subappaltabili le suindicate lavorazioni specialistiche ammontanti lo si ripete, ad oltre il 40% dell’importo complessivo dei lavori, risulterebbe violato anche il comma 3 dell’art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55, come sostituito dal comma 1 dell’art. 34 della legge n. 109/1994, secondo il quale la quota subappaltabile non può essere superiore in ogni caso al 30%.

2) Violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990.

Il ricorrente era stato dichiarato aggiudicatario provvisorio della gara in questione, al predetto avrebbe dovuto essere comunicato l’avvio del procedimento, culminato nell’adozione del provvedimento impugnato.

3) Incompetenza.

La gara è stata bandita dal Consiglio di amministrazione, sicché in base al principio del contrarius actus l’annullamento avrebbe dovuto essere disposto dal Consiglio di amministrazione.Il riferimento del giudice di primo grado ad un atto di ratifica del provvedimento rettorale appare inammissibile, non ravvisandosi tale delibera in atti.

4) Eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento.Il disposto annullamento si pone contro precedenti specifici, relativi ad altri bandi che richiedevano tali abilitazioni ai fini della partecipazione alla gara.

In ultimo l’appello propone una domanda di risarcimento, a prescindere dalla fondatezza del ricorso, collegata ad un comportamento colpevole della stazione appaltante.

Resiste all’appello l’amministrazione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

La questione riguarda il progetto di lavori di adeguamento alla normativa vigente delle aule delle stecche 1 e 3 della sede universitaria di Fisciano, lavori approvati con delibera del 21 giugno 2001.

I lavori sono stati classificati per lit. 965.294.883 (euro 498.533,21) per opere riconducibili alla categoria OG1 prevalente e per lit. 718.150.011 (euro 370.893, 53) per opere scorporabili riconducibili alla categoria OG11.

Il bando di gara richiedeva il possesso delle abilitazioni della legge n. 46/1990, lett. a.), c), f) e g) da parte dei partecipanti (al punto 6 dedicato ai requisiti di partecipazione).

In merito al subappalto il bando di gara non lo vietava, ma al punto 15 prevedeva “è possibile il ricorso al subappalto ai sensi e con le modalità di cui all’art.18 della legge n. 55/1990 e successive modificazioni, ed al d.P.R. n. 544/1999”.
La società appellante – già aggiudicataria provvisoria della gara, svoltasi con asta pubblica, al prezzo più basso, determinato mediante offerta a ribasso sull’elenco prezzi posto a base dell’appalto, ai sensi della legge n. 415/1998, art. 21, comma 1, lett. a) impugna l’atto di revoca degli atti di gara e dell’aggiudicazione provvisoria, adottato dal Rettore il 19/2/2002, in considerazione dell’impostazione erronea del bando e delle conseguenti modalità di svolgimento della gara.
In materia di revoca dell’aggiudicazione, ancorché intervenuta nel corso dell’esecuzione del contratto, e quindi quando il rapporto è ormai giunto alla fase meramente privatistica, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di atto di esercizio di poteri pubblicistici di matrice provvedimentale (C. Stato, sez.V, 28/5/2001, n. 2895).

In via generale va anche ricordato che in materia di contratti della p.a., il potere di negare l’approvazione dell’aggiudicazione per ragioni di pubblico interesse ben può trovare fondamento, in via generale, in specifiche ragioni di pubblico interesse e non trova ostacoli nell’esistenza dell’avvenuta aggiudicazione definitiva o provvisoria; pertanto è illegittimo l’atto di revoca dell’aggiudicazione di un appalto di lavori che non sia motivato in base ad un pubblico interesse idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto diritto dell’aggiudicatario nei confronti dell’amministrazione (C. Stato, sez. V, 30/11/2000, n. 6365).
In sostanza l’aggiudicazione di un appalto pubblico è suscettibile di riesame nell’esercizio della potestà di autotutela della p.a., fermo restando che alla revoca può pervenirsi con atto successivo, adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico (C. Stato, sez. V, 20/9/2001, n. 4966).
L’atto impugnato ha rilevato che diciotto ditte sono state escluse, e che di queste ben sette lo sono state in considerazione della dichiarazione di voler subappaltare le (lavorazioni per le quali sono richeiste le ... - n.d.r.)  abilitazioni  di cui alla legge n. 46/1990 lett. a), c), f), g) previste al paragrafo 6 del bando di gara quale requisito e connesse alla categoria scorporabile OG11 indicata al paragrafo 5 del bando di gara.

Il rettore ha rilevato che gli articoli 73, comma 2, e 74, comma 1, del d.P.R. n. 554/1999 consentirebbero al concorrente in possesso delle qualificazioni relative alla categoria prevalente di eseguire direttamente tutte le lavorazioni di cui si compone l’opera, non rientranti nella categoria prevalente dell’appalto, anche se non in possesso delle relative qualificazioni, oppure subappaltare dette lavorazioni specializzate esclusivamente ad imprese in possesso delle relative qualificazioni.

Con questo passaggio argomentativo del provvedimento impugnato il rettore ha ritenuto subappaltabili i lavori ricondotti alla categoria scorporabile e quindi ha censurato l’operato della commissione che non ha dato rilievo alle dichiarazioni dei partecipanti relative all’intenzione di subappaltare i lavori che richiedevano tali abilitazioni.

Con successivo passaggio argomentativo il Rettore ha rilevato che il requisito previsto al paragrafo 6 del bando di gara, relativo alle abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 lett. a), b), c), f), g), inteso dalla Commissione di gara (e dal bando che così le configurava ) quale requisito di qualificazione ai fini della partecipazione al procedimento, è per legge, requisito necessario ai fini dell’esecuzione delle opere in appalto, e che, pertanto, le certificazioni previste dalla legge n. 46/1990, vanno rilasciate alla stazione appaltante dall’esecutore delle relative opere anche in regime di subappalto.
Ciò premesso, ritenuto il bando mal impostato e generante interpretazioni restrittive e limitative dell’esigenza di un’ampia partecipazione alla gara, al fine di ripristinare la legittimità della procedura e di garantire la più ampia partecipazione alla gara, si procedeva alla impugnata revoca.
Il primo motivo di appello è volto a contestare l’assunta subappaltabilità delle opere scorporabili in virtù di una interpretazione non del bando (che tale divieto non prevede) ma della normativa in tema di subappalto.
La tesi sostenuta dall’appellante è che le lavorazioni della categoria OG11 essendo lavorazioni specializzate, non possano essere subappaltate e quindi possano essere eseguite solo da chi è in possesso delle relative specializzazioni.
Si invoca in sostanza la diretta applicazione dell’art.13, comma 7, della legge n.109/1994 che vieta il ricorso al subappalto delle opere ad alto contenuto tecnologico quali le opere speciali.

Ritiene il Collegio che il primo motivo del ricorso di appello sia infondato.

Esso attiene ad una questione particolarmente controversa, quale quella della subappaltabilità delle opere ricomprese nella categoria generale OG11.
Va tuttavia rilevato, al fine di consentire un compiuto apprezzamento della fattispecie, che il provvedimento impugnato è un provvedimento di revoca per inopportunità, non di annullamento, si tratta di una decisione di non aggiudicare la gara per preminenti profili di opportunità piuttosto che per vizi di legittimità del bando originario, ed in tale decisione profilo rilevante è da riconoscersi all’interesse dell’amministrazione ad ottenere la più ampia partecipazione alla gara, che si assume sia stata limitata da un bando che prevedeva le abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 come requisiti di partecipazione.
E’ pacifico invece, fra le parti, che i certificati di abilitazioni di cui alla legge n. 46/1990 siano requisiti da dimostrare in fase esecutiva (e quindi conseguibili anche in un momento successivo all’aggiudicazione) (sul punto vi è la chiara delibera dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici del 17/4/2002 prodotta dall’Università appellata in data 12/11/2002 al numero 3 del foliario in pari data).
Va quindi rilevato che la revoca è avvenuta, in sostanza per incoerenza e contrarietà dell’azione amministrativa a canoni di buon andamento, dimostrata dall’erronea impostazione del bando in punto di requisiti di partecipazione e certificati di abilitazione, sicché tanto basterebbe a giustificare l’atto di autotutela.
Ma v’è di più, lo stesso appellante sostiene (pag. 3 dell’atto di appello e pag. 3 del ricorso al T.A.R. Campania) che “il bando di gara non ha vietato il subappalto, né la Commissione di gara ha assunto il contrario, avendo essa escluso sette concorrenti per il mancato possesso delle dette abilitazioni, che volevano perciò subappaltare, subappalto in tal caso vietato”.
In sostanza l’appello assume che il divieto di subappalto, nel caso di specie deriverebbe direttamente dalla legge (art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994) e che, in forza di esso, non avrebbe potuto prendersi in considerazione l’intento delle sette concorrenti di munirsi di abilitazioni ex lege n. 46/1990, ricorrendo ad imprese terze mediante il sub contratto.

In questo passaggio si rivela un vizio logico, ovvero di inversione dell’ordine di precedenza logica degli argomenti giuridici:
infatti se le abilitazioni ex lege n. 46/1990 sono requisiti di esecuzione e non di partecipazione essi sono comunque irrilevanti ai fini dell’esclusione dalla gara, non possono essere presi in considerazione ai fini dell’aggiudicazione, ma rilevano al momento della conclusione del contratto, che, ove non consenta poi l’ulteriore contratto di subappalto (come nella tesi sostenuta dalla ditta appellante), sarà concluso solo ove l’aggiudicatario si sia procurato le suddette abilitazioni ai fini esecutivi o si impegni a procurarsele prima dell’inizio dei lavori (altrimenti esponendosi ad inadempimento o revoca dell’aggiudica).

Quindi l’argomento per cui il divieto di subappalto vigente ex lege trasformerebbe i requisiti di esecuzione in requisiti di partecipazione prova troppo:
i requisiti di esecuzione rimangono tali anche se devono essere posseduti dall’aggiudicatario al momento dell’esecuzione, ciò non consente di ritenerli rilevanti al momento della qualificazione alla gara (come invece ritenuto dalla commissione nel corso della procedura revocata dal Rettore).
Da ciò l’irrisolvibile perplessità ed incoerenza dell’azione amministrativa impostata dal bando revocato dall’amministrazione (che richiedeva tali certificazioni ai fini dell’ammissione alla gara), incoerenza ulteriormente aggravata dalla circostanza per cui l’azione amministrativa si vorrebbe salvare – dall’aggiudicatario destinatario del provvedimento sfavorevole di revoca - in forza di un divieto di subappalto ricavato in via interpretativa (e non tale da incidere sulla natura del requisito della certificazione ex lege n. 46/1990) contro il tenore testuale del bando (che non vietava il subappalto).
L’amministrazione ha revocato considerando il suo interesse ad impostare il bando in modo più chiaro e legittimo (sul punto della configurazione del requisito di cui alla legge n. 46/1990 come requisito di esecuzione in conformità all’assunto dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici).
Ciò potrebbe essere sufficiente a dichiarare l’infondatezza della censura.

Peraltro il Collegio rileva che la questione posta in ordine al divieto di subappalto dei lavori compresi nella categoria OG11 va impostata in modo diverso da quanto rilevato dall’appellante.

In sostanza si assume, nella tesi dell’appellante – sostenuta con dovizia e serietà di argomenti - che la categoria OG11 sarebbe riassuntiva di varie categorie di opere speciali, si presenterebbe come assorbente delle sottoqualificazioni, e diverrebbe rilevante ex art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994 determinando un divieto di subappalto per tutte le lavorazioni ivi comprese, in ricorrenza delle condizioni previste dalla norma.Il bando – al contrario - ammette il subappalto, sul presupposto, evidentemente implicito, che l’art. 13, comma 7, recante il divieto di subappalto, riguardi solo le opere speciali (categoria OS) e non le opere generali anche se riassuntive (per sommatoria) di diverse categorie speciali.
Il bando si muove dal presupposto che il ricorso alla categoria generale non prevalente consenta un più ampio margine per il subappalto, massimizzando l’interesse alla più ampia partecipazione alla gara).
Lo stesso bando poi (contraddittoriamente) richiede il requisito di cui alla legge n. 46/1990 quale requisito di partecipazione (restringendo la possibilità di partecipazione alla gara).

E’ quindi evidente la perplessità dell’atto di autolimite della lex specialis e della successiva azione amministrativa, fatti assunti dal Rettore a presupposto della revoca.
Rimane tuttavia da chiarire il regime giuridico della categoria OG11 sul quale è insorta controversia.
Occorre – per inquadrare esattamente la problematica – partire da un’esatta ricostruzione dell’ordito normativo.

L’art. 13 comma 7 della legge n. 109/1994 nel testo previgente alla modifica apportata dalla recente legge n. 166/2002 (non direttamente rilevante nella causa odierna perché ius superveniens rispetto al tempo di emanazione del bando) recitava: “Qualora nell’oggetto dell’appalto o della concessione rientrino, oltre ai lavori prevalenti, opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti ed opere speciali e qualora ciascuna di tali opere superi altresì in valore il 15 per cento dell’importo totale dei lavori, esse non possono essere affidate in subappalto e sono eseguite esclusivamente dai soggetti affidatari.

La legge n. 166/2002 ha sostituito, nel corpo del testo, con intervento ortopedico, il “ciascuna” con le parole “una o più”.
Infatti si era posta in giurisprudenza la questione dell’interpretazione del termine “ciascuna”, potendosi affacciare più tesi, tutte astrattamente compatibili con la lettera della legge.
Tale problematica attiene alle modalità applicative del divieto di subappalto e deve essere ricordata perché nella controversia che ci occupa non è rilevante tanto il se il divieto di subappalto possa riferirsi alle opere di categoria OG11 ma come si applichi tale divieto.
Sintetizzando in breve le interpretazioni astrattamente prospettabili di questa non certo chiara norma di legge va rilevato che per una prima lettura, incline ad interpretare in termini restrittivi il divieto, potrebbe ritenersi che il divieto di subappalto scatti solo se ciascuna e tutte le opere speciali, singolarmente prese, superino la soglia del 15 per cento (si tratta della tesi della verifica per singoli lavori, ma condizionata all’esito positivo per tutti e ciascuno, e con effetto di divieto generalizzato).

Secondo un’altra lettura, molto rigorosa ed estensiva del divieto, potrebbe ritenersi che se anche una sola delle opere superspecializzate superi il 15 per cento per tutte scatti l’obbligo di qualificazione diretta ed il divieto di subappalto (tesi della verifica di incidenza per singoli lavori, e del divieto generalizzato per tutti, anche per quelli non superiori al 15 per cento, in ricorrenza del superamento della soglia per un singolo lavoro).

In una prospettiva diversa,ultrarigorista nella valutazione del presupposto del divieto non della sua estensione, ciascuna significando tutte, la verifica andrebbe fatta per sommatoria delle varie categorie superspecializzate, senza rilievo del singolo lavoro ma con effetto di divieto generalizzato se la sommatoria superi il 15 per cento (tesi della verifica per sommatoria, senza rilievo del singolo lavoro, con divieto generalizzato a tutte le categorie specializzate in caso di superamento della soglia per sommatoria).

In un ultima prospettiva, la verifica andrebbe fatta, interpretando ciascuna come ognuna, una per una, categoria per categoria, e porterebbe al divieto di subappalto solo per la categoria speciale che abbia superato la soglia (tesi della verifica scissa e del divieto singolare).

La questione va rettamente impostata ricordando l’insegnamento che in materia si può trarre dal diritto comunitario.

Nel noto caso Holst Italia la Corte giustizia Comunità europee, 2/12/1999, n.176/98 ha statuito che la direttiva del consiglio 18 giugno 1992 n. 92/50/Cee, in tema di appalti di servizi, va interpretata nel senso che consente a un prestatore, per comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici di partecipazione a una gara d’appalto di servizi, di far riferimento alle capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che il partecipante ha con essi, a condizione che il soggetto interessato sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti.
Il giudice comunitario con tale pronuncia supera gli aspetti giuridico-formali, a vantaggio degli aspetti economico-sostanziali dell’appalto, e fissa il principio per cui, nella verifica delle capacità, rileva il fatto di poterne effettivamente disporre, avvalendosi delle referenze di altre imprese.
Una persona, in sostanza, non può essere esclusa da un appalto, solo perché intende operare con mezzi che essa non detiene in proprio, ma che appartengono ad uno o più soggetti diversi da essa (lo stesso principio nell’ambito delle direttive sui lavori è affermato da Corte giustizia Comunità europee, 14/4/1994, n. 389/92 c.d. Ballast Nedam Groep I per cui la direttiva 71/304, concernente la soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici ed all’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici tramite agenzie o succursali, e la direttiva 71/305, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, vanno interpretate nel senso che consentono, per la valutazione dei criteri cui deve soddisfare un imprenditore all’atto dell’esame di una domanda di abilitazione presentata da una persona giuridica dominante di un gruppo, di tener conto delle società che appartengono a tale gruppo, purché la persona giuridica di cui è causa provi di avere effettivamente a disposizione i mezzi di dette società necessari per l’esecuzione degli appalti; in caso di contestazione, spetta al giudice nazionale valutare, alla luce degli elementi di fatto e di diritto sottopostigli, se ciò sia stato provato e da Corte giustizia Comunità europee, 18/12/1997, n. 5/97 c.d. Ballast Nedam Groep II per cui la direttiva 71/304, concernente la soppressione delle restrizioni alla libera prestazione dei servizi in materia di appalti di lavori pubblici ed all’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici tramite agenzie o succursali, o la direttiva 71/305, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, vanno interpretate nel senso che l’autorità competente a statuire su una domanda di abilitazione presentata da una persona giuridica dominante di un gruppo è obbligata, quando è provato che tale persona ha effettivamente a disposizione i mezzi delle società appartenenti al gruppo necessari all’esecuzione degli appalti, a tener conto delle dette società per valutare l’idoneità della persona giuridica interessata, in osservanza dei criteri di cui agli art. 23-28 della direttiva 71/305).
I principi sottesi a tali pronunce del giudice comunitario inducono a ritenere che letture restrittive del divieto di subappalto (dovuto, nel nostro ordinamento a complesse ragioni storiche ed all’influenza delle infiltrazioni criminali che tuttavia possono essere contrastate adeguatamente calibrando la disciplina sino a trovare un punto di equilibrio fra esigenza di controllo e principi della concorrenza) nell’ordinamento interno siano maggiormente conformi alle indicazioni provenienti dal diritto comunitario (contrario a divieti generalizzati ed aprioristici basati sul ricorso ad una certa forma negoziale).

La prospettiva di interpretazione letterale è stata dapprima adottata da T.A.R. Lazio, sez. III, 1/8/2001, n. 6895 secondo cui rispetto all’art. 13, 7º comma, legge 11 febbraio 1994, n.109, a norma del quale, se nell’oggetto dell’appalto di opera pubblica rientrano lavori di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica e «ciascuno» di tali lavori superi altresì il quindici per cento dell’importo totale dei lavori, esse non possono essere affidate in subappalto e vanno eseguite direttamente dai soggetti affidatari, l’aggettivo indefinito «ciascuno» va letto come sinonimo di «ogni» - «ognuno» - «uno per uno»; pertanto il citato divieto si applica nel caso in cui ciascun lavoro particolare abbia un valore percentuale superiore a quello prefissato, mentre non è necessario che tutti i lavori particolari siano complessivamente di importo superiore al quindici per cento di quello totale.
In ogni caso, nella lettura del T.A.R. Lazio gli esiti interpretativi erano ancora conducenti ad eccessiva ed ampia latitudine del divieto, derivandone ancora che – fatta la verifica categoria per categoria - il divieto operava per tutte le opere speciali e non solo per quelle che superano la soglia debba essere costituita un’A.T.I. (in luogo del subappalto).

Per il T.A.R. Emilia Romagna, Sez. I, 21 agosto 2002, n. 1097 ciascuna significa, “tutte le opere ad una ad una”, ciò in ossequio alla natura eccezionale e derogatrice della norma, rispetto al quadro di liberalizzazione delle modalità di scorporo delle opere e di associazione delle imprese .Il divieto di subappalto limita la libertà di auto-organizzazione dell’impresa, e di conseguenza va inteso in termini di stretta interpretazione.
Ciascuno indica la totalità presa a riferimento e, per i giudici emiliani, il divieto scatterebbe solo se tutte le opere, singolarmente considerate, superino la soglia (in tal senso Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici nelle delibere n. 15, 21 e n. 229 del 2001).

Il Consiglio di Stato si è occupato di recente della questione con la nota sentenza C.d.S., Sezione VI, 3 aprile 2003, n. 1716 a tenore della quale in presenza di più opere speciali, il divieto di affidamento in subappalto previsto dall’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994, si applica alle sole opere altamente specializzate (indicate dal bando come scorporabili) le quali hanno singolarmente valore superiore al 15 per cento dell’importo totale dei lavori, senza bisogno che, qualora vi siano altre categorie altamente specializzate, anche le altre singolarmente considerate, siano tutte di importo superiore al 15 per cento del valore complessivo dell’intervento.

Per il Consiglio di Stato quindi, la verifica va fatta categoria per categoria, ed il divieto vale categoria per categoria (delle opere altamente specializzate) (tesi della verifica categoria per categoria e del divieto singolarmente operante).

In detta pronuncia si è anche chiarito che l’inciso “una o più” introdotto dalla Merloni-quater (legge n. 166/2002) ha valore interpretativo e non innovativo. Ciò premesso sul piano della ricostruzione degli approdi giurisprudenziali, va rilevato che non vi sono pronunce nella giurisprudenza amministrativa che affrontino il tema della applicabilità del divieto di subappalto alla categoria generale OG11, che raggruppa in sé varie categorie di opere altamente specializzate, utilizzata nel bando in esame, quale categoria di lavori scorporabili. In giurisprudenza si è ritenuto che, se il bando richiede OS28 e OS30 (ossia categoria speciali) non possa parteciparsi alla gara con il possesso dell’iscrizione per OG11; infatti, qualora il bando obblighi al possesso della categoria speciale, non può esservi alcuna fungibilità fra le diverse categorie (generale e speciale) (in tal senso C.d.S., sez. V, n. 5976/2002).

In tale prospettiva, e ragionando in conseguenza, dovrebbe negarsi del tutto la riferibilità del divieto di subappalto alla categoria OG11, intesa come non assorbente e non fungibile rispetto alle categorie speciali, con conseguente libertà del ricorso al subappalto ed inapplicabilità del divieto di cui all’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994 alle categorie generali.

Va ricordato in proposito che l’art. 72 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, definisce le opere generali e le opere speciali, prevedendo che ai fini dei bandi di gara e della qualificazione delle imprese le opere ed i lavori pubblici appartengono ad una o più categorie di opere generali ovvero ad una o più categorie di opere specializzate.
Le opere generali sono caratterizzate da una pluralità di lavorazioni, indispensabili per consegnare l’opera od il lavoro finito in ogni sua parte.
Per opere specializzate si intendono le lavorazioni che, nell’ambito del processo realizzativi dell’opera o del lavoro necessitano di una particolare specializzazione o professionalità.

L’art. 72, comma 4, prevede un elenco di opere specializzate, in ricorrenza delle condizioni indicate dall’art. 73, comma 3 (singolarmente superiore al 10 per cento dell’importo totale dei lavori o 150.000 euro).
L’art. 73 dello stesso regolamento di attuazione definisce la possibilità di individuare, per la p.a. la categoria prevalente e la parte e l’importo dei lavori di categoria generale o speciale, subappaltabile oppure scorporabile.
L’art. 74 definisce la possibilità dell’impresa qualificata in categoria prevalente di eseguire tutto se in possesso delle adeguate qualificazioni o subappaltare, salvo quanto previsto dall’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994.

Le opere generali – scorporabili o no che siano ai fini della costituzione dell’A.T.I. di tipo verticale – quindi sarebbero sempre subappaltabili, salvo il divieto di cui all’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994.

Il limite dell’art.13 comma 7 si riferisce testualmente alle sole opere speciali e non alle opere di categoria generale OG11 (che ricomprende in sé una serie di opere specializzate).

Rileva tuttavia la recente deliberazione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, n. 31 del 2002, che ha ritenuto che il divieto di subappalto riguardi anche le categorie generali come OG11 (andando di diverso avviso rispetto ad un tesi dell’ANCE) avendo le stesse un notevole contenuto tecnologico rilevante complessità tecnica, identica a quella delle categorie speciali.
Ciò al fine di evitare che le amministrazioni evitino i rigori della disciplina del subappalto facendo ricorso alle categorie generali aventi la medesima caratterizzazione di specializzazione.

Il Collegio ritiene che la delibera dell’Autorità di vigilanza porti un definitivo chiarimento sul tema, che era stato in passato oggetto di dubbi e che tuttavia, anche ammettendo che il divieto si applichi alle categorie generali, esso sia applicabile in forza del loro essere categorie caratterizzate dalla medesima specializzazione delle categorie speciali, e quindi, una sommatoria di opere speciali che rilevano, a questi fini, singolarmente al fine di verificare l’applicabilità del divieto.
In altri termini se si ammettesse l’operatività del divieto per le categorie generali senza altra specificazione in ordine alle modalità applicative dello stesso, esso, data la sua natura (da categoria generale) di “sommatoria delle categorie speciali”, si applicherebbe nuovamente sommando gli importi delle singole lavorazioni speciali, e, quindi, con effetto di estensione generalizzata della portata del divieto, che costituisce conseguenza indesiderata per il diritto comunitario della concorrenza, per il legislatore della Merloni-quater (che vuole che i divieti operino per uno o più lavori di alta specializzazione) e dalla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (C.d.S., sez. VI, n. 1716/2003).

Il ricorso alle categorie generali per opere scorporabili – se intese come unitarie ed assorbenti ogni valutazione relativa alla soglia del 15 per cento - comporterebbe un generale irrigidimento della disciplina per effetto della più ampia operatività del divieto di subappalto, della necessità di qualificazione diretta, dell’obbligatorio ricorso all’A.T.I. verticale.

Ritiene il Collegio che le amministrazioni possano – tuttavia – nei bandi, contemplare la possibilità di subappalto, costruendo la categoria generale come non assorbente e verificando l’operatività del divieto in relazione alla singola categoria di opera speciale compresa nella categoria generale scorporata.

Ad es. se è vero che OG11 è una sommatoria delle opere di cui all’art. 72, comma 4, lett. b), d), e) ecc. è in relazione a queste singole opere speciali definite dall’art. 72, comma 4, che andrà effettuata la verifica del superamento della soglia del 15 per cento dell’importo dei lavori prevista dall’art. 13, comma 7, della legge Merloni.
In tal modo non si verifica alcuna distonia applicativa ed il sistema del divieto di subappalto funziona in modo omogeneo, rispetto ai lavori altamente specializzati, sia nel caso in cui essi siano individuati in categorie del tipo OS, sia qualora essi siano considerati come opere generali del tipo OG.
In caso contrario il ricorso a categorie generali scorporabili quasi sempre renderebbe operante il divieto di subappalto con irrigidimento del sistema.

In sostanza le stesse ragioni di coerenza applicativa che impongono di applicare il divieto di subappalto alle categorie generali, impongono di applicarlo nello stesso modo, ossia considerando singolarmente le lavorazioni comprese nella categoria generale, una per una e non tutte insieme come insegna la norma interpretativa di cui alla legge n. 166/2002 che ha modificato l’originario art. 13, comma 7, della legge Merloni-ter.

La tesi dell’appellante si rivela quindi fondata su un presupposto giuridicamente non accettabile ossia la natura necessariamente assorbente, formale ed esclusiva della categoria generale ai fini dell’applicazione dell’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994, limitandosi a constatare che l’importo dei lavori per detta categoria supera il 15 per cento dell’importo totale dei lavori, senza verificare se le singole categorie di lavorazioni specializzate comprese nella categoria generale, singolarmente prese, superino detta soglia.

In difetto di tale considerazione, che doveva spettare in primo luogo alla stazione appaltante, al fine di scegliere se rendere obbligatoria o meno l’A.T.I. verticale (e rendere operativo o meno il divieto di subappalto) il bando si rivela ulteriormente perplesso (infatti esso ammette il subappalto, ma non effettua tale verifica sulle singole lavorazioni speciali e, nel contempo, non rende obbligatoria l’A.T.I. verticale) e, per altro verso, si giustifica ancora la sua revoca.

In ultimo circa la dedotta illegittimità della revoca per violazione dell’art. 34, comma 1, della legge n. 109/1994 (che ha sostituito l’art. 18, comma 3, della legge n. 55/1990), si deve rilevare che il divieto di cui all’art. 34 riguarda le sole categorie prevalenti e non rileva quindi nel caso di specie, che attiene a categorie scorporabili.
Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

Va ora affrontato il secondo motivo di appello, relativo alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, che si assume dovuta per la revoca dell’aggiudica provvisoria.

La Sezione ritiene, con la giurisprudenza maggioritaria, che in tal caso, trattandosi di provvedimento adottato nel corso di una gara, alla quale l’appellante ha presentato domanda di partecipazione, ricevendo le informazioni necessarie dal bando e dagli altri atti della procedura concorsuale, sia possibile omettere la comunicazione di avvio del procedimento.

In senso analogo C. Stato, sez. V, 3/3/2001, n. 1227 ha ritenuto che un atto soprassessorio della stazione appaltante che si inserisca nel procedimento ad evidenza pubblica, tra la fase dell’aggiudicazione provvisoria e quella dell’aggiudicazione definitiva e della stipula contrattuale, non richiede un autonomo avvio di procedimento, né una particolare motivazione, risultando sufficiente la comunicazione di non poter dar corso all’esecuzione dei lavori per cause non dipendenti dalla propria volontà e di essere intenzionato a procedere all’annullamento della gara d’appalto a suo tempo esperita, con ciò preannunciando l’«annullamento» (rectius revoca) degli atti di gara, con atto sufficiente a concretare un avviso alla aggiudicataria.

Nello stesso senso C. Stato, sez. V, 11/2/1999, n.160 ha ritenuto che nel caso di un provvedimento di «non aggiudicazione» di un appalto non è necessaria alcuna comunicazione di avvio del relativo procedimento, non trattandosi di un atto di autotutela, bensì di un atto conclusivo del procedimento di trattativa privata già in corso.

Nella giurisprudenza dei T.A.R. si rinviene T.A.R. Lazio, sez. III, 27/6/2001, n. 5791 per cui non sussiste l’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del procedimento per l’annullamento, in sede di autotutela, del provvedimento che riconosce la sussistenza dei requisiti per la partecipazione ad una gara d’appalto, posto che l’iter della gara deve essere considerato unitariamente e, pertanto, l’invio della lettera d’invito non pregiudica il potere della stazione appaltante di escludere, fino al momento dell’emanazione del provvedimento di aggiudicazione, il concorrente risultato privo dei requisiti richiesti e T.A.R. Campania, sez. I, 24/6/1999, n. 1789 che, nell’ipotesi di informativa antimafia sfavorevole, ha ritenuto che non sussiste la violazione dell’art. 7, legge 7 agosto 1990, n. 241, per la mancata comunicazione di avvio del procedimento in presenza di delibera di ritiro dell’aggiudicazione adottata dalla stazione appaltante: in tal caso, infatti, essa si configura quale atto dovuto di presa d’atto di un effetto di incapacità relativa a contrarre determinatosi in capo all’aggiudicatario in forza di detta informativa, per cui, escluso ogni margine di riesame dei presupposti di fatto e/o di scelta discrezionale dell’amministrazione appaltante, non vi è alcun margine per una partecipazione procedimentale dell’impresa.

Invero vi sono anche pronunce di tenore diverso: per C. Stato, sez. IV, 25/7/2001, n. 4083 la p.a., allorché intenda procedere alla revoca dell’aggiudicazione di una gara, è tenuta a inviare comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 legge 7 agosto 1990, n. 241, consentendo in tal modo all’aggiudicatario di presentare memorie e documenti che l’amministrazione appaltante ha l’obbligo di valutare e per C. Stato, sez. V, 24/10/2000, n. 5710 la revoca dell’aggiudicazione di un appalto di opere pubbliche deve essere preceduta dall’avviso dell’inizio del procedimento ai sensi dell’art. 7 legge 7 agosto 1990, n. 241 e per Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 3/6/1999, n. 232 nel caso in cui l’amministrazione intenda procedere alla revoca dell’aggiudicazione, deve comunicare all’impresa aggiudicataria l’avvio del relativo procedimento amministrativo.

Ritiene il Collegio che, componendo in modo ragionevole tale divergente giurisprudenza, occorra distinguere l’ipotesi della revoca che intervenga quando il procedimento di gara non si è ancora concluso dalla revoca che intervenga dopo la conclusione del contratto (la quale dovrebbe essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento).
Nel caso di specie, vertendosi nell’ambito della prima ipotesi, l’atto di revoca si inserisce in un procedimento ancora da concludere e che ha avuto il suo inizio con l’emanazione del bando di gara.

Il terzo motivo – relativo all’incompetenza del Rettore - è infondato, avendo il Rettore esercitato poteri di urgenza di cui all’art. 21 dello Statuto dell’Università, sottoposti a ratifica, intervenuta in data 28/2/2002 (secondo le allegazioni dell’Università degli Studi, non specificamente contestate dell’appellante nel corso del giudizio di primo grado).

Il quarto motivo sostiene esservi eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento.In merito a questo va rilevato che non è dimostrato che vi siano casi analoghi nei quali, per bandi dello stesso genere e gare indette dall’Università di Salerno, si siano verificate numerose esclusioni, con conseguente violazione del principio di massima partecipazione alla gara. Ne deriva il rigetto del quarto motivo di appello.

L’istanza di risarcimento danni è infondata se impostata quale azione relativa a diritto consequenziale all’annullamento ed è infondata anche se valutata in via autonoma come azione risarcitoria proposta innanzi al giudice amministrativo per responsabilità extracontrattuale da rottura di trattative, non potendosi ravvisare una condotta colpevole dell’amministrazione che coincida in tutto e per tutto con l’adozione di un provvedimento legittimo.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez. VI - riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI, Presidente
Luigi MARUOTTI, Consigliere
Carmine VOLPE, Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI, Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere, Est.

LAVORI PUBBLICI - 113-bis
Consiglio di Stato, sezione V, 30 ottobre 2003, n. 6760
Se il bando richiede la qualificazione nelle categorie OS28 e OS30, deve essere disposta l'esclusione del concorrente che dispone della qualificazione nella sola categoria OG11.

(Si veda anche: Consiglio di Stato, sez. VI, 27 maggio 2003, n. 2968)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 7697 del 2002, proposto dalla Provincia di Padova, rappresentata e difesa dagli avv.ti M.O. e F.P. elettivamente domiciliata presso il primo in ...

contro

l’Impresa C.C. s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti A.C. e P.P.i ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in ...

e nei confronti

dell’Impresa Costruzioni R. s.n.c., rappresentata e difesa dagli avv.ti A.F. e L.C., elettivamente domiciliata presso il primo in ...

per l'annullamento

della sentenza del T.A.R. per il Veneto Sez. I., 1° agosto 2002 n. 3837 resa tra le parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle imprese C. e R.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 24 giugno 2003 il consigliere Marzio Branca, e uditi gli avv.ti O., P. e C.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza in epigrafe è stato accolto il ricorso proposto dall’Impresa C. s.r.l. avverso la esclusione dalla gara per l’appalto dei lavori da eseguirsi al primo piano della sede della Provincia e la aggiudicazione degli stessi all’a.t.i. formata dall’Impresa R., con E. e S.

Il T.A.R. ha ritenuto illegittima l’impugnata esclusione considerando che, sebbene il bando richiedesse alla imprese concorrenti la qualificazione per opere OS28 e OS30 di cui alla Tabella allegata al d.P.R. 27 gennaio 2000 n. 34, e l’Impresa C. fosse sprovvista di tale qualificazione, la medesima possedeva però la qualificazione per le opere generali OG11, all’interno della quale si ritrovano le opere classificate 5A e 5C, corrispondenti, secondo la classificazione di cui al d.m. 25 febbraio 1982, alla opere OS28 e OS30.

La Provincia di Padova ha proposto appello avverso la decisione chiedendone la riforma e, nelle more, la sospensione.

Si sono costituite in giudizio le Imprese C. e R. per sostenere le rispettive e contrapposte tesi.

La Sezione ha accolto l’istanza cautelare con ordinanza 11 ottobre 2002 n. 4394.

L’appello è stato chiamato all’udienza dell’11 febbraio 2003 in esito alla quale la Sezione ha emesso la sentenza interlocutoria 16 aprile 2003 n. 1995, disponendo incombenti istruttori.

Alla pubblica udienza del 24 giugno 2003 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Come accennato più sopra, l’appello pone il quesito se sia legittimo escludere dalla gara per un appalto di opere pubbliche, per le quali il bando richieda il possesso della qualificazione per opere delle categorie OS28 e OS30 di cui all’Allegato A al d.P.R. n. 34 del 2000, quelle imprese che siano sprovviste di tali qualificazioni ma che dispongano di quella per la categoria OG11.

Ed infatti, nel ricordato Allegato A, si annoverano, tra le opere della categoria OG 11 intitolata impianti tecnologici, fra l’altro, impianti di condizionamento del clima, che sotto il nome di impianti termici e di condizionamento vengono qualificati anche come OS28, nonché impianti elettrici, telefonici e televisivi, che sono poi classificati anche come OS30

I primi giudici, vista la Tabella di corrispondenza tra le categorie di opere annessa al predetto Allegato A, e constatato che i lavori OS28 e OS30, sotto la denominazione 5A e 5C di cui al d.m. 770 del 1982, si ritrovano anche nella nuova OG11, si è espressa in senso contrario alla esclusione, ed ha accolto il ricorso.

L’Ente appellante e l’Impresa controinteressata in primo grado, aggiudicataria dell’appalto, criticano la decisione sostenendone l’erroneità alla stregua del quadro normativo offerto dall’art. 13, comma 7, della legge n. 109 del 1994, dall’art. 18 del d.P.R. n. 34 del 2000 e dall’art. 74, comma 2, del d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 (Regolamento di attuazione della legge n. 109/94).

L’impresa appellata, a sua volta, sostiene la correttezza della sentenza ed allega a favore delle proprie tesi l’avviso ripetutamente espresso dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, la quale, nella determinazione 7 maggio 2002 n. 8 in particolare, affrontando in maniera più approfondita il problema, si è pronunciata in favore della ammissibilità alle gare delle imprese prive della qualifica specifica in OS 3, OS 5, OS 28 e OS 30, benché espressamente richiesta, se la concorrente possedesse la qualificazione OG11. Tale avviso è stato poi ribadito nella determinazione n. 27 del 16 ottobre 2002 sub E).

La questione in esame è stata già sottoposta alla Sezione la quale ha assunto in proposito due orientamenti non coincidenti.

Con la sentenza n. 5976 del 30 ottobre 2002 si affermato che in presenza di una lex specialis che richieda la qualificazione per OS28 e OS30, il difetto del requisito specifico non possa essere sanato con la qualificazione per OG11, argomentando dal divieto emergente dal combinato disposto di cui all’art. 13, comma 7, della legge n. 109 del 1994 e all’art. 74, comma 2 del d.P.R. n. 544 del 1999.

Con la più recente sentenza n. 2857 del 26 maggio 2003, si è pervenuti, invece, alla conclusione opposta, prevalentemente sulla base della conformità dei provvedimenti impugnati all’orientamento espresso, sul punto della equivalenza delle due qualificazioni, dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, cui si accennato più sopra.

Rileva il Collegio, a proposito del ricordato orientamento dell’Autorità, che la vertenza oggi in esame pone in evidenza aspetti di relativa novità, che, in relazione alle censure avanzate in tale occasione, non hanno formato oggetto di specifica attenzione nella decisione da ultimo richiamata, e la cui doverosa considerazione induce a confermare il primo orientamento assunto dalla Sezione.

In linea generale occorre chiarire che la potestà di “vigilanza sul sistema di qualificazione” delle imprese, attribuita all’Autorità dall’art. 4, comma 4, lett. i) della legge 11 febbraio 1994 n. 109, non ha contenuto indeterminato, ma deve essere esercitata nelle forme indicate dall’art. 14 del d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, che rappresenta la fonte regolamentare precipuamente destinata a disciplinare, in applicazione dell’art. 8 della legge n. 109 cit., il sistema delle qualificazioni. Come emerge dalla lettura della disposizione, si tratta dello svolgimento di controlli sul comportamento delle SOA, affinché:

a) rispettino le procedure previste per l’attestazione;
b) evitino ipotesi di conflitto di interessi;
c) si attengano nel rilascio delle attestazioni ai requisiti prescritti nel Titolo III;
d) applichino le tariffe stabilite.

Ne consegue che l’attività di vigilanza non può manifestarsi nella emanazione di criteri o direttive concernenti il sistema della qualificazione delle imprese, sia perché il conferimento di tale potestà avrebbe dovuto essere esplicitato con indicazione dell’ambito di intervento nella stessa sedes materiae nella quale si sono definite le forme della vigilanza, sia perché la legge n. 109 del 1994, art. 8, demanda la disciplina dei requisiti necessari per la qualificazione al Regolamento n. 34 del 2000, che li enuncia nel Titolo III, sulla cui osservanza, come si visto, l’Autorità deve vigilare, senza alcun potere di integrazione o interpretazione adeguatrice.

Né potrebbe trarsi argomento, in senso contrario, dalla menzione, tra i compiti dell’Autorità, della definizione di “criteri cui devono attenersi nella loro attività i soggetti autorizzati al rilascio delle attestazioni di qualificazione”, figurante nell’art. 2, comma 1, lett. o) del Regolamento n. 34 del 2000. Si è già visto infatti che i comportamenti da vigilare sono quelli indicati dall’art. 14 del d.P.R. n. 34/2000, recante la riaffermazione del carattere vincolante per le SOA, e quindi anche per l’Autorità che ne vigila l’azione, delle prescrizioni del Titolo III in materia di qualificazioni necessarie per l’esecuzione delle diverse lavorazioni.

In altri termini, le determinazioni, che l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici assume in risposta ai quesiti rivolti dagli operatori del settore circa l’interpretazione della normativa vigente nella materia, costituiscono la manifestazione di opinioni dotate di indiscutibile autorevolezza, in ragione della particolare competenza dell’Organo, che possono anche conseguire un apprezzabile effetto di uniformità e di chiarezza nell’applicazione della legge.

Si tratta tuttavia di pronunciamenti che non possono risolversi nella funzione di interpretazione autentica, o di integrazione, della normativa, difettando l’Autorità del relativo potere, e, pertanto, non rappresentano neppure un vincolo per le Amministrazioni nello svolgimento delle procedure di selezione di loro competenza (v. Cons. St., Sez. V, 21 aprile 2002 n. 2180, in materia di bando-tipo redatto dall’Autorità).

Cosicché la conformità del provvedimento impugnato all’interpretazione offerta dall’Autorità non è sicura garanzia dell’infondatezza di vizi denunciati nella sede giurisdizionale, dovendo verificarsi la compatibilità di tale interpretazione con il quadro normativo di riferimento.

Nella fattispecie in esame tale compatibilità non è ravvisabile.

Il dato di partenza è offerto dagli artt. 72 e 74 del Regolamento di attuazione della legge n. 109/94, d.P.R. n. 554 del 1999. Le due disposizioni dettano le regole specifiche e puntuali in merito al tipo di qualificazione necessaria per la esecuzione delle opere comprese nei bandi di gara e le suddividono in opere generali e opere specializzate.

Tra le opere specializzate, in quanto di importo superiore al 10% dell’intero appalto, come è nell’attuale vertenza, l’art. 72 comma 4, menziona, alla lettera b) gli impianti di termoregolazione (opere di categoria OS28, previste dal bando), e alla lettera e) opere relativi ad impianti elettrici (categoria OS30 anch’esse previste dal bando in questione). Ebbene per tali tipi di opere si stabilisce all’art. 74, comma 2, che l’esecuzione non possa essere affidata all’impresa qualificata per la sola categoria prevalente se priva “delle relative adeguate qualificazioni”.

E’ su questo chiaro dato normativo che incide l’interpretazione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, ritenendo che, in via di eccezionale deroga al divieto di assorbimento delle qualificazioni per opere speciali da parte delle qualificazioni per opere generali, possa ammettersi la validità della partecipazione alle gare da parte di imprese che siano prive delle qualificazioni per OS28 e OS30, esplicitamente richiesta dal bando, in quanto la conseguita qualificazione per OG11 dovrebbe intendersi sostanzialmente equivalente.

In disparte quanto detto più sopra circa l’irrilevanza di una interpretazione palesemente contrastante con il dato normativo, è da osservare che la tesi non convince per le ragioni sulle quali pretende di fondarsi.

Il nucleo del ragionamento lo si legge dalla determinazione n. 8 del 2002, “..se una impresa qualificata nella categoria di opera generale OG11 può eseguire un insieme coordinato di impianti (appartenenti alle categorie specializzate OS3, OS5, OS28 e OS30) da realizzarsi congiuntamente, la stessa non può non ritenersi in possesso delle capacità economiche finanziarie e tecnico organizzative necessarie per la esecuzione anche di uno o più di uno dei suddetti quattro impianti che, in quanto non costituiscono sul piano tecnico un insieme coordinato di impianti, sono indicati nei bandi come singoli impianti.” (enfasi originali).

L’attenzione è rivolta alla inconsistenza, da condividere, di una distinzione tra realizzazione congiunta di diversi impianti specializzati e realizzazione degli stessi come impianti singoli, ma l’approccio al problema non risulta soddisfacente poiché si può dimostrare in base alla stessa suddetta determinazione, che non sussiste la effettiva sovrapponibilità delle due qualificazioni, per opere generali OG11 e per opere specializzate OS3, OS5, OS28, OS30).

Nello stesso testo, poche righe più sopra, infatti, si stabilisce che la qualificazione OG11 spetta a chi dimostri di aver eseguito impianti riconducibili ad almeno tre tra le quattro categorie di opere specializzate OS3, OS5, OS28 e OS30. Quindi, l’impresa in possesso della OG11 potrebbe avere realizzato, ad esempio, bagni cucine e lavanderie (OS3), impianti pneumatici e antintrusione (OS5) e impianti termici (OS28), ma non impianti elettrici e televisivi (OS30).

Proprio dall’Autorità si apprende, quindi, che la OG11 non dà alcuna garanzia di particolare capacità tecnica su tutta l’area afferente alle opere specializzate che vi si intendono ricomprese. In tal modo l’avviso, lungi dal correggere una apparente illogicità del diritto positivo, comporta una deroga arbitraria alla prescrizione vigente in tema di qualificazione delle imprese che partecipano alle gare per la esecuzione di quei determinati lavori pubblici.

Il motivo di appello va dunque accolto.

E fondata appare anche la doglianza riguardante la mancata osservanza del divieto di subappalto da parte dell’offerta presentata dall’impresa appellata.

Per le opere specializzate di valore superiore al 15% dell’importo totale dei lavori, infatti, ed in tale ipotesi si versa nella specie sia per OS28 sia per OS30, l’art. 13 comma 7, della legge n. 109/94, nel testo modificato dall’art. 7 comma 1, della legge 1 agosto 2002 n. 166, stabilisce il divieto di subappalto.

Si tratta di una statuizione che rafforza il principio del necessario affidamento di determinate lavorazioni solo ad imprese in possesso delle prescritte qualificazioni, che nella specie risulta violato prevedendosi il subappalto proprio delle opere OS28 e OS30.

In conclusione l’appello deve essere accolto con conseguente riforma della pronuncia di primo grado.

Spese compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso di primo grado;

dispone la compensazione delle spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 giugno 2003 con l'intervento dei magistrati:

Agostino Elefante, Presidente
Raffaele Carboni, Consigliere
Corrado Allegretta, Consigliere
Marco Lipari, Consigliere
Marzio Branca, Consigliere est.